Il mancato adempimento di obbligazioni extra-professionali come illecito disciplinare forense

A cura dell’Avv. Francesco Cervellino

L’analisi della recente ordinanza n. 30771/2025 delle Sezioni Unite consente di riflettere in modo sistematico sul perimetro dell’illecito disciplinare derivante dall’inadempimento di obbligazioni estranee all’esercizio della professione forense. Il caso affrontato, avente ad oggetto il mancato pagamento del corrispettivo per lavori di manutenzione su un bene voluttuario di proprietà dell’avvocato, si colloca all’incrocio tra doveri di probità, tutela dell’affidamento dei terzi e funzione rappresentativa della classe forense, assumendo rilievo paradigmatico nella definizione del parametro etico-professionale richiesto agli iscritti all’albo.

La pronuncia muove dalla conferma, da parte del Consiglio Nazionale Forense, della responsabilità dell’incolpato ai sensi dell’articolo 64 del codice deontologico forense, norma che impone all’avvocato l’obbligo di adempiere le obbligazioni assunte nei confronti dei terzi, a prescindere dal collegamento con l’attività professionale. Nel caso di specie, la condotta aveva determinato l’attivazione di un procedimento monitorio, evidenziando una grave e protratta inadempienza destinata, secondo il giudice disciplinare, a ledere l’immagine della professione e l’affidamento che la collettività ripone nei suoi appartenenti. Tale ricostruzione si fonda sulla premessa, da tempo consolidata, secondo cui l’avvocato, in quanto soggetto dotato di prerogative pubblicistiche, è tenuto a un comportamento conforme a canoni di correttezza anche nell’ambito dei rapporti privatistici.

Nella seconda parte della decisione le Sezioni Unite affrontano compiutamente l’argomentazione difensiva dell’incolpato, incentrata sull’asserita involontarietà dell’inadempimento, sul peggioramento delle condizioni di salute, sulla natura voluttuaria della spesa e sulla mancata realizzazione dell’evento (il varo del natante) cui sarebbe stato subordinato il pagamento del saldo. La Corte rileva come tali elementi non siano idonei a escludere l’elemento soggettivo dell’illecito disciplinare, chiarendo che non è richiesta la consapevolezza dell’antigiuridicità della condotta, ma la sola volontarietà dell’omissione. Si osserva inoltre che l’obbligazione era stata assunta quando le problematiche personali dell’avvocato erano già in parte presenti, escludendo così la sussistenza di una causa di forza maggiore idonea a neutralizzare la responsabilità disciplinare. Di particolare interesse risulta l’affermazione per cui l’assoluta impossibilità sopravvenuta della prestazione può rilevare solo se derivante da circostanze obiettive estranee alla volontà dell’agente, con un accertamento rimesso al prudente apprezzamento del Consiglio Nazionale Forense.

La Corte ribadisce inoltre i limiti del sindacato di legittimità sulle decisioni del giudice disciplinare, richiamando la natura tipicamente nomofilattica del controllo esercitabile sulle sentenze del Consiglio Nazionale Forense. L’apprezzamento del fatto, nella sua dimensione materiale e psicologica, resta riservato all’organo disciplinare, sicché il ricorso può trovare accoglimento solo in presenza di violazioni di legge, eccesso di potere o carenza del minimo costituzionale della motivazione. Nel caso oggetto di esame, le censure dell’avvocato si sono risolte nella richiesta di una revisione del merito, estranea al giudizio di legittimità.

Un ulteriore profilo di rilievo concerne la proporzionalità della sanzione. Le Sezioni Unite hanno ritenuto congruo il dimezzamento della sospensione, operato dal Consiglio Nazionale Forense in considerazione dell’assenza di precedenti disciplinari in oltre quarant’anni di attività. Tale valutazione appare perfettamente conforme all’articolo 21 del codice deontologico forense, che richiede di commisurare la sanzione alla gravità della violazione, al grado della colpa e al comportamento complessivo dell’iscritto, sia anteriore sia successivo al fatto contestato.

Nel complesso, la decisione offre un contributo significativo alla definizione dell’ambito applicativo dell’articolo 64 del codice deontologico, confermando l’orientamento volto a ricomprendere nella responsabilità disciplinare ogni condotta che, pur avendo natura privatistica, sia idonea a riflettersi negativamente sulla dignità e sull’onorabilità della classe forense. Si delinea così una concezione estensiva dei doveri dell’avvocato, coerente con la funzione pubblicistica della professione e con l’esigenza di preservare la fiducia dei cittadini nel corretto esercizio del ruolo difensivo.

La parte conclusiva della pronuncia consente infine di formulare alcune osservazioni prospettiche. Appare evidente come, nell’attuale quadro normativo, l’inadempimento di obbligazioni assunte uti privatus possa assumere rilevanza disciplinare anche in assenza di nesso con l’attività professionale, ogniqualvolta la gravità della condotta sia tale da compromettere la reputazione dell’avvocato. Ne deriva, sul piano applicativo, la necessità per i professionisti di mantenere un elevato livello di diligenza nell’adempimento delle obbligazioni civilistiche, consapevoli del riflesso che tali comportamenti possono avere sul piano deontologico. La decisione in commento, pur muovendosi nel solco della giurisprudenza consolidata, rafforza ulteriormente l’idea di una responsabilità disciplinare “estensiva”, che si proietta oltre il recinto dell’esercizio tecnico della professione, abbracciando la sfera comportamentale complessiva dell’avvocato quale soggetto investito di un ruolo di garanzia nei confronti della collettività.

26 novembre 2025

L’argomento viene trattato anche su taxlegaljob.net

La qualificazione del servizio di trasporto tra disciplina del contratto e criteri sostanziali dell’appalto

A cura dell’Avv. Francesco Cervellino

L’analisi della più recente elaborazione giurisprudenziale in tema di rapporti tra contratto di trasporto e appalto di servizi consente di cogliere l’evoluzione interpretativa che accompagna la trasformazione delle attività logistiche e distributive, sempre più caratterizzate da esternalizzazioni complesse e da una stratificazione negoziale che rende necessario individuare la reale natura del rapporto sottostante. La sentenza n. 22541 del 2025 della Corte di cassazione rappresenta un contributo significativo in questa direzione, riaffermando che la qualificazione giuridica non può essere condizionata dal nomen iuris attribuito dalle parti, ma deve invece fondarsi sulla concreta configurazione del servizio, alla luce degli indici elaborati dalla normativa civilistica e dal diritto del lavoro. Il quadro normativo di riferimento ruota attorno agli artt. 1655 e 1677-bis del codice civile, nonché all’art. 29 del decreto legislativo n. 276 del 2003, il quale assegna alla figura dell’appalto di servizi una specifica disciplina in punto di responsabilità solidale del committente per i crediti di lavoro maturati dal personale impiegato nell’esecuzione dell’attività affidata. In tale prospettiva, il contratto di trasporto ex art. 1678 c.c. si configura come prestazione essenzialmente esecutiva, mentre l’appalto presuppone un’autonoma organizzazione imprenditoriale e l’assunzione del rischio da parte dell’appaltatore. La distinzione, tuttavia, risulta sempre più complessa quando la prestazione di trasporto si inserisce in un servizio articolato, dotato di autonomia funzionale e continuità organizzativa.

La pronuncia oggetto di esame si colloca in continuità con un orientamento ormai consolidato, secondo cui la presenza di una pluralità e sistematicità delle prestazioni, la pattuizione di un corrispettivo unitario per l’attività complessivamente resa, la realizzazione di servizi ulteriori rispetto al mero trasferimento fisico delle merci e l’impiego di una struttura organizzata di mezzi e personale evidenziano la sussistenza di un appalto di servizi di trasporto. La Corte, valorizzando tali elementi, ha ritenuto che i contratti qualificati dalle parti come trasporto e sub-trasporto fossero in realtà riconducibili allo schema dell’appalto, essendo finalizzati all’esecuzione di un servizio continuativo di distribuzione di merci, comprensivo di attività accessorie quali carico, scarico, numerazione ed etichettatura dei colli, controllo delle spedizioni, gestione dei contrassegni e conservazione della documentazione anche in formato digitale. La presenza di tali prestazioni, come rilevato anche dalla dottrina e ripreso nel documento di supporto , supera la dimensione tipica del trasporto, che resta confinata al trasferimento di cose da un luogo all’altro, e attribuisce rilievo decisivo all’organizzazione imprenditoriale predisposta dall’esecutore. I giudici di legittimità hanno così ribadito che l’autonomia gestionale e l’assunzione del rischio d’impresa costituiscono indici determinanti della natura di appalto, determinando la conseguente operatività del vincolo di responsabilità solidale del committente. Tale responsabilità, disciplinata dall’art. 29 del decreto legislativo n. 276 del 2003, prescinde dal comportamento soggettivo del committente, essendo ancorata all’obiettivo di garantire tutela effettiva ai crediti di lavoro nell’ambito di modelli organizzativi caratterizzati dal decentramento produttivo.

La decisione affronta altresì il tema della non applicabilità, ratione temporis, delle modifiche introdotte al quadro normativo in materia di responsabilità nel trasporto continuativo, rilevando come tali previsioni non interferiscano con la distinzione concettuale tra trasporto e appalto di servizi. È significativo che la Corte escluda ogni automatismo derivante dal ricorso alla disciplina speciale del contratto di trasporto, sottolineando che l’art. 83-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 opera su un piano differente rispetto alla disciplina dell’appalto, senza precludere la possibilità che una prestazione apparentemente riconducibile al trasporto si configuri, nella sostanza, come attività complessa di natura imprenditoriale. La tendenza interpretativa valorizza, pertanto, l’effettiva struttura del rapporto, con particolare attenzione alla continuità dell’attività svolta, alla predeterminazione del corrispettivo su base periodica e alla funzione economica unitaria dell’incarico. In tale quadro si colloca anche la funzione probatoria attribuita agli accertamenti ispettivi, che, pur rilevanti, non sono idonei a sovvertire la ricostruzione sostanziale del rapporto contrattuale né a invertire l’onere di dimostrare l’effettivo pagamento delle retribuzioni dovute ai lavoratori coinvolti nell’esecuzione dell’appalto.

L’interpretazione accolta conferma la prevalenza del dato sostanziale rispetto alla forma negoziale, delineando un approccio volto ad assicurare un elevato livello di protezione dei lavoratori impiegati nelle catene di esternalizzazione. La qualificazione come appalto di servizi comporta, infatti, l’estensione del regime di responsabilità solidale, assicurando continuità e certezza nella tutela dei crediti retributivi in presenza di assetti organizzativi complessi. La sentenza in commento rafforza un percorso giurisprudenziale orientato a verificare non solo l’oggetto formale del contratto, ma la reale natura dell’attività esercitata, valorizzando la presenza di un’organizzazione imprenditoriale autonoma quale criterio distintivo dirimente. L’esito interpretativo appare coerente con la funzione protettiva assegnata dall’ordinamento al principio di solidarietà nelle esternalizzazioni, contribuendo a delineare un quadro sistematico nel quale il committente è chiamato ad assumere un ruolo di garanzia in relazione alle condizioni di lavoro nelle filiere produttive. Ne emerge una lettura orientata alla responsabilizzazione dei soggetti coinvolti e alla promozione di un modello organizzativo trasparente e conforme ai principi di tutela del lavoro, in un contesto economico caratterizzato da una crescente complessità delle operazioni logistiche e distributive.

26 novembre 2025

L’argomento viene trattato anche su taxlegaljob.net

Revoca giudiziale degli amministratori di s.r.l. e autonomia dell’azione cautelare – Cass. 30533/2025

A cura dell’Avv. Francesco Cervellino

La disciplina dei rimedi esperibili nei confronti degli amministratori di società a responsabilità limitata continua a rappresentare un terreno di vivace elaborazione giurisprudenziale e dottrinale, specialmente per quanto concerne l’interazione tra l’azione sociale di responsabilità e la misura, tipicamente cautelare, della revoca giudiziale per gravi irregolarità. La recente pronuncia della Corte di Cassazione n. 30533/2025 costituisce un punto di svolta rilevante, poiché affronta direttamente la vexata quaestio della natura e dell’autonomia dell’azione di revoca rispetto alla domanda risarcitoria, chiarendo se essa possa essere proposta come azione di merito indipendente oppure se debba necessariamente rientrare nell’alveo dell’azione di responsabilità prevista dall’art. 2476, comma 3, del codice civile.

Il caso trae origine da un articolato contenzioso societario nel quale, accanto alla domanda di risarcimento per mala gestio, erano state dedotte condotte degli amministratori ritenute idonee a integrare gravi irregolarità gestionali. La questione che ha stimolato l’intervento della Corte non concerne, quindi, soltanto la ricostruzione fattuale della mala gestio, bensì la possibilità di esercitare la domanda di revoca dell’organo amministrativo anche in sede di giudizio ordinario di merito, non limitandone l’esperibilità alla sola dimensione cautelare.

Il primo terreno di indagine riguarda la collocazione sistematica della revoca nella disciplina dell’art. 2476 c.c. Nella formulazione legislativa, l’avverbio altresì è posto in chiusura del terzo comma e si riferisce alla facoltà attribuita al socio di chiedere provvedimenti cautelari di revoca degli amministratori, in presenza di gravi irregolarità nella gestione societaria. Tale formulazione ha alimentato interpretazioni contrapposte: un primo orientamento riteneva che la revoca avesse natura strettamente cautelare e fosse quindi ammissibile soltanto come misura strumentale rispetto alla successiva azione di responsabilità; un diverso orientamento, invece, propendeva per una lettura più ampia, legittimando la proposizione di una domanda di merito autonoma finalizzata alla rimozione definitiva dell’organo gestorio.

La sentenza in commento riconosce espressamente questa pluralità di ricostruzioni, rilevando come i tribunali abbiano oscillato tra una concezione rigidamente tassativa delle azioni costitutive e una più elastica valorizzazione del dato teleologico della norma. In particolare, viene richiamato il rischio che un’interpretazione eccessivamente restrittiva possa circoscrivere la portata dell’intervento giudiziale, rendendo di fatto inefficace il controllo del socio su condotte gestorie capaci di arrecare pregiudizio grave e immediato alla società.

La Corte ritiene di aderire alla soluzione più ampia, fondata sulla qualificazione dell’azione di revoca come rimedio dotato di autonomia funzionale e non necessariamente subordinato all’esperimento dell’azione risarcitoria. In questa prospettiva, la collocazione topografica della previsione all’interno dell’art. 2476 c.c. non vincola la natura dell’azione; essa, infatti, risponde a una finalità propria: l’eliminazione dell’organo amministrativo in presenza di condotte che rendono pregiudizievole o comunque non affidabile la prosecuzione del suo incarico.

La Corte valorizza, in primo luogo, la ratio dell’istituto, che è quella di porre un rimedio immediato e definitivo a situazioni di grave irregolarità, evitando che l’interesse sociale resti esposto a un pregiudizio difficilmente reversibile. Ne consegue che la revoca giudiziale si configura come un rimedio non già ancillare rispetto all’azione di responsabilità, ma autonomo e diretto alla tutela dell’interesse della società alla corretta amministrazione dell’impresa.

La pronuncia affronta poi l’obiezione fondata sul principio di tassatività delle azioni costitutive, evidenziando come nel caso di specie non venga in rilievo l’introduzione di una nuova figura di sentenza costitutiva, bensì la ricostruzione sistematica del contenuto dell’art. 2476 c.c., la cui formulazione consente di leggere la previsione sulla revoca in chiave non meramente cautelare. Tale interpretazione risulta coerente anche con la disciplina delle società di persone, in cui la revoca per giusta causa può essere chiesta da ciascun socio indipendentemente dall’azione risarcitoria: sarebbe contrario alla logica sistematica ammettere un simile rimedio nelle società di persone e negarlo nelle società di capitali, nonostante la maggiore rilevanza pubblicistica del ruolo gestorio in queste ultime.

L’argomentazione della Corte si fonda, inoltre, su una lettura congiunta del dato letterale e della funzione di garanzia attribuita al socio, che non può essere compressa in nome di un formalismo non richiesto dal legislatore. La revoca, anche se esercitabile in via cautelare, costituisce dunque espressione di un potere sostanziale del socio, il quale, denunciando gravi irregolarità, mira non soltanto a prevenire danni futuri, ma soprattutto a ripristinare la regolare gestione sociale.

Le implicazioni della pronuncia sono rilevanti: si afferma la piena autonomia dell’azione di revoca, aprendo la strada alla possibilità di richiederla come domanda principale nel giudizio di merito, senza necessità di correlazione con una parallela domanda di responsabilità. Tale conclusione contribuisce a definire un assetto più coerente dei rimedi societari, rafforzando la tutela dell’interesse sociale e riducendo le incertezze applicative sinora registrate nella giurisprudenza di merito.

La decisione emerge dunque come un momento di chiarificazione sistematica, idoneo a incidere sulle strategie processuali dei soci e a orientare il giudizio dei tribunali verso un’applicazione più lineare e coerente della disciplina. Resta fermo che l’accoglimento della domanda di revoca richiede sempre un accertamento rigoroso delle gravi irregolarità gestionali, la cui valutazione spetta al giudice di merito secondo criteri di proporzionalità e adeguatezza rispetto all’interesse sociale.

21 novembre 2025

L’argomento viene trattato anche su taxlegaljob.net