La funzione compensativa dell’assegno divorzile e il rilievo del contributo alla conduzione familiare nella recente giurisprudenza di legittimità. Cass. 31087/2025

A cura dell’Avv. Francesco Cervellino

L’evoluzione della giurisprudenza in materia di assegno divorzile continua a offrire spunti di riflessione sul ruolo che il contributo fornito dal coniuge economicamente più debole alla conduzione della vita familiare assume nella determinazione del quantum della prestazione. L’ordinanza della Corte di Cassazione oggetto di analisi, pur inserendosi nel solco interpretativo già tracciato negli ultimi anni, consente di sottolineare come la componente compensativa dell’assegno divorzile abbia acquisito una centralità sistematica tale da orientare in modo significativo la valutazione del giudice di merito. Tale centralità si manifesta, in particolare, quando il contributo non patrimoniale del coniuge richiedente abbia inciso sulla formazione del patrimonio familiare e sulle scelte di vita della coppia, determinando sacrifici individuali che, in sede di divorzio, necessitano di un riequilibrio.

Il caso esaminato dalla giurisprudenza prende le mosse da una relazione coniugale di lunga durata, nel corso della quale la parte richiedente aveva dedicato tempo ed energie alla cura dell’ambiente domestico e del figlio, con conseguente limitazione della propria capacità reddituale. Il giudice di primo grado aveva quantificato l’assegno senza attribuire adeguato rilievo alla portata del contributo familiare, concentrandosi prevalentemente sul divario reddituale attuale tra i coniugi. La Corte d’Appello, al contrario, ha riformato la valutazione, valorizzando una ricostruzione complessiva della situazione economico-patrimoniale, tenendo conto dei redditi, delle condizioni abitative e delle prospettive realistiche delle parti. Dalla motivazione emerge come la Corte abbia ritenuto rilevante non solo il quadro economico presente, ma anche l’apporto fornito alla conduzione familiare, riconoscendo che esso aveva consentito al nucleo familiare un significativo risparmio e una più equilibrata gestione delle risorse. La Corte ha considerato altresì che l’ex marito, pur avendo subito una temporanea contrazione dei redditi, avrebbe potuto beneficiare, secondo una prognosi fondata su elementi concreti, di un ritorno a condizioni economiche più favorevoli.

Il ricorrente ha tentato di ribaltare la decisione di merito lamentando un uso improprio di presunzioni e contestando la valutazione prognostica sui redditi futuri. La Cassazione ha ritenuto infondate tali doglianze, chiarendo che la Corte territoriale non aveva fatto ricorso a presunzioni in senso tecnico, bensì a inferenze logiche basate sulla complessiva ricostruzione delle condizioni economiche delle parti. La censura, dunque, mirava a ottenere una nuova valutazione dei fatti, estranea alla funzione della Corte di legittimità. La motivazione appare conforme ai principi consolidati, secondo cui il sindacato della Cassazione non può tradursi in una rivisitazione del merito ove il ragionamento del giudice di appello risulti sorretto da coerenza logico-argomentativa.

Il cuore della decisione risiede nella riaffermazione della prevalenza della funzione compensativa dell’assegno, già delineata dalle Sezioni Unite nel 2018. La natura composita della prestazione, in cui la componente assistenziale e quella perequativo-compensativa coesistono, richiede che il giudice valuti il contributo fornito dal richiedente alla formazione del patrimonio familiare e al sacrificio delle proprie aspettative professionali. Quando tale contributo risulti determinante, come nel caso trattato, la funzione compensativa non può essere compressa dalla temporanea flessione reddituale dell’altro coniuge. L’assegno, infatti, non è rivolto esclusivamente a garantire mezzi adeguati, ma anche a compensare gli squilibri generati da scelte familiari condivise.

La Corte ha inoltre ribadito che la revisione dell’assegno richiede un mutamento stabile e significativo delle condizioni economiche delle parti, non essendo sufficiente una mera prospettiva di variazione del reddito. In questo senso, la motivazione riafferma la natura tendenzialmente stabile dell’assegno in presenza di circostanze che trovano fondamento in sacrifici non reversibili compiuti durante la vita matrimoniale.

La dichiarazione di inammissibilità del ricorso conferma i limiti invalicabili del giudizio di legittimità e rafforza l’indirizzo interpretativo volto a tutelare il coniuge che, per ragioni familiari, abbia rinunciato a opportunità lavorative o patrimoniali. Appare evidente come la Corte ricorra a un approccio sistematico, fondato sulla lettura coordinata degli artt. 5 e 2729 c.c., al fine di preservare l’equilibrio economico derivante dalla cessazione del rapporto coniugale, senza trasformare il rimedio compensativo in un beneficio sganciato dai presupposti sostanziali.

La pronuncia in esame si inserisce, dunque, in una prospettiva evolutiva che intende valorizzare la dimensione solidaristica del rapporto matrimoniale anche nella sua fase patologica, riconoscendo la necessità di riparare gli effetti economici di scelte condivise ma capaci di incidere diversamente sui percorsi individuali. Tale impostazione, nel confermare l’importanza del contributo endofamiliare nella determinazione dell’assegno, contribuisce a rafforzare la coerenza sistematica dell’istituto e offre agli interpreti un orientamento stabile nella valutazione dei casi concreti.

10 dicembre 2025

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La notificazione postale alle persone giuridiche tra art. 145 c.p.c. e legge n. 890/1982: riflessioni sistematiche a margine dell’ordinanza n. 31857/2025

A cura dell’Avv. Francesco Cervellino

L’ordinanza n. 31857/2025 della Corte di cassazione offre l’occasione per riesaminare in chiave sistematica il rapporto tra la disciplina codicistica della notificazione alle persone giuridiche, dettata dall’articolo 145 del codice di procedura civile, e le regole speciali previste dalla legge n. 890/1982 per la notificazione a mezzo posta. Il tema si colloca nel più ampio contesto dell’effettività del contraddittorio e delle garanzie procedurali, soprattutto laddove la notificazione costituisce il presupposto di validità della vocatio in ius e condiziona, di conseguenza, la stabilità delle decisioni giudiziali. La vicenda decisa dalla Corte, riguardante l’impugnazione di una sentenza sulla base della presunta nullità della notificazione dell’atto introduttivo a una società di capitali, consente di chiarire i confini applicativi delle norme menzionate e di affrontare la questione della qualificazione del soggetto legittimato a ricevere il plico postale presso la sede dell’ente.

La pronuncia muove dalla constatazione che l’avviso di ricevimento della raccomandata costituisce il documento unico e decisivo per verificare la ritualità della notificazione postale, poiché solo tale atto consente di accertare la data, il luogo e la qualità del consegnatario. Pur essendo pacifico che la notifica fosse stata eseguita presso la sede legale della società, risultava nondimeno che la consegna era avvenuta nelle mani di un familiare convivente del rappresentante dell’ente. Il dato formale così emergente imponeva di confrontarsi con il disposto dell’articolo 7 della legge n. 890/1982 e con la sua possibile estensione alle persone giuridiche, soprattutto alla luce dell’elaborazione giurisprudenziale precedente.

Nell’interpretare tale disposizione, la Corte richiama l’orientamento delle Sezioni Unite, le quali avevano riconosciuto che, con riguardo alla notificazione presso la sede di un ente, la consegna del plico può essere validamente effettuata non solo al legale rappresentante, ma anche a una persona all’uopo addetta. Tale estensione, tuttavia, non può spingersi sino a ricomprendere il familiare convivente del rappresentante, poiché il criterio della convivenza, valorizzato nella disciplina delle notificazioni alle persone fisiche, non trova corrispondenza nel sistema della notificazione alle persone giuridiche. In quest’ultimo ambito, la ratio legis mira a garantire che l’atto sia consegnato a soggetti che abbiano un collegamento funzionale con l’organizzazione dell’ente, e non semplicemente un rapporto personale con il suo organo rappresentativo.

È significativo che la Corte ribadisca la necessaria lettura coordinata dell’articolo 145 c.p.c. con la legge n. 890/1982. In particolare, la notifica alle persone giuridiche deve avvenire presso la sede dell’ente e la consegna può essere effettuata esclusivamente nelle mani del rappresentante, della persona incaricata di ricevere le notificazioni o, in mancanza, di altra persona addetta alla sede. L’agente postale può ritenersi esonerato dagli accertamenti ulteriori solo quando il consegnatario dichiari espressamente di essere addetto alla ricezione della corrispondenza, con ciò attivando una presunzione relativa di legittimazione fondata sul principio dell’affidamento. La stessa esenzione non opera quando la persona che riceve il plico si qualifica semplicemente come familiare convivente del rappresentante, difettando qualsivoglia collegamento funzionale con la struttura dell’ente.

La conseguenza di tale ricostruzione è la conferma del principio per cui il familiare convivente non può essere ritenuto soggetto idoneo alla ricezione della notificazione indirizzata a una persona giuridica. L’atto consegnato a un soggetto privo di legame organizzativo con l’ente deve ritenersi affetto da nullità, la quale, come nel caso oggetto dell’ordinanza, comporta la rinnovazione della notificazione e la rimessione della causa al giudice di primo grado. Tale esito non dipende da un formalismo eccessivo, bensì dalla necessità di assicurare che l’ente destinatario sia effettivamente posto in condizione di conoscere tempestivamente l’atto. È, infatti, nell’interesse stesso della certezza dei rapporti processuali evitare forme di notificazione che, pur formalmente completate, non offrano adeguate garanzie sulla conoscibilità dell’atto.

Il documento di approfondimento di taglio divulgativo conferma la centralità del principio di diritto espresso: la notificazione alle persone giuridiche postula un collegamento funzionale tra consegnatario e sede dell’ente. Da ciò discende l’esclusione della figura del familiare convivente, mentre è riconosciuta la legittimità della consegna al soggetto che si qualifichi come addetto, anche sulla base di un incarico verbale e temporaneo. Tali elementi concorrono a delineare un sistema volto a bilanciare l’esigenza di efficienza delle notificazioni e quella di tutela del destinatario, evitando che la funzione garantistica dell’atto venga compromessa da modalità di consegna troppo elastiche.

L’ordinanza n. 31857/2025 appare dunque particolarmente rilevante perché conferma un assetto interpretativo stabile e coerente, che valorizza il dato normativo senza sacrificare le esigenze di certezza e affidamento cui la disciplina delle notificazioni è preordinata. L’approdo sistematico risulta equilibrato: da un lato, si riconosce la validità della consegna del plico a soggetti diversi dal rappresentante legale quando tale consegna avvenga in un contesto organizzativo dell’ente; dall’altro, si esclude che rapporti meramente personali possano fungere da criterio idoneo a garantire la conoscenza dell’atto da parte dell’organizzazione destinataria. Ne emerge una ricostruzione della notificazione alle persone giuridiche come procedimento governato da un criterio funzionale e non formale, nel quale la legittimazione a ricevere l’atto è valutata in relazione al ruolo svolto all’interno della struttura.

Si può, infine, osservare che il ragionamento della Corte contribuisce a consolidare un’interpretazione coerente con i principi del giusto processo, nella misura in cui la regolarità della vocatio in ius non può essere subordinata a elementi accidentali quali la presenza di un familiare presso la sede dell’ente. Tale impostazione assicura un elevato livello di tutela per entrambe le parti del giudizio: per il notificante, che conosce i criteri certi cui conformarsi; e per la persona giuridica, che vede garantita una effettiva possibilità di conoscenza dell’atto. L’ordinanza si pone dunque come un ulteriore contributo alla razionalizzazione del sistema delle notificazioni, confermando la centralità della funzione organizzativa dell’ente nella determinazione dei soggetti legittimati a ricevere l’atto.

10 dicembre 2025

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La responsabilità del professionista delegato alla vendita forzata tra funzione ausiliaria e tutela risarcitoria

A cura dell’Avv. Francesco Cervellino

L’evoluzione normativa e giurisprudenziale della figura del professionista delegato alle operazioni di vendita ex art. 591-bis del codice di procedura civile ha reso necessaria una riflessione sistematica sulla natura dei poteri esercitati, sul regime di responsabilità applicabile e sul rapporto tra attività delegata e funzione giurisdizionale. La sentenza n. 31423/2025 della Corte di cassazione offre un quadro ricostruttivo di particolare rilievo, enunciando principi idonei a definire in modo chiaro la qualificazione dell’operato del delegato e la disciplina della sua responsabilità, collocandosi nel solco del progressivo consolidamento dell’istituto all’interno del procedimento esecutivo immobiliare. La questione si inserisce in un contesto caratterizzato dall’espansione dell’ambito oggettivo della delega, dalla crescente professionalizzazione degli operatori coinvolti e dalla ridefinizione degli equilibri tra giudice dell’esecuzione e ausiliari, specie alla luce delle riforme del 2005, del 2015 e della c.d. riforma Cartabia del 2022.

L’analisi della Corte parte dall’inquadramento della natura del delegato, stabilendo che le operazioni di vendita forzata demandate al professionista non costituiscono esercizio di ius dicere, ma attività meramente esecutive, ancorché strettamente strumentali alla funzione giurisdizionale. Pur essendo ampio il ventaglio delle attribuzioni delegabili, esse restano sottoposte alla supervisione del giudice, il cui intervento è necessario per l’adozione dei provvedimenti decisori che definiscono le diverse fasi del procedimento esecutivo. Tale carattere subordinato consente di qualificare il delegato come ausiliario del giudice, eventualmente sui generis, senza che ciò determini alcuna assimilazione agli “estranei che partecipano all’esercizio della funzione giudiziaria” ai sensi della legge n. 117 del 1988. La sentenza evidenzia che solo questi ultimi esercitano un potere giurisdizionale pieno e autonomo, mentre il professionista delegato opera nell’alveo di poteri conferiti con atto di delega, i cui effetti sono sempre soggetti a conferma o controllo da parte del giudice dell’esecuzione.

L’assetto impugnatorio delineato dall’art. 591-ter c.p.c. conferma tale impostazione, prevedendo che gli atti del delegato siano sottoponibili al vaglio del giudice, il quale decide sulle difficoltà insorte e sui reclami mediante provvedimenti suscettibili di ulteriore contestazione tramite l’opposizione agli atti esecutivi. Risulta pertanto evidente che l’agire del professionista non è mai destinato a produrre effetti autonomamente decisori, alimentando una relazione di stretta dipendenza funzionale che impedisce di ricondurre il delegato nel novero dei soggetti potenzialmente assoggettati al regime della responsabilità civile dei magistrati. La Corte afferma, di conseguenza, che solo il risultato dell’attività delegata, una volta oggetto di intervento del giudice, potrebbe essere eventualmente scrutinato ai fini dell’applicazione della legge n. 117 del 1988, restando comunque attribuibile al giudice dell’esecuzione in quanto autore del provvedimento finale. Il professionista delegato rimane, pertanto, estraneo all’ambito applicativo della disciplina speciale, la cui ratio impone un’interpretazione restrittiva e non consente estensioni analogiche.

Sul versante della responsabilità civile del delegato, la Corte riconduce l’eventuale danno cagionato nello svolgimento dell’attività delegata al paradigma dell’art. 2043 del codice civile, configurando una responsabilità extracontrattuale fondata sulla violazione del principio del neminem laedere. La natura pubblicistica della funzione, benché non giurisdizionale, implica l’esistenza di obblighi di diligenza e correttezza nell’espletamento dell’incarico, la cui inosservanza può generare un affidamento incolpevole in capo agli interessati. Il limite alla responsabilità è individuato nell’esclusione della colpa lieve quando l’attività richieda soluzioni tecniche di particolare difficoltà, principio che richiama quello previsto dall’art. 2236 c.c., pur non trovando applicazione diretta. La sentenza valorizza pertanto un modello responsabilistico equilibrato, in grado di tutelare gli interessi delle parti del processo esecutivo senza comprimere oltre misura l’autonomia operativa del professionista incaricato.

Un passaggio di particolare rilievo attiene alla delimitazione degli obblighi informativi del delegato nella predisposizione dell’avviso di vendita. La Corte ribadisce che il delegato non è gravato da un generale dovere di segnalazione delle formalità pregiudizievoli anteriori al pignoramento, trattandosi di informazioni già contenute nella relazione di stima e liberamente consultabili. L’affidamento dell’aggiudicatario trova tutela solo nei limiti in cui l’omissione del delegato si traduca nella violazione delle prescrizioni normative o delle direttive contenute nell’ordinanza di delega. Viene pertanto esclusa una responsabilità basata su criteri meramente presuntivi o su modelli di colpa d’autore, valorizzando invece l’accertamento concreto della condotta e del nesso causale.

La sentenza n. 31423/2025 contribuisce così a chiarire il ruolo sistemico del professionista delegato, delineandone una figura funzionalmente ausiliaria ma non giurisdizionale, priva di autonomia decisoria e inserita in un rapporto di stretta vigilanza da parte del giudice dell’esecuzione. Ne risulta un inquadramento rigoroso, che favorisce la certezza del diritto e preserva l’equilibrio tra esigenze di efficienza della procedura esecutiva e garanzie di responsabilità. Il modello che emerge è coerente con un sistema nel quale la professionalizzazione degli ausiliari non comporta una deresponsabilizzazione del giudice, né un’eccessiva esposizione del delegato, ma consente una distribuzione razionale delle funzioni e dei relativi rischi. L’articolazione interpretativa proposta appare idonea a indirizzare la prassi applicativa verso soluzioni omogenee e rispettose della ripartizione delle competenze, valorizzando al contempo il ruolo del professionista nella realizzazione di una vendita forzata efficiente, trasparente e conforme ai principi dell’ordinamento.

9 dicembre 2025

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