A cura dell’Avv. Francesco Cervellino
La sentenza n. 18266 del 2025, pronunciata dalla Sezione Tributaria della Corte Suprema di Cassazione, si inserisce con forza nel panorama delle decisioni di maggiore rilievo in materia di imposizione successoria, offrendo un’interpretazione di sicura rilevanza sia per la prassi applicativa sia per l’elaborazione dottrinale. L’arresto affronta, con rigore argomentativo e puntualità sistematica, questioni centrali attinenti alla natura giuridica della dichiarazione integrativa di successione e agli obblighi dell’Amministrazione finanziaria in sede di liquidazione dell’imposta, con specifico riferimento alla disciplina dettata dal Decreto Legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, recante il Testo Unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni.
La fattispecie esaminata trae origine da una controversia promossa da due eredi, le quali avevano impugnato le cartelle di pagamento emesse dall’Agenzia delle Entrate in relazione all’imposta di successione dovuta in qualità di coeredi della de cuius. Le ricorrenti avevano depositato due distinte dichiarazioni di successione: la prima, contenente l’indicazione di cespiti patrimoniali, e una successiva dichiarazione integrativa, con la quale non si erano limitate ad un mero adeguamento monetario dei valori espressi nella precedente dichiarazione, ma avevano provveduto a rettificare e modificare in modo sostanziale le poste patrimoniali dichiarate, segnalando altresì il pagamento di imposte dovute in Francia per beni immobili situati nel territorio di quello Stato.
La Suprema Corte ha affrontato in maniera analitica il tema, chiarendo come la seconda dichiarazione, in quanto idonea ad incidere in modo rilevante sulla determinazione della base imponibile, dovesse considerarsi a tutti gli effetti una nuova dichiarazione ai sensi degli articoli 28, comma 6, e 31, comma 3, del Testo Unico. Tali disposizioni, infatti, prevedono espressamente la possibilità di presentare dichiarazioni integrative o modificative, imponendo all’Amministrazione l’obbligo di tenerne conto nella liquidazione dell’imposta.
La Corte ha evidenziato che, in forza dell’articolo 33 del medesimo Testo Unico, l’ufficio competente non può sottrarsi al dovere di considerare tutte le dichiarazioni presentate, ivi incluse quelle integrative o correttive, ove intervenute prima della notificazione dell’accertamento d’ufficio. La norma in questione, infatti, sancisce in modo inequivoco che la liquidazione dell’imposta deve avvenire in base alla dichiarazione di successione “tenendo conto” delle integrazioni e modificazioni effettuate, così da garantire che l’obbligazione tributaria sia determinata sulla base di dati attuali, corretti e completi.
L’impostazione accolta dalla Suprema Corte si fonda su una rigorosa lettura sistematica della normativa in materia di successioni, improntata alla necessità di assicurare l’effettiva corrispondenza tra il dato dichiarato e l’imposizione liquidata, impedendo che l’Amministrazione fondi la propria pretesa su dichiarazioni non più rispondenti alla realtà patrimoniale rappresentata dal contribuente. In tal senso, l’inerzia o il rifiuto dell’ufficio di procedere ad una nuova liquidazione, in presenza di una dichiarazione integrativa legittimamente presentata, si traduce in una violazione manifesta del precetto normativo, con conseguente illegittimità dell’atto impositivo e dei successivi atti esecutivi.
Sotto altro profilo, la decisione in commento si distingue per la puntuale precisazione del ruolo e dei limiti del potere di autotutela. La Corte ha, infatti, chiarito che l’esercizio di tale potere non può in alcun modo supplire al dovere di procedere a una nuova liquidazione formale dell’imposta, qualora vi siano stati mutamenti sostanziali nella situazione dichiarativa del contribuente. In particolare, l’autotutela, la cui natura discrezionale e non obbligatoria è ben nota, si configura come strumento di correzione di errori o di riduzione della pretesa fiscale, ma non può sostituire l’atto di liquidazione che l’ordinamento impone all’Amministrazione in presenza di dichiarazioni integrative. Pertanto, un eventuale intervento in autotutela non legittima l’omissione di un nuovo avviso di liquidazione, quale unico strumento idoneo a rendere opponibile al contribuente la nuova pretesa impositiva.
In tale prospettiva, la sentenza si pone quale precedente di fondamentale importanza per i professionisti del diritto tributario, nonché per gli operatori dell’Amministrazione finanziaria, ponendo l’accento sull’obbligo di una scrupolosa osservanza del dettato normativo e sulla necessità di un corretto bilanciamento tra esigenze erariali e tutela delle garanzie del contribuente. La statuizione, infatti, rafforza la centralità del principio di buona amministrazione e di legalità, imponendo che ogni pretesa impositiva si fondi su provvedimenti pienamente conformi alla disciplina vigente e basati su un esame completo e aggiornato della situazione fiscale dell’obbligato.
Non può, infine, omettersi di sottolineare come tale decisione si inserisca in un contesto più ampio, nel quale la crescente complessità delle successioni transfrontaliere, specie in presenza di beni ubicati in Stati esteri e di obblighi dichiarativi plurimi, impone un approccio particolarmente rigoroso e consapevole da parte degli operatori giuridici e fiscali. La sentenza in parola si propone dunque quale guida per una corretta gestione delle dichiarazioni di successione e delle relative attività di liquidazione, con inevitabili riflessi sia sul contenzioso tributario sia sulla pianificazione successoria in ambito nazionale e internazionale.
8 luglio 2025