A cura dell’Avv. Francesco Cervellino e Avv. Francesca Coppola
1. Premessa
Le ordinanze nn. 9256 e 9258 del 2025, rese dalla Corte di cassazione, offrono un importante contributo ermeneutico in materia di patto di non concorrenza, con particolare riferimento alla legittimità del pagamento del corrispettivo in costanza di rapporto e alla distinzione concettuale tra i vizi di nullità derivanti dalla indeterminatezza ovvero dall’incongruità del corrispettivo pattuito. Le pronunce, muovendo da una fattispecie concreta nella quale la clausola era contestata per il collegamento del compenso alla durata effettiva del rapporto, riaffermano principi consolidati, valorizzando nel contempo un’interpretazione sistematica che conferisce rilievo all’autonomia negoziale e alla specificità funzionale dell’istituto.
2. La natura autonoma del patto di non concorrenza
La Corte ribadisce che il patto di non concorrenza – pur inserito nel contesto di un rapporto di lavoro subordinato – costituisce un atto negoziale autonomo, la cui validità deve essere scrutinata alla luce di criteri propri, distinti da quelli relativi alla disciplina generale del contratto di lavoro. In particolare, il corrispettivo pattuito in favore del lavoratore non può essere confuso con la retribuzione, configurandosi come obbligazione sinallagmatica destinata a compensare la limitazione della libertà professionale ex articolo 2125 c.c.
3. Requisiti di determinatezza e congruità: l’autonomia dei vizi
Le ordinanze in esame chiariscono la distinzione concettuale tra nullità per indeterminatezza e nullità per incongruità del corrispettivo. La prima attiene all’elemento strutturale dell’obbligazione, richiedendo che il quantum sia determinato o almeno determinabile ex articolo 1346 c.c.; la seconda, invece, impone una valutazione funzionale circa l’effettiva idoneità del compenso a ristorare il sacrificio richiesto al lavoratore.
Tale distinzione non è meramente teorica: essa si traduce nella necessità di condurre due verifiche autonome e puntuali, evitando di desumere la nullità sulla base di presunzioni generalizzate o valutazioni postume degli effetti concretamente verificatisi.
4. La congruità del corrispettivo: valutazione ex ante
Un passaggio di particolare rilievo delle ordinanze – segnatamente dell’ordinanza n. 9256 – consiste nell’affermazione del principio secondo cui la congruità del corrispettivo deve essere valutata ex ante, alla luce del tenore letterale delle clausole e degli obblighi reciproci al momento della sottoscrizione del patto, indipendentemente da ciò che possa in concreto accadere nel prosieguo del rapporto.
Tale approccio si pone in coerenza con l’autonomia funzionale dell’obbligazione pecuniaria derivante dal patto, che può legittimamente persistere anche successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro, o essere adempiuta in costanza di esso, a condizione che la pattuizione soddisfi i requisiti di determinatezza e proporzionalità.
5. Durata del patto e predeterminabilità del compenso
Le ordinanze pongono in evidenza come l’efficacia a tempo determinato del patto rappresenti elemento idoneo a garantire la predeterminazione del corrispettivo. In tal senso, la pattuizione triennale oggetto di giudizio ha consentito di individuare ex ante l’ammontare complessivo dovuto, rendendo il compenso determinabile secondo criteri oggettivi.
Diversamente, ove manchi un termine finale di efficacia del patto, soprattutto in caso di pagamento in corso di rapporto, potrebbe sorgere una problematica di indeterminatezza strutturale del compenso, in quanto risulterebbe obiettivamente complesso calibrare in anticipo l’equilibrio sinallagmatico della clausola.
6. Nullità della clausola e indivisibilità della pattuizione
Un ulteriore profilo di interesse riguarda l’inammissibilità della conservazione parziale del patto in presenza di nullità. La Corte esclude, infatti, che si possa isolare e salvare una parte della clausola, trattandosi di un negozio unitario la cui nullità – se rilevata per uno dei due profili sopra richiamati – investe l’intero accordo.
* * *
Le decisioni della Suprema Corte consolidano e al tempo stesso affinano l’impianto interpretativo in materia di patto di non concorrenza, ribadendo l’esigenza di una verifica rigorosa e articolata, sia in ordine alla struttura che alla funzione della clausola. Viene altresì rafforzato il principio secondo cui il compenso deve risultare non solo certo (o certo determinabile), ma anche proporzionato alla compressione della libertà professionale, valorizzando così il bilanciamento tra libertà negoziale e tutela dei diritti fondamentali del lavoratore.
22 aprile 2025