La “reformatio in peius” nel processo tributario: i confini tracciati dalla Cassazione

A cura dell’Avv. Francesco Cervellino e Avv. Francesca Coppola

Nel panorama del contenzioso tributario si riafferma con forza, grazie all’ordinanza n. 13325 del 2025 della Corte di Cassazione, il principio di divieto di “reformatio in peius” quale baluardo a tutela dell’impugnante nel giudizio di secondo grado. La pronuncia, destinata a riverberarsi ben oltre il caso di specie, chiarisce l’invalicabilità dei limiti imposti dal principio del giudicato interno e, contestualmente, ribadisce il valore sistematico del “quantum devolutum” quale perimetro inderogabile della cognizione del giudice di appello.

La vicenda trae origine da un accertamento operato dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di un imprenditore edile, cui venivano attribuiti maggiori ricavi e, conseguentemente, un maggior reddito, sulla scorta dell’applicazione degli studi di settore. Il contribuente aveva ottenuto in primo grado una parziale riduzione della pretesa impositiva, avendo il giudice riconosciuto in parte la fondatezza delle doglianze sollevate in sede contenziosa. Avverso tale decisione, l’imprenditore proponeva appello, ritenendo ancora eccessiva la misura del reddito accertato. L’Agenzia, tuttavia, decideva di non proporre appello incidentale, rinunciando così a contestare formalmente la parte della sentenza di primo grado a essa sfavorevole.

La Commissione tributaria regionale, investita della controversia, rigettava l’appello del contribuente e – andando oltre il contenuto della decisione di primo grado – confermava integralmente l’originario avviso di accertamento, ripristinando integralmente l’imposizione fiscale inizialmente contestata. In tal modo, la sentenza di secondo grado non solo disattendeva le doglianze del contribuente, ma risultava addirittura più gravosa della pronuncia impugnata, ponendo nel nulla la parziale riduzione ottenuta in primo grado.

Tale epilogo veniva sottoposto al vaglio della Suprema Corte, che accoglieva il ricorso del contribuente, riconoscendo la violazione del principio del divieto di reformatio in peius. La Cassazione, valorizzando un orientamento già consolidato nella propria giurisprudenza (si richiama, tra le altre, la sentenza n. 12275/2018), ha ribadito come anche nel processo tributario trovi applicazione il divieto per il giudice d’appello di emettere una pronuncia peggiorativa della posizione dell’unica parte impugnante, in assenza di una corrispondente impugnazione incidentale della controparte. La mancata proposizione di appello da parte della parte parzialmente soccombente – nel caso di specie l’Agenzia – determina, infatti, la cristallizzazione del giudicato interno in ordine alla porzione della sentenza di primo grado a essa sfavorevole. Il giudice del gravame, dunque, è tenuto a rispettare tale limite, non potendo estendere la propria valutazione oltre i confini del devolutum.

Particolarmente significativa è l’affermazione dei giudici di legittimità circa il vizio di extrapetizione in cui incorre la sentenza di secondo grado che, in assenza di specifica istanza riformatrice da parte dell’Agenzia, abbia riesumato integralmente la pretesa originaria. La Corte ha evidenziato che, così facendo, il giudice d’appello ha violato il principio dispositivo e l’effetto devolutivo dell’appello, travalicando l’ambito della domanda e disattendendo le regole processuali che governano il giudizio tributario.

La portata della decisione va ben oltre il caso concreto, offrendo un importante chiarimento in materia di limiti decisori nei giudizi di impugnazione e rafforzando le garanzie processuali del contribuente. Si conferma, in particolare, che la mancata impugnazione da parte dell’ente impositore equivale a un’accettazione implicita della parte della sentenza a esso sfavorevole, impedendo qualsiasi regressione o reviviscenza della pretesa fiscale originaria in sede di gravame. La decisione della Cassazione si pone così in continuità con una visione sostanzialmente garantista del processo tributario, nel quale il principio di legalità e il rispetto del contraddittorio devono trovare piena attuazione anche nella fase di giudizio d’appello.

In definitiva, l’ordinanza n. 13325/2025 riafferma un principio fondamentale: nel processo tributario, la legittimità dell’azione giurisdizionale del giudice d’appello è subordinata ai confini tracciati dall’iniziativa delle parti. Ove manchi l’appello incidentale, il giudice non può che astenersi dal riesaminare profili coperti da giudicato interno, pena la nullità della sentenza per eccesso di potere giurisdizionale. Una conferma, questa, che l’equilibrio tra poteri giudiziari e garanzie difensive non è solo un’aspirazione di principio, ma un vincolo inderogabile dell’agire giurisdizionale.

21 maggio 2025