A cura dell’Avv. Francesco Cervellino e Avv. Francesca Coppola
L’ordinanza n. 11771 del 2025 della Corte di cassazione riporta all’attenzione della dottrina e della prassi giuslavoristica la complessa questione dell’assorbimento del superminimo individuale, collocandosi in un solco interpretativo che interseca il rapporto fra autonomia individuale, regolazione collettiva e poteri dispositivi delle parti nel contratto di lavoro subordinato.
Il superminimo, emolumento retributivo riconosciuto in misura eccedente rispetto ai minimi tabellari fissati dalla contrattazione collettiva nazionale (CCNL), costituisce una componente retributiva non eterodeterminata, il cui fondamento risiede nella libera negoziazione tra datore di lavoro e lavoratore. Esso può rispondere a finalità eterogenee: valorizzazione della professionalità, compensazione di condizioni particolarmente gravose, fidelizzazione del lavoratore o meri scopi incentivanti.
Tradizionalmente, la giurisprudenza ha accolto il principio secondo cui il superminimo, in assenza di specifiche pattuizioni contrarie, è soggetto al c.d. meccanismo dell’assorbimento. In virtù di tale principio, gli incrementi retributivi futuri, derivanti da innovazioni contrattuali collettive o da progressioni di carriera, possono “assorbire” in tutto o in parte il superminimo, riducendone l’incidenza sul trattamento economico complessivo. Tale meccanismo si fonda su una logica perequativa e sull’esigenza di evitare duplicazioni retributive non giustificate da un effettivo mutamento delle mansioni o del valore della prestazione lavorativa.
Tuttavia, questo principio generale non ha natura imperativa, bensì dispositiva. È pacificamente ammesso, tanto dalla giurisprudenza quanto dalla dottrina prevalente, che l’assorbimento del superminimo possa essere derogato dalle parti mediante specifica clausola contrattuale, la quale ne limiti l’operatività oppure lo escluda in toto. La Corte di cassazione, già in precedenti pronunce (v., ad esempio, Cass. n. 20919/2019), ha ribadito che tale deroga deve risultare da un’espressa manifestazione di volontà, inequivoca e specifica, non potendo desumersi per implicito o mediante interpretazioni estensive di clausole ambigue.
È in questo contesto che si inserisce l’ordinanza in commento, la quale assume rilevanza non solo per la soluzione adottata, ma anche per la metodologia interpretativa seguita. Il caso riguardava un lavoratore che, già beneficiario di un superminimo individuale, aveva ottenuto un avanzamento di livello nell’ambito del sistema classificatorio previsto dal CCNL applicabile. Il datore di lavoro aveva proceduto a ridurre l’importo del superminimo, assumendo che il nuovo trattamento economico – superiore in ragione del nuovo livello – comportasse l’assorbimento dell’emolumento eccedentario. A fondamento della propria posizione, il datore invocava il principio generale di assorbimento, non contestato in sé.
Tuttavia, la clausola pattuita all’atto della corresponsione del superminimo prevedeva espressamente l’assorbibilità esclusivamente in correlazione ad aumenti retributivi derivanti da futuri rinnovi del CCNL, senza menzionare l’ipotesi del mutamento di livello. La Corte, valorizzando il tenore letterale e restrittivo della pattuizione, ha ritenuto che l’assorbimento non potesse operare in assenza di un’espressa previsione. Ciò ha comportato il riconoscimento del diritto del lavoratore a mantenere integralmente il superminimo, anche dopo la promozione.
Tale decisione si pone in linea con l’orientamento che riconosce centralità all’autonomia individuale nella regolazione degli assetti retributivi, pur nel rispetto del sistema gerarchico delle fonti. Si osserva, infatti, che la clausola in oggetto non violava alcuna disposizione imperativa o norma di ordine pubblico, ma si limitava a circoscrivere l’ambito applicativo di un istituto (l’assorbimento) di per sé derogabile.
Dal punto di vista sistematico, la pronuncia offre lo spunto per una riflessione più ampia sul ruolo dell’autonomia individuale nella dinamica delle fonti in materia retributiva. In un contesto in cui la contrattazione collettiva continua a rappresentare il principale parametro regolativo, l’intervento del patto individuale si configura come uno spazio di flessibilità negoziale, purché esercitato in modo consapevole e formalmente corretto.
Ne discende una precisa raccomandazione operativa per gli operatori del diritto del lavoro: la redazione delle clausole retributive, specie quelle relative a istituti variabili come il superminimo, deve essere effettuata con particolare attenzione alla formulazione linguistica e alla chiarezza dell’intento negoziale. È opportuno che ogni clausola di assorbibilità precisi con esattezza le fattispecie in cui l’assorbimento potrà operare, evitando genericità o formule standardizzate che, in sede contenziosa, potrebbero non reggere a un vaglio ermeneutico rigoroso.
In conclusione, l’ordinanza n. 11771/2025 non solo conferma un principio consolidato della giurisprudenza di legittimità, ma contribuisce a delineare un modello interpretativo fondato sulla tutela dell’affidamento legittimo delle parti e sulla centralità del tenore letterale dei patti. In un sistema giuslavoristico sempre più complesso e stratificato, la certezza del diritto e la prevedibilità degli effetti delle clausole contrattuali restano valori imprescindibili per garantire l’equilibrio tra esigenze di flessibilità organizzativa e tutela della posizione soggettiva del lavoratore.
29 maggio 2025