Il divieto di anticipazione mensile del trattamento di fine rapporto fra autonomia negoziale e vincoli ordinamentali: nuove prospettive dopo la sentenza della Cassazione n. 13525/2025

A cura dell’Avv. Francesco Cervellino e Avv. Francesca Coppola

La sentenza della Corte di cassazione n. 13525 del 13 giugno 2025 (di seguito, la Pronuncia) costituisce una tappa nodale nel dibattito, ormai quarantennale, sul rapporto fra autonomia privata e funzione previdenziale del trattamento di fine rapporto (TFR). Il Collegio ha ritenuto radicalmente invalido il patto individuale – stipulato ai sensi dell’art. 2120, ultimo comma, cod. civ. – che preveda l’erogazione continuativa in busta paga di quote maturande di TFR, qualificando tale pattuizione come «abuso dello schema anticipatorio», in quanto volta a svuotare la natura di retribuzione differita del credito in parola .

  1. Inquadramento sistematico dell’art. 2120 c.c.

Sin dal 1982 il legislatore ha configurato il TFR come capitale deferito al momento della cessazione del rapporto, riconoscendo un’eccezione rigorosamente tipizzata tramite l’anticipazione “una tantum”, nella misura massima del settanta per cento del montante, subordinata ad almeno otto anni di anzianità e, comunque, entro il doppio vincolo quantitativo del dieci per cento degli aventi diritto e del quattro per cento dell’organico aziendale . L’ultimo comma della disposizione, però, conferisce alle parti la facoltà di concordare condizioni più favorevoli al prestatore. La Pronuncia concentra l’attenzione proprio su tale clausola di flessibilità, affermando che essa non può tradursi in una “mensilizzazione” priva di causale, poiché ciò altererebbe la funzione previdenziale dell’istituto.

  1. Il perimetro dell’autonomia privata fra causa concreta e ordine pubblico economico

La Corte valorizza il criterio della ragionevolezza funzionale per delimitare lo spazio operativo dell’autonomia negoziale. Viene, in particolare, ribadito che il TFR assolve a una duplice finalità: da un lato, costituire un meccanismo di salvaguardia del potere d’acquisto del lavoratore nell’arco dell’intera vita lavorativa; dall’altro, alimentare il sistema pensionistico integrativo, ove il lavoratore opti per la previdenza complementare. La mensilizzazione annullerebbe tali obiettivi, trasformando il TFR in retribuzione corrente e pregiudicando la capacità di autofinanziamento del “cuneo” previdenziale.

Il ragionamento sotteso – seppur non espresso in termini espliciti – si fonda sulla nozione di ordine pubblico economico quale limite inderogabile all’autonomia negoziale, ai sensi dell’art. 1322, comma 2, cod. civ. Si osserva, tuttavia, che la Corte attribuisce alla disponibilità del credito il rango di diritto inespropriabile, estendendo la tutela ben oltre la lettera della legge. Tale opzione ermeneutica appare di accentuato taglio paternalistico, in linea con pronunce coeve sul salario minimo implicito, ma suscita perplessità ove la si raffronti con i principi di libertà contrattuale e di effettività della tutela del credito.

  1. I riflessi contributivi: l’equilibrio fra indebito oggettivo e obbligazione previdenziale

Sul piano della contribuzione, l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) ha riqualificato le somme anticipate come “retribuzione aggiuntiva”, con conseguente assoggettamento integrale a imponibile previdenziale. La Pronuncia fa propria tale impostazione, argomentando che l’erogazione frazionata «non costituisce anticipazione in senso tecnico, bensì retribuzione ordinaria dissimulata». La dottrina contesta, però, la tenuta logico-sistematica di questa equiparazione: la provvista giuridica già maturata del TFR non produce in sé un aumento del quantum retributivo, ma ne anticipa l’esigibilità; di conseguenza, si configurerebbe un indebito oggettivo ripetibile in favore del datore di lavoro, privo di rilevanza contributiva .

  1. L’interazione con la nota INL 616/2025 e la giurisprudenza di legittimità anteriore

La conclusione della Corte si inserisce in un ordito amministrativo-giudiziario inaugurato dalla nota di vigilanza 616/2025 dell’Ispettorato nazionale del lavoro (INL), che aveva già qualificato la mensilizzazione come condotta elusiva della disciplina previdenziale. La pronuncia, inoltre, prende espressamente le distanze dal precedente Cass. 13 febbraio 2007, n. 4133, chiarendo che tale arresto aveva semplicemente ammesso l’ampliamento delle causali di anticipazione, senza avallare l’erogazione periodica .

  1. Compatibilità sovranazionale e diritto comparato

Una riflessione comparatistica evidenzia l’assenza, nei principali ordinamenti europei, di un divieto espresso di anticipazione continuativa: in Spagna, il finiquito può essere corrisposto a rate previo accordo collettivo, mentre in Germania l’Abfindung non è soggetta a vincoli di periodicità. Ciò non toglie che la Corte costituzionale italiana abbia più volte sottolineato la legittimità di interventi legislativi finalizzati a proteggere «livelli essenziali di tutela» del lavoratore (si veda, ex multis, sent. n. 174/2019 su indennità di licenziamento). In tale prospettiva, la scelta della Cassazione mira a preservare un nucleo inderogabile di garanzie, pur a costo di ridurre la competitività dei modelli retributivi.

  1. Implicazioni operative per imprese e professionisti

Appare evidente che la Pronuncia imponga agli operatori dell’area HR compliance e ai consulenti del lavoro uno scrutinio puntuale degli accordi individuali o collettivi esistenti. In un’ottica di diligenza professionale qualificata – parametro di responsabilità rilevante ex art. 1176, comma 2, cod. civ. – è consigliabile:

  • la rinegoziazione delle clausole di anticipazione, limitando l’adempimento a ipotesi straordinarie sorrette da causale specifica (ad esempio, spese sanitarie gravi o acquisto della prima casa);
  • la previsione di apposite clausole di “claw-back” per la restituzione dell’indebito, al fine di neutralizzare il rischio di passività previdenziali;
  • la contestuale rivalutazione dei fondi interni destinati al TFR, onde garantire la copertura attuariale del debito minimo di fine rapporto.

L’inadempienza potrebbe integrare gli estremi della responsabilità solidale ex art. 29 D.Lgs. 276/2003 nei confronti di appaltatori e sub-appaltatori, nonché generare le sanzioni pecuniarie di cui all’art. 14 D.Lgs. 124/2004.

  1. Prospettive de jure condendo

La rigidità del sistema, evidenziata dalla Cassazione, sollecita un intervento normativo di carattere “abilitante”, che consenta anticipazioni frazionate purché assistite da:

  • capitalizzazione separata delle somme, al fine di salvaguardare il rendimento minimo garantito;
  • contribuzione previdenziale neutra, improntata al principio di cassa derivata (sul modello dell’art. 34 della legge spagnola 31/2022);
  • meccanismi di auto-enrollment nella previdenza complementare, così da preservare la finalità previdenziale originaria.

Un siffatto modello, ispirato ai paradigmi dell’economia comportamentale, consentirebbe di coniugare la flessibilità retributiva con la sostenibilità del sistema di welfare, evitando che l’esigenza di liquidità immediata si traduca in una “ipoteca sul futuro” del lavoratore.

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La sentenza 13525/2025, sebbene suscettibile di critiche sul piano della coerenza esegetica, rappresenta un saldo presidio del principio secondo cui il TFR è, primariamente, salario differito e garanzia di continuità reddituale post contractum finitum. L’interprete dovrà ora misurarsi con un perimetro più ristretto dell’autonomia negoziale, nel quale qualsiasi deroga al regime legale dovrà essere sorretta da una causale estrinseca e compatibile con la ratio previdenziale dell’istituto. Solo una riforma legislativa potrà ridefinire, in termini più equilibrati, la dialettica tra libertà contrattuale e protezione del capitale differito, ponendo rimedio alla tensione – acutamente rivelata dalla Pronuncia – fra efficienza del mercato del lavoro e sicurezza sociale.

13 giugno 2025