Assegno divorzile e parametri perequativo-compensativi: tra consolidamento giurisprudenziale e verifica probatoria. Riflessioni a margine dell’Ordinanza Cass. civ., Sez. I, 17 giugno 2025, n. 16313

A cura dell’Avv. Francesco Cervellino e Avv. Francesca Coppola

La decisione n. 16313 del 17 giugno 2025 della Prima Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione si inserisce all’interno dell’elaborazione giurisprudenziale concernente la determinazione dell’assegno divorzile, con particolare riguardo alla corretta interpretazione dell’art. 5, comma 6, della Legge 1 dicembre 1970, n. 898 (c.d. legge sul divorzio), così come novellata e integrata dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite.

L’ordinanza in esame trae origine da una controversia familiare che ha coinvolto due ex coniugi, a seguito di pronuncia definitiva di divorzio, nella quale si discuteva sia dell’an debeatur che del quantum debeatur dell’assegno divorzile in favore della moglie, nonché della misura del contributo per il mantenimento della prole. La Corte territoriale aveva confermato integralmente la decisione di prime cure, rigettando le richieste dell’ex marito circa la revoca dell’assegno e la riduzione dell’obbligazione alimentare per le figlie. Tuttavia, la Suprema Corte, accogliendo integralmente il ricorso, ha cassato la sentenza impugnata, ravvisando gravi carenze istruttorie e motivazionali.

La pronuncia costituisce un chiaro esempio dell’ormai consolidato orientamento interpretativo che attribuisce all’assegno divorzile una funzione composita, non meramente assistenziale ma, in pari misura, compensativa e perequativa. Tale assetto si è imposto con la celebre sentenza delle Sezioni Unite n. 18287/2018, che ha superato l’ormai obsoleta concezione assistenzialistica fondata sul parametro del tenore di vita matrimoniale, valorizzando invece la necessità di ripristinare un equilibrio economico-patrimoniale tra i coniugi quale effetto del contributo fornito, durante la convivenza coniugale, alla realizzazione del progetto familiare.

La Corte di legittimità, nell’ordinanza in commento, rileva che la Corte d’Appello non ha svolto alcuna compiuta verifica circa la sussistenza dello squilibrio economico-patrimoniale quale precondizione per la legittimità dell’attribuzione dell’assegno. In particolare, non è stato svolto alcun effettivo giudizio comparativo sulle condizioni delle parti, né è stato valutato il patrimonio disponibile, la capacità lavorativa attuale o potenziale e i sacrifici sostenuti durante la vita matrimoniale dal coniuge richiedente.

Risulta infatti documentalmente provato che la ex coniuge, oltre a beneficiare di un reddito da lavoro con contratto a termine reiteratamente rinnovato, aveva altresì percepito somme rilevanti dalla dismissione di immobili, tra cui circa 180.000 euro derivanti da vendite situate in Sicilia, oltre ad aver estinto un mutuo gravante su un altro immobile, così liberandosi da significativi oneri passivi. Parimenti non più sostenuto era il canone di locazione precedentemente a suo carico. Tali circostanze, idonee a configurare una condizione di autosufficienza economica, non sono state oggetto di alcuna considerazione da parte della Corte territoriale, in palese violazione dell’art. 115 cod. proc. civ.

L’ordinanza si sofferma, altresì, sul tema della prova della funzione compensativa dell’assegno, affermando che la rinuncia ad opportunità professionali da parte del coniuge richiedente non necessita di prova specifica e documentale, potendo essere desunta da presunzioni gravi, precise e concordanti, fondate sulla fotografia della vita familiare. Tuttavia, tale funzione non può operare in astratto, ma deve essere rigorosamente correlata alla dimostrazione di un pregiudizio economico conseguente alla rinuncia o alla prevalente dedizione alla cura domestica, nell’ambito di una concreta ripartizione dei ruoli.

In definitiva, si osserva che l’obbligo di contribuzione economica post-matrimoniale, ancorché informato a criteri di solidarietà coniugale, non può tradursi in un automatico diritto all’assegno divorzile, dovendo piuttosto fondarsi su un accertamento stringente e puntuale delle condizioni economiche, delle dinamiche relazionali pregresse e degli apporti materiali e immateriali offerti alla comunità familiare.

Di analoga rilevanza appare il rilievo formulato dalla Corte con riferimento al contributo per la figlia collocata presso una struttura assistenziale. In tale contesto, l’omessa motivazione sul punto da parte della Corte d’Appello si traduce in una violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., per difetto assoluto di motivazione su una questione decisiva e puntualmente dedotta dalla parte ricorrente.

L’ordinanza si chiude con la cassazione della sentenza impugnata e con il rinvio alla Corte d’Appello di Genova in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità. Essa conferma l’esigenza di una rigorosa applicazione dei principi di diritto elaborati dalle Sezioni Unite e ribadisce che l’attribuzione dell’assegno divorzile non possa mai prescindere da una concreta ed effettiva verifica del pregiudizio economico derivante dallo scioglimento del vincolo coniugale.

19 giugno 2025