A cura dell’Avv. Francesco Cervellino e Avv. Francesca Coppola
Nell’odierno contesto ordinamentale, il rapporto dialettico fra esigenze dell’Erario e salvaguardia dei diritti sociali fondamentali richiede un inquadramento armonico delle norme che disciplinano l’esecuzione forzata su crediti aventi natura assistenziale. La pronuncia resa il 5 maggio 2025 dalla Corte di giustizia tributaria (CGT) di primo grado di Piacenza (sentenza 85/2/2025) costituisce un approdo ermeneutico di particolare rilievo, giacché affronta il tema della pignorabilità di tali crediti alla luce del complesso catalogo di garanzie approntato dall’ordinamento.
Il fulcro della questione ruota attorno all’interazione fra l’articolo 545 del Codice di procedura civile (CPC), che delinea il regime delle impignorabilità e delle relative soglie, e l’articolo 57 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, che affida al giudice dell’esecuzione la cognizione delle opposizioni «relative alla pignorabilità dei beni» dopo la formazione del titolo esecutivo in ambito tributario. Il decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, segnatamente all’articolo 2, definisce invece la giurisdizione del giudice tributario con riferimento alle controversie connotate da natura impositiva. Su tale impianto ha inciso in maniera decisiva l’ordinanza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione n. 7822/2020, la quale ha confermato che, una volta cristallizzata la pretesa fiscale, ogni contestazione concernente la legittimità del pignoramento va proposta davanti al giudice ordinario in sede di opposizione ex articolo 615 CPC.
I crediti di matrice assistenziale – si pensi alle indennità di accompagnamento, ai sussidi erogati ai sensi della legge n. 153/1969 ovvero alle misure di sostegno riconducibili all’articolo 38 della Costituzione – rivestono carattere strettamente funzionale alla garanzia del minimum vitale. La Corte costituzionale ha più volte ribadito che l’esecuzione forzata non può comprimere tali risorse in misura tale da pregiudicare la dignità della persona; ciò in ossequio al principio di proporzionalità che permea lo statuto dei diritti sociali. Il legislatore, recependo dette coordinate, ha previsto meccanismi di salvaguardia che vanno dalla assoluta impignorabilità (ad esempio per le provvidenze legate alla condizione di disabilità) alla pignorabilità nei limiti di un quinto, analogamente a quanto stabilito per i trattamenti pensionistici.
Nel caso deciso dalla CGT di Piacenza, il debitore aveva sollevato opposizione all’esecuzione deducendo l’impignorabilità delle somme in quanto correlate a prestazioni assistenziali. Il giudice tributario, in applicazione della citata ordinanza 7822/2020, ha ritenuto di dover declinare la propria giurisdizione poiché la contestazione incideva sulla fase esecutiva e non sul titolo impositivo. È d’uopo evidenziare che la linea di confine non è tracciata dalla natura tributaria del credito azionato, bensì dal momento in cui la doglianza viene prospettata: prima della definitività dell’atto impositivo opera la giurisdizione tributaria; successivamente, ogni questione sulla pignorabilità migra nella sfera del giudice ordinario.
L’assetto così delineato appare coerente con i principi di cui agli articoli 24 e 113 della Costituzione, che impongono la garanzia di un rimedio effettivo dinanzi al giudice naturale precostituito per legge, nonché con l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. In particolare, la tutela della dignità (articolo 1 CDFUE) e la protezione dei diritti sociali culminano nell’esigenza di assicurare che le misure esecutive dello Stato non erodano l’essenziale contenuto delle prestazioni assistenziali, pena la compromissione dello status personae.
Alla luce del quadro illustrato, l’avvocato o il commercialista che assista il debitore dovrà esercitare una diligenza professionale qualificata nell’individuare la corretta azione da esperire. Qualora la pretesa tributaria sia ormai consolidata ed il concessionario proceda con pignoramento su prestazioni assistenziali, il rimedio elettivo è l’opposizione all’esecuzione ai sensi dell’articolo 615 CPC, da incardinarsi entro il termine di venti giorni dalla notifica dell’atto. L’esperienza applicativa dimostra che la coltivazione di tale opposizione, corredata da documentazione idonea a comprovare la natura assistenziale delle somme, consente al giudice dell’esecuzione di sospendere ovvero di limitare il vincolo, preservando la funzione vitale dell’emolumento.
La pronuncia in commento riafferma il principio per cui la tutela del minimum vitale prevale sulle esigenze di soddisfacimento del credito erariale quando l’esecuzione violi i limiti di pignorabilità previsti dall’ordinamento. Sotto il profilo sistematico viene così evidenziata la complementarità fra giudice tributario e giudice ordinario: al primo spetta stabilire l’an debeatur dell’obbligazione fiscale; al secondo il se e il quomodo dell’aggressione patrimoniale. Tale ripartizione, lungi dal generare frizioni, realizza un dialogo funzionale tra giurisdizioni che, in ultima istanza, garantisce un bilanciamento ragionevole fra imperativi di finanza pubblica e tutela dei diritti sociali, nel solco dell’interpretazione costituzionalmente orientata del sistema esecutivo.
30 giugno 2025