Autonomia contrattuale e detenzione di animali domestici nei contratti di locazione: nuove prospettive dopo la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 1254/2025.

A cura dell’Avv. Francesco Cervellino e Avv. Francesca Coppola

Nel solco della riflessione dottrinaria sull’autonomia negoziale, la pronuncia della Corte d’appello di Napoli del 2 luglio 2025, n. 1254, offre lo spunto per riaffermare la centralità dell’art. 1322 del Codice civile (d’ora innanzi «c.c.») quale clausola generale di legittimazione dell’autonomia privata, pur entro i limiti posti dall’ordine pubblico, dal buon costume e, in tempi più recenti, dai valori costituzionali di protezione dell’ambiente e del benessere animale, oggi consacrati nell’art. 9 Costituzione. Il caso decideva della validità di una clausola contrattuale con la quale il locatore vietava al conduttore la detenzione di animali domestici nell’unità immobiliare, nonché della domanda di risoluzione contrattuale proposta a seguito delle molestie olfattive asseritamente provocate dal cane dell’inquilina.

La validità del divieto di possesso di animali: dall’art. 1341 c.c. alla dimensione sovranazionale

La Corte partenopea ha riconosciuto la piena legittimità della pattuizione, ritenendo che essa non integri alcuna delle clausole espressamente qualificate come vessatorie dall’art. 1341, comma 2, c.c. Né risulta vulnerata, ad avviso della Corte, la disciplina in materia di clausole abusive nei contratti con i consumatori di cui al d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 («Codice del consumo»), atteso che l’oggetto della clausola non incide su diritti fondamentali inviolabili del conduttore. La decisione, pertanto, si colloca in linea di continuità con l’orientamento della Corte di Cassazione (d’ora innanzi «Cass.») inaugurato da Cass., sez. II, 17 febbraio 2011, n. 3705, secondo cui l’elenco delle clausole vessatorie è di stretta interpretazione, onde evitare incertezze nella circolazione dei contratti.

Il divieto non contrasta neppure con l’ultimo comma dell’art. 1138 c.c., disposizione che preclude al regolamento condominiale di vietare il possesso di animali da compagnia, giacché la ratio della norma è circoscritta alla dimensione dell’autonomia collettiva condominiale: la clausola contrattuale inter privatos resta dunque salva. Sul piano sovranazionale va rimarcato come il diritto dell’Unione europea (d’ora innanzi «UE») non imponga, allo stato, obblighi di tutela del proprietario di animali nei rapporti locatizi, limitandosi a promuovere il benessere animale quale principio orizzontale (art. 13 TFUE). Ne discende l’ampio margine di discrezionalità riconosciuto agli Stati membri nella conformazione della materia.

Clausola di divieto e principio di proporzionalità

Pur attestandone la validità astratta, la sentenza richiama implicitamente l’esigenza di una lettura proporzionale della clausola, alla luce degli obblighi di buona fede oggettiva (artt. 1175 e 1375 c.c.). In termini applicativi ciò significa che il divieto non può tradursi in uno strumento di discriminazione indiretta ove la detenzione dell’animale si riveli compatibile con la struttura dell’immobile e con le concrete modalità di godimento. È dunque ragionevole ritenere che, in presenza di animali di piccola taglia o di comprovata assenza di pregiudizi per la cosa locata e per i terzi, la clausola possa arrecare un sacrificio eccedente l’interesse protetto del locatore; in tali casi, la sua applicazione esige un vaglio rigoroso di proporzionalità.

L’inadempimento come fatto giuridico complesso

Quanto al terreno rimediale, la Corte ha negato la risoluzione, osservando che le immissioni moleste lamentate non integravano un inadempimento grave e irreparabile, suscettibile di alterare in modo apprezzabile l’equilibrio sinallagmatico. La decisione valorizza sia la continuità dell’adempimento – l’animale conviveva con la conduttrice sin dalla stipulazione – sia la natura emendabile della condotta, potendosi ricorrere a rimedi conservativi quali diffide ad adempiere circostanziate o prescrizioni igienico–sanitarie. L’applicazione del principio di conservazione del contratto, che permea l’intero sistema rimediale, impone di preferire soluzioni meno draconiane rispetto allo scioglimento del vincolo, soprattutto quando il danno lamentato sia compensabile mediante azioni di responsabilità o cautele tecniche.

Animali domestici e conflitti di vicinato: la dimensione economico–sociale

Non può sottacersi la proiezione economica del divieto di detenzione: esso tende a contenere i costi potenziali di manutenzione e i rischi di responsabilità civile per il locatore, ma, se generalizzato, può generare segmentazioni del mercato locativo e pressioni inflazionistiche sui canoni praticati ai conduttori proprietari di animali. La dottrina economica dell’abusivismo contrattuale insegna che la riduzione dell’offerta si traduce in un incremento dei prezzi, con conseguente allocazione inefficiente delle risorse abitative e possibile compressione del diritto all’abitazione garantito dall’art. 47 Cost.

Riflessioni di de iure condendo

La crescita esponenziale delle famiglie che convivono con animali domestici suggerisce di valutare un intervento legislativo volto a tipizzare cause di nullità o di inefficacia delle clausole limitative, quantomeno quando sia dimostrabile la compatibilità dell’animale con la destinazione dell’immobile. Una siffatta riforma troverebbe fondamento nell’orientamento della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU), secondo cui la nozione di «vita privata e familiare», ex art. 8 Convenzione, include relazioni affettive con esseri senzienti diversi dall’uomo. In tal modo il legislatore contribuirebbe alla riduzione dei rischi di discriminazione indiretta e alla promozione di standard abitativi rispettosi del benessere animale, in coerenza con la recente riforma dell’art. 9 Cost.

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La sentenza in commento si situa nel quadro di un bilanciamento delicato tra libertà contrattuale e tutela di interessi non patrimoniali emergenti. Essa chiarisce che il divieto di detenzione non è, di per sé, contrario a legge, ma la sua applicazione non può eludere il vaglio della proporzionalità, della buona fede e della tutela dell’affidamento reciproco. Per gli operatori professionali – avvocati, commercialisti nonché property manager – la sfida si traduce nella redazione di clausole «intelligenti», capaci di calibrare l’interesse del locatore alla preservazione del bene con quello del conduttore alla piena esplicazione della propria vita familiare, in un’ottica di sostenibilità sociale ed economica del contratto di locazione.

 

In tale prospettiva, la diligenza professionale qualificata esige l’adozione di check–list contrattuali che prevedano obblighi di comportamento graduati, coperture assicurative mirate e clausole risolutive espresse di natura parametrica, onde scongiurare tanto la sterilizzazione della libertà contrattuale quanto l’insorgenza di contenziosi defatiganti. Solo così l’autonomia privata potrà continuare a esprimere la propria funzione compositiva degli interessi, evitando che il contratto si trasformi in uno strumento di esclusione sociale e mantenendo ferma l’esigenza, costituzionalmente orientata, di promuovere una convivenza civile rispettosa anche della sensibilità animalista.

2 luglio 2025