A cura dell’Avv. Francesco Cervellino e Avv. Francesca Coppola
La pronuncia della Corte Suprema di Cassazione, Sezione Seconda Civile, resa nella camera di consiglio del 17 aprile 2025, si inserisce in un filone giurisprudenziale ormai consolidato in materia di determinazione dei compensi professionali e del regime degli interessi moratori applicabili alle obbligazioni pecuniarie derivanti da prestazioni d’opera intellettuale, con particolare riferimento alla professione forense.
La controversia trae origine dal ricorso proposto, ai sensi dell’art. 14 del Decreto Legislativo 1 settembre 2011, n. 150, da due avvocate che hanno prestato attività difensiva in favore di una società di capitali. Le ricorrenti hanno domandato la liquidazione giudiziale dei compensi maturati e la condanna della controparte al relativo pagamento. Il Tribunale di Bergamo, giudicando in contumacia della convenuta e pronunciandosi ex art. 281-sexies c.p.c., ha riconosciuto l’importo preteso, liquidando tuttavia gli interessi nella sola misura legale ex art. 1284 c.c., con decorrenza dalla proposizione della domanda giudiziale.
La doglianza delle ricorrenti, accolta dalla Corte di legittimità, ha riguardato la violazione della disciplina dettata dal Decreto Legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, recante attuazione della Direttiva 2000/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, concernente la lotta contro i ritardi nei pagamenti nelle transazioni commerciali. Il Collegio ha riconosciuto che tale disciplina speciale si applica anche ai contratti d’opera professionale, e quindi anche all’attività forense, qualificabile, in determinate circostanze, come prestazione soggetta a rapporti di natura commerciale tra professionista e cliente imprenditore o ente.
In particolare, la Suprema Corte ha evidenziato che il riconoscimento degli interessi moratori di cui agli artt. 4 e 5 del D.Lgs. n. 231/2002 non presuppone la piena liquidità del credito, bensì richiede esclusivamente che il ritardo nel pagamento non sia giustificato da una causa non imputabile al debitore. A tal proposito, rileva l’orientamento che esclude l’applicabilità del principio romanistico in illiquidis non fit mora e ammette l’operatività della mora anche in presenza di crediti non ancora determinati nel quantum, purché siano ragionevolmente stimabili, come accade nel caso dei compensi professionali calcolabili sulla base dei parametri forensi vigenti.
Degno di nota è il richiamo al quarto comma dell’art. 1284 c.c., il quale dispone che, in assenza di diversa pattuizione tra le parti, a decorrere dalla proposizione della domanda giudiziale si applica il saggio degli interessi previsto dalla normativa speciale relativa ai ritardi nei pagamenti delle transazioni commerciali. Tale previsione riconduce dunque direttamente al tasso previsto dal D.Lgs. n. 231/2002, il quale ha carattere sanzionatorio e compensativo per il ritardo ingiustificato nell’adempimento di obbligazioni pecuniarie.
La Corte ha altresì ritenuto erronea la motivazione del giudice di merito nella parte in cui ha omesso di valutare la documentazione stragiudiziale attestante la costituzione in mora della società debitrice, avvenuta ben prima dell’introduzione del giudizio, e ha quindi cassato la sentenza con rinvio per una nuova valutazione anche ai fini della corretta decorrenza degli interessi moratori.
Quanto al secondo motivo di ricorso, avente ad oggetto la mancata pronuncia sulla rivalutazione monetaria del credito, la Corte lo ha rigettato, aderendo all’orientamento secondo cui la mancata liquidità del credito impedisce il riconoscimento automatico della rivalutazione. Tuttavia, è stato ribadito che anche in presenza di contestazioni circa l’esistenza o l’ammontare del credito, il comportamento dilatorio del debitore può integrare una colpa sufficiente a fondare la decorrenza degli interessi moratori dalla data della domanda o dalla diffida stragiudiziale.
Il principio affermato, dunque, consolida una prospettiva interpretativa volta ad attribuire rilievo alla condotta processuale e pre-processuale del debitore, qualificandola in termini di diligenza professionale qualificata ex art. 1176, comma 2, c.c. In tale ottica, l’omessa tempestiva contestazione del credito ovvero l’assenza di motivi giuridicamente apprezzabili per il mancato pagamento consente di ravvisare la colpa contrattuale e, di conseguenza, di applicare il regime sanzionatorio proprio degli interessi moratori commerciali.
La decisione in oggetto si presenta di indubbia rilevanza sistematica, in quanto rafforza la posizione creditoria del professionista nell’ambito delle obbligazioni di valuta, chiarendo le condizioni e i presupposti per l’applicazione della disciplina antiritardo prevista dalla normativa unionale e recepita nel diritto interno. Essa contribuisce inoltre a delineare con maggiore certezza il perimetro operativo del D.Lgs. 231/2002, estendendone l’efficacia ai rapporti obbligatori derivanti da prestazioni d’opera intellettuale in ambito professionale, conferendo valore alla funzione sanzionatoria degli interessi moratori anche in contesti non propriamente commerciali in senso stretto.
La Corte ha cassato l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Bergamo in diversa composizione, affinché provveda a un nuovo esame della domanda tenendo conto dei principi espressi, riaffermando con ciò la centralità della tutela del credito professionale nell’ordinamento giuridico, in un’ottica di effettività delle garanzie a presidio della giusta remunerazione dell’attività intellettuale.
16 luglio 2025