La rinuncia al diritto di proprietà immobiliare e alla quota di comproprietà: profili civilistici e risvolti applicativi dopo la sentenza n. 23093/2025 delle Sezioni Unite

A cura dell’Avv. Francesco Cervellino e Avv. Francesca Coppola

La recente sentenza n. 23093/2025 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione segna un punto di svolta nel sistema delle fonti in materia dominicale, riconoscendo la piena legittimità e l’efficacia giuridica dell’atto unilaterale di rinuncia al diritto di proprietà immobiliare. Tale orientamento supera definitivamente le incertezze ermeneutiche che avevano fino ad oggi ostacolato la concreta operatività di tale istituto, specialmente nei rapporti con la pubblica amministrazione e, in particolare, con l’Agenzia del Demanio.

L’assenza di una disciplina espressa nel Codice civile in ordine alla rinuncia alla proprietà, se non per la previsione contenuta all’art. 827 c.c. secondo cui i beni immobili vacanti spettano al patrimonio dello Stato, non ha impedito alla giurisprudenza di elaborare una lettura sistematica in grado di ricomprendere l’atto abdicativo nell’ambito dei diritti disponibili dell’individuo. Ciò ha consentito di colmare il vuoto normativo attraverso l’applicazione del principio generale di autonomia privata, fondamento dell’intero impianto codicistico in materia di diritti reali.

Nel contesto della comunione, invece, la disciplina codicistica è più articolata: l’art. 882 c.c. e l’art. 1104 c.c. prevedono espressamente la facoltà del partecipante di rinunciare alla propria quota per sottrarsi all’obbligo di contribuzione alle spese. Questi articoli costituiscono il fondamento normativo per ritenere ammissibile, e soprattutto efficace, la rinuncia parziale alla comproprietà, con effetti che si traducono nell’accrescimento automatico della quota in capo agli altri contitolari.

La portata innovativa della sentenza risiede, in primo luogo, nell’affermazione del principio secondo cui l’atto unilaterale di rinuncia, anche quando comporti conseguenze economicamente onerose per i soggetti terzi (in particolare per lo Stato), non può essere considerato illecito, salvo che ricorrano elementi di abuso del diritto, illiceità della causa o simulazione. L’accertamento dell’intento emulativo, difatti, richiede una valutazione rigorosa e caso per caso, che non può prescindere dal principio generale dell’esercizio legittimo di un diritto soggettivo, il quale, in quanto tale, non può generare ex se una responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’art. 2043 c.c.

In secondo luogo, la pronuncia esclude la configurabilità di un danno ingiusto in capo ai comproprietari accresciuti, nei cui confronti la rinuncia produce l’espansione automatica delle rispettive quote. La legittimità dell’atto rinunciativo impedisce, pertanto, la nascita di un’obbligazione risarcitoria a carico del rinunciante, anche quando tale atto comporti per i coeredi o contitolari un aggravio delle responsabilità gestionali o manutentive.

La riflessione si estende altresì all’ambito operativo, ove la portata della sentenza appare particolarmente rilevante per la prassi notarile e per la gestione patrimoniale degli immobili cosiddetti “problematici”. Numerosi soggetti, infatti, desiderano alienare beni immobiliari di scarso valore o addirittura fonte di costi (IMU, assicurazioni, interventi di messa in sicurezza), senza peraltro riuscire a trovare acquirenti o donatari disposti ad accollarsi tali oneri. In tali situazioni, la rinuncia si presenta come strumento di razionalizzazione patrimoniale, ora pienamente fruibile.

Da un punto di vista procedurale, l’atto di rinuncia si configura come atto unilaterale non traslativo, con effetti a titolo originario: ne discende che non è necessaria la conformità catastale o urbanistica del bene, né la presenza di titoli edilizi o certificati di destinazione urbanistica. Neppure l’attestato di prestazione energetica è richiesto, semplificando in modo significativo l’attività di redazione e stipula dell’atto da parte del notaio rogante.

Tuttavia, la sentenza ribadisce altresì alcuni limiti rilevanti: la rinuncia non ha effetto estintivo rispetto ai diritti reali o personali già costituiti sul bene (ipoteche, usufrutti, servitù), né libera il rinunciante dalle obbligazioni pregresse, comprese quelle risarcitorie o ambientali. Il rischio, in tali casi, è rappresentato dalla possibilità che il creditore promuova azione revocatoria ex art. 2901 c.c. per contrastare un atto pregiudizievole ai propri diritti.

La trascrizione dell’atto contro il soggetto rinunciante è condizione di opponibilità erga omnes; sebbene non obbligatoria, è altamente consigliabile anche la trascrizione a favore del Demanio dello Stato, al fine di consentire l’automatica voltura catastale e liberare il rinunciante da ogni collegamento giuridico con il bene. Dal punto di vista fiscale, infine, la natura gratuita e la destinazione a favore dello Stato escludono l’applicabilità dell’imposta di donazione nonché delle imposte ipotecaria e catastale, rendendo l’atto non solo snello ma anche esente da oneri tributari.

La pronuncia delle Sezioni Unite del 2025 costituisce un punto fermo nell’evoluzione del diritto dominicale e della disciplina della comunione, riaffermando il primato dell’autonomia negoziale e riconoscendo all’istituto della rinuncia una dignità giuridica piena e operativa. Essa consente di affrontare, con strumenti adeguati e ormai privi di incertezze, le frequenti situazioni di paralisi patrimoniale, agevolando la circolazione e la dismissione dei beni immobiliari privi di utilità economica e rafforzando la certezza del diritto nella prassi notarile e immobiliare.

19 agosto 2025