La prova del lavoro subordinato in ambito familiare: presunzioni, onerosità e funzione accertativa della giurisprudenza nella dialettica tra autonomia privata e tutela previdenziale

A cura dell’Avv. Francesco Cervellino e Avv. Francesca Coppola

L’ordinanza n. 23919 del 2025 della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, offre un’importante occasione per riflettere sul perimetro probatorio e sulle condizioni di opponibilità dei rapporti di lavoro instaurati tra familiari, in un quadro ordinamentale nel quale si intersecano esigenze di tutela previdenziale, limiti dell’autonomia contrattuale e presidi antifraudolenti. Il provvedimento conferma un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui il vincolo familiare – in quanto elemento idoneo a generare presunzioni di gratuità – impone alla parte privata un onere probatorio rafforzato, ancor più stringente in assenza di convivenza.

La vicenda in esame riguarda la contestazione, da parte dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), di un rapporto di lavoro agricolo subordinato intercorso tra padre e figlio, formalmente riconosciuto in via amministrativa e successivamente disconosciuto a seguito di verifiche ispettive. L’amministrazione, agendo in autotutela, ha revocato il provvedimento di accoglimento dell’iscrizione del lavoratore negli elenchi anagrafici agricoli, ritenendo priva di elementi oggettivi la dedotta sussistenza della subordinazione.

Nel ricorso avverso l’atto di annullamento, il datore di lavoro aveva invocato la non convivenza tra le parti quale elemento idoneo a fondare, se non una presunzione legale, quanto meno un’indicazione sintomatica della natura onerosa del rapporto. La Corte ha tuttavia confermato l’orientamento secondo cui l’assenza del vincolo di convivenza non comporta l’inversione dell’onere probatorio, né è sufficiente a dimostrare la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato. In particolare, si esclude che l’elemento della non convivenza possa generare una presunzione iuris tantum di onerosità speculare a quella di gratuità attivata in caso di coabitazione, ponendosi tale interpretazione in contrasto con il principio di tipicità delle presunzioni e con il dovere di rigorosa prova degli elementi qualificanti il rapporto di lavoro.

La decisione si innesta in un solco giurisprudenziale che tende a valorizzare la funzione sostanziale degli elementi costitutivi del rapporto di lavoro subordinato – quali l’assoggettamento al potere direttivo e disciplinare del datore, la continuatività della prestazione e, soprattutto, l’onerosità – subordinando il riconoscimento della subordinazione alla dimostrazione piena e non meramente documentale della loro esistenza. La produzione di buste paga, cedolini o documenti fiscali assume valore meramente indiziario e non può, da sola, fondare il riconoscimento del rapporto in presenza di un legame familiare idoneo ad attivare una presunzione contraria.

La posizione della Corte si rafforza ulteriormente se considerata alla luce della disciplina dettata dall’articolo 230-bis del codice civile, norma che, nel delineare l’istituto dell’impresa familiare, ammette la possibilità di un apporto lavorativo in ambito familiare non soggetto a disciplina lavoristica ordinaria, bensì riconducibile a un modello di partecipazione cooperativa extra-contrattuale, con diritti patrimoniali proporzionati al contributo prestato ma privi delle caratteristiche del rapporto subordinato. Da ciò consegue che, in assenza di elementi specifici, gravi e concordanti, la prestazione lavorativa resa da un familiare si presume gratuita o comunque inserita in un contesto solidaristico e non negoziale.

Rilevante sotto il profilo procedurale è il chiarimento circa la natura e l’estensione dell’onere probatorio in ambito ispettivo. In linea con quanto statuito dalla giurisprudenza amministrativa in materia di autotutela, la Corte ha ribadito che, in sede di annullamento d’ufficio, l’amministrazione non è tenuta a dimostrare in senso proprio l’insussistenza del rapporto, bensì ad accertare l’inidoneità degli elementi documentali a comprovare i presupposti della prestazione lavorativa subordinata. Tale impostazione valorizza la funzione pubblicistica dell’attività accertativa e preserva l’effettività della tutela previdenziale, evitando che l’amministrazione resti vincolata a provvedimenti adottati in assenza di istruttoria adeguata o sulla base di mere dichiarazioni di parte.

Sotto il profilo sistemico, l’ordinanza in commento conferma che la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato in ambito familiare, pur essendo ammessa in astratto, richiede una rigorosa attività dimostrativa, tanto più stringente quanto più stretta è la relazione affettiva tra le parti. L’interesse pubblico alla corretta applicazione delle norme previdenziali e alla prevenzione di abusi documentali impone un’interpretazione restrittiva della prova della subordinazione, che non può ridursi alla produzione formale di documentazione unilaterale o autoreferenziale.

La pronuncia della Cassazione riafferma una lettura sostanzialistica del rapporto di lavoro subordinato, fondata sulla piena verificabilità degli elementi strutturali e sull’insufficienza di presunzioni inverse alla gratuità. Si conferma, così, un assetto interpretativo orientato alla tutela della coerenza e dell’effettività del sistema previdenziale, nella prospettiva di un equilibrio tra autonomia negoziale e interesse pubblico all’integrità delle posizioni assicurative e contributive.

25 agosto 2025