A cura dell’Avv. Francesco Cervellino
L’ordinanza n. 17228 depositata dalla Corte di Cassazione in data 26 giugno 2025 si colloca all’interno di un ambito estremamente delicato del diritto tributario: il bilanciamento tra le esigenze istruttorie dell’Amministrazione finanziaria e la tutela del segreto professionale, quale presidio inderogabile del diritto di difesa e della riservatezza del rapporto fiduciario tra professionista e cliente. La pronuncia affronta una questione paradigmatica, concernente la legittimità dell’acquisizione, da parte della Guardia di Finanza, di documentazione rinvenuta in sede di verifica fiscale presso lo studio di un avvocato, successivamente all’opposizione del segreto professionale da parte di quest’ultimo.
Nel caso di specie, i verificatori avevano acquisito un blocknotes contenente, a loro dire, riferimenti a nominativi di clienti e compensi percepiti. A seguito dell’eccezione di segreto sollevata dal professionista, veniva esibita un’autorizzazione rilasciata dalla competente Procura della Repubblica, ma temporalmente anteriore rispetto all’opposizione formale e redatta in termini generici. L’Amministrazione ha poi fondato anche su tale documento l’avviso di accertamento, determinando un contenzioso che si è protratto sino al giudizio di legittimità.
La Corte di Cassazione ha confermato la nullità dell’acquisizione documentale, ribadendo principi consolidati in materia di limiti all’operatività dei poteri accertativi in presenza del segreto professionale. In particolare, il Collegio ha affermato che, ai sensi dell’articolo 52, comma 3, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, l’acquisizione di documentazione coperta da segreto può avvenire unicamente in forza di un’autorizzazione ad hoc dell’autorità giudiziaria, rilasciata in forma specifica e successivamente all’eccezione sollevata dal professionista. Non è pertanto sufficiente una preventiva autorizzazione “in bianco”, per definizione incapace di soddisfare il requisito della specificità e della contestualità richiesti dalla norma.
Tale impostazione si pone in linea di continuità non solo con la giurisprudenza delle Sezioni Unite, ma altresì con il principio, di matrice costituzionale e convenzionale, secondo cui ogni deroga a diritti fondamentali deve essere sorretta da un presupposto normativo chiaro, proporzionato e applicato secondo modalità rigorosamente previste dalla legge. Si richiama, in particolare, il disposto dell’articolo 7-quinquies della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), il quale sancisce l’inutilizzabilità, a fini impositivi, degli elementi probatori acquisiti in violazione di legge. La norma, nel recepire una serie di principi consolidati nella giurisprudenza costituzionale e della Corte di Giustizia dell’Unione europea, conferisce rilevanza sostanziale al corretto iter procedurale quale condizione di legittimità dell’accertamento tributario.
Il segreto professionale rappresenta, in tal senso, un limite di natura sostanziale e procedurale all’esercizio dei poteri coercitivi dell’amministrazione. Esso trova fondamento non solo nell’articolo 200 del codice di procedura penale, applicabile in via analogica al procedimento tributario, ma anche nell’articolo 24 della Costituzione, che tutela il diritto alla difesa in ogni stato e grado del procedimento. Ogni intervento ablativo in tal senso deve pertanto risultare strettamente funzionale e proporzionato, non potendosi ritenere sufficiente una legittimazione preventiva e generica, inidonea a bilanciare i diritti in conflitto.
La sentenza si distingue, inoltre, per l’esplicita valorizzazione della prassi amministrativa interna alla Guardia di Finanza, che, nelle proprie direttive operative, ha più volte ribadito l’obbligo di richiesta di autorizzazione specifica per l’acquisizione di documentazione professionale in caso di opposizione. L’inosservanza di tali linee guida, come accaduto nel caso di specie, non solo inficia la legittimità dell’operato dei verificatori, ma espone l’Amministrazione a conseguenze contenziose rilevanti, sino all’annullamento dell’atto impositivo e alla condanna alle spese processuali.
L’ordinanza n. 17228/2025 si inserisce autorevolmente in un filone giurisprudenziale volto a riaffermare il primato del principio di legalità sostanziale e il carattere garantistico dell’ordinamento tributario. Essa ribadisce che i poteri istruttori dell’Amministrazione, pur funzionali al corretto esercizio dell’azione accertativa, non possono travalicare i limiti imposti dal rispetto delle garanzie fondamentali del contribuente e dei professionisti. La deroga al segreto professionale, in quanto eccezione ad un principio di ordine pubblico, deve essere interpretata in senso restrittivo e applicata nel rispetto di stringenti condizioni procedurali, onde evitare derive autoritarie incompatibili con lo Stato di diritto e la tutela effettiva dei diritti fondamentali.
23 agosto 2023