Società di comodo e rimborso IVA: il superamento delle presunzioni legali alla luce del diritto unionale

A cura dell’Avv. Francesco Cervellino e Avv. Francesca Coppola

Il regime fiscale riservato alle cosiddette società di comodo rappresenta, da decenni, un delicato punto di convergenza tra esigenze di contrasto all’elusione fiscale e tutela dei principi fondamentali dell’imposizione, quali la neutralità e la proporzionalità dell’imposta sul valore aggiunto (IVA). La più recente giurisprudenza, tanto europea quanto nazionale, ha evidenziato l’inadeguatezza di un impianto normativo che, pur fondato su finalità antiabusive, si rivela oggi in contrasto con i principi sovranazionali dell’ordinamento tributario dell’Unione europea.

La sentenza della Corte di giustizia tributaria della Campania n. 3082 del 17 aprile 2025 si inserisce in questa cornice, recependo e consolidando l’approccio già delineato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nella decisione del 7 marzo 2024 (causa C-3411/22), con la quale è stato statuito l’illegittimo automatismo attraverso cui l’ordinamento italiano nega il diritto al rimborso dell’IVA alle società che non superino, per tre esercizi consecutivi, il c.d. “test di operatività”, previsto all’articolo 30 della legge n. 724/1994.

Quest’ultima disposizione introduce una presunzione legale relativa in forza della quale si ritiene non operativa la società che non realizzi un livello minimo di ricavi rapportato al valore dei propri asset, limitandone drasticamente la capacità di utilizzare i crediti d’imposta emergenti. In particolare, è preclusa la possibilità di ottenere il rimborso dell’IVA risultante dalla dichiarazione annuale, di compensare tale credito in F24 o di cederlo a terzi.

L’intento antiabuso che permea la ratio della norma nazionale non può tuttavia giustificare, secondo i giudici europei, una compressione automatica e indiscriminata del diritto alla detrazione dell’imposta, che rappresenta un principio strutturale e inderogabile del sistema comune dell’IVA. Gli articoli 9 e 167 della Direttiva 2006/112/CE, infatti, attribuiscono la qualifica di soggetto passivo a chi eserciti in modo indipendente un’attività economica, e riconoscono il diritto alla detrazione quale elemento funzionale al principio di neutralità dell’imposizione.

La giurisprudenza unionale esclude pertanto che la mera inattività reddituale o il mancato superamento di soglie presuntive possano di per sé determinare la decadenza da tali diritti. La Corte di giustizia tributaria della Campania ha fatto proprio tale principio, rilevando che la normativa interna si pone in contrasto diretto con i fondamenti dell’ordinamento unionale, e che, per effetto del primato del diritto dell’Unione, deve essere disapplicata in quanto incompatibile.

La rilevanza del caso non risiede unicamente nel riconoscimento, in concreto, del diritto al rimborso dell’IVA a favore di una società ritenuta “cartiera” dall’amministrazione finanziaria – e la cui operatività, in ogni caso, era già stata accertata in primo grado – ma soprattutto nella riaffermazione dell’inapplicabilità della disciplina nazionale laddove si ponga in contrasto con i principi del diritto europeo. La presunzione legale di non operatività, infatti, non può operare in modo assoluto, pena la lesione del principio di proporzionalità e la negazione della natura oggettiva dell’imposta.

Nonostante tali affermazioni giurisprudenziali siano ormai consolidate, permane un disallineamento tra l’elaborazione giurisprudenziale e la prassi amministrativa. La modulistica ufficiale per la dichiarazione IVA, così come le istruzioni ministeriali, continuano a recepire automaticamente gli effetti sanzionatori previsti dalla normativa sulle società di comodo, perpetuando una disciplina ormai non più conforme al diritto dell’Unione. Tale disarmonia, oltre a generare incertezza per i contribuenti, alimenta il contenzioso tributario e compromette la prevedibilità dell’azione amministrativa.

In questa prospettiva, appare quanto mai urgente un intervento del legislatore nazionale volto a revisionare in modo organico l’articolo 30 della legge n. 724/1994, limitando l’operatività delle presunzioni legali a casi debitamente accertati di uso distorto dello strumento societario, e garantendo al contempo il rispetto delle garanzie fondamentali riconosciute ai soggetti passivi IVA. La riforma dovrebbe altresì prevedere una rivisitazione della prassi dichiarativa, attraverso l’adeguamento dei modelli e delle istruzioni ministeriali, in modo da conformare l’ordinamento interno ai principi di neutralità, proporzionalità e parità di trattamento imposti dal diritto europeo.

L’equilibrio tra contrasto all’elusione e rispetto dei diritti fondamentali del contribuente non può essere raggiunto attraverso meccanismi automatici, fondati su presunzioni rigide e non suscettibili di verifica concreta. È solo attraverso una valutazione sostanziale della condotta economica del contribuente che si può legittimamente operare una selezione tra operatività effettiva e comportamenti elusivi. In caso contrario, si rischia di sacrificare i principi fondamentali dell’ordinamento fiscale europeo sull’altare della semplificazione repressiva, con gravi ricadute in termini di legalità e certezza del diritto.

1 settembre 2025