Deontologia forense e procedimenti ADR: verso un’etica professionale integrata e sistemica

A cura dell’Avv. Francesco Cervellino e Avv. Francesca Coppola

La riforma del Codice Deontologico Forense, adottata dal Consiglio Nazionale Forense con delibera del 21 marzo 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 202 del 1° settembre 2025, si colloca nel quadro di un progressivo adeguamento dell’etica professionale forense alla mutata fisiologia del processo civile e, più in generale, alla crescente rilevanza dei procedimenti di Alternative Dispute Resolution (ADR). La ridenominazione del Titolo IV del Codice, che da “Doveri dell’avvocato nel processo” diventa “Doveri dell’avvocato nel processo e nei procedimenti di risoluzione alternativa e complementare delle controversie”, non costituisce mera innovazione terminologica, ma traduce una trasformazione concettuale dell’intero impianto deontologico, fondata sull’estensione funzionale degli obblighi di correttezza, trasparenza e indipendenza anche agli ambiti stragiudiziali dell’attività difensiva.

Nel contesto di una giustizia sempre più orientata alla degiurisdizionalizzazione e alla valorizzazione della composizione consensuale delle controversie, si osserva un’esplicita ricollocazione della figura dell’avvocato quale soggetto garante dell’equilibrio tra interesse privato e funzione pubblica della tutela dei diritti, anche fuori dal processo. L’introduzione dell’articolo 62-bis, interamente dedicato alla negoziazione assistita, ne è conferma evidente. Tale norma sancisce in modo articolato l’obbligo dell’avvocato di agire con lealtà nei confronti delle parti, dei rispettivi difensori e dei terzi coinvolti, estendendo il principio di buona fede oggettiva anche all’attività stragiudiziale. Viene inoltre imposto un dovere rafforzato di riservatezza sulle dichiarazioni acquisite nel corso della procedura, il cui utilizzo nel successivo giudizio è, in linea di principio, precluso, fatta eccezione per le informazioni raccolte in sede di istruzione stragiudiziale. Le violazioni comportano sanzioni disciplinari graduabili, fino alla sospensione dall’esercizio della professione, delineando una responsabilità professionale connotata da un rigore analogo a quello previsto in ambito processuale.

Di non minore rilievo risultano le modifiche all’articolo 61, il quale disciplina l’attività arbitrale dell’avvocato. La riforma amplia significativamente l’area delle incompatibilità, includendo, accanto a soci e associati, anche i professionisti che collaborano in maniera non occasionale o che esercitano nei medesimi locali. L’estensione dell’incompatibilità, che si proietta anche sui collaboratori stabili, sottende una concezione sostanziale della terzietà dell’arbitro, concepito non già come figura isolata, bensì inserita in una rete di relazioni professionali che potrebbero influenzarne l’autonomia decisionale. La medesima ratio deontologica si rinviene nell’introduzione della lettera d) al comma 5 del medesimo articolo, con cui si impone all’avvocato, nella veste di arbitro, l’obbligo di rendere con lealtà e chiarezza le dichiarazioni previste dall’articolo 813 del Codice di procedura civile, relative all’esistenza di eventuali cause di ricusazione. Si tratta di un obbligo di disclosure che mira a rafforzare la fiducia delle parti nella neutralità dell’arbitro, collocandosi in continuità con i principi di trasparenza e accountability che permeano l’intera funzione giudicante privatistica.

Particolarmente pregnanti, altresì, sono le integrazioni operate all’articolo 56 in materia di ascolto del minore. L’avvocato, salvo che ricopra la qualifica di curatore speciale, non può procedere autonomamente all’audizione del minore senza il consenso di chi esercita la responsabilità genitoriale, e, in ogni caso, deve adottare modalità operative rispettose del superiore interesse del minore. Tale previsione riflette l’influenza crescente del diritto dell’infanzia e dell’adolescenza sulla prassi forense, segnando l’ingresso, anche nella deontologia professionale, del principio della child’s best interest quale criterio ordinante dell’agire difensivo.

Merita attenzione anche la modifica all’articolo 50, che codifica l’obbligo per l’avvocato di indicare, in sede di nuova istanza o richiesta, i provvedimenti precedentemente ottenuti, inclusi quelli di rigetto, di cui abbia conoscenza. L’obiettivo è quello di garantire la completezza informativa del procedimento e di evitare condotte processuali elusive o ridondanti, in una prospettiva di leale collaborazione con l’autorità giudiziaria e con le controparti. Analoga funzione di tutela dell’integrità delle relazioni professionali è assolta dall’articolo 51, che preclude all’avvocato la possibilità di riferire circa il contenuto di colloqui riservati con colleghi o di corrispondenza contenente proposte transattive, confermando la riservatezza come architrave della fiducia interprofessionale.

La riforma deontologica in esame costituisce un passo decisivo verso una concezione integrata dell’etica forense, che travalica la dimensione processuale per estendersi agli spazi – sempre più rilevanti – della negoziazione, mediazione e arbitrato. Essa promuove una responsabilizzazione dell’avvocato quale operatore giuridico polifunzionale, chiamato a coniugare competenza tecnica e integrità etica in tutti i contesti in cui si articola la tutela dei diritti. Si configura, pertanto, un modello di deontologia diffusa, che si radica nella necessità di salvaguardare la dignità e la credibilità della funzione forense in un ecosistema giuridico in rapida evoluzione.

3 settembre 2025