A cura dell’Avv. Francesco Cervellino e Avv. Francesca Coppola
L’ordinanza n. 2189/2025 della Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio si inserisce nel progressivo affinamento della giurisprudenza tributaria in materia di soggettività passiva ai fini dell’Imposta municipale propria (IMU), laddove il godimento del bene immobile derivi non da un diritto reale di proprietà, bensì da un diritto personale di godimento sorto per effetto di un provvedimento giudiziale in ambito familiare. La questione, solo apparentemente di dettaglio, investe in realtà la struttura logico-giuridica del tributo patrimoniale locale e coinvolge le categorie fondamentali del diritto tributario sostanziale, quali la titolarità del presupposto impositivo, l’individuazione del soggetto passivo e la rilevanza del criterio funzionale rispetto alla posizione giuridico-formale.
Nel caso di specie, la controversia trae origine dall’emissione, da parte del Comune di Roma, di un avviso di accertamento IMU nei confronti di un soggetto formalmente proprietario dell’immobile che era stato, tuttavia, assegnato alla ex moglie e alla figlia minorenne in sede di separazione personale, con provvedimento presidenziale del 2011. La pretesa impositiva si fondava unicamente sul dato della titolarità dominicale, trascurando l’effetto giuridico derivante dall’assegnazione giudiziale della casa coniugale. L’amministrazione comunale, infatti, individuava il soggetto passivo dell’imposta in base al criterio oggettivo della risultanza catastale, ignorando il rilievo che la disciplina normativa riconosce al diritto di abitazione ex lege, quale effetto automatico dell’assegnazione dell’immobile in sede di separazione.
La sentenza in esame sovverte tale impostazione, affermando un principio di diritto di notevole rilevanza sistematica: l’assegnazione dell’immobile all’ex coniuge, disposta con provvedimento giudiziale, determina il sorgere, in capo a quest’ultimo, di un diritto di abitazione opponibile erga omnes, il quale si configura, ai fini dell’IMU, come titolo impositivo prevalente rispetto alla proprietà formale. Ne consegue che il coniuge assegnatario è l’unico soggetto obbligato al versamento dell’imposta patrimoniale, mentre il coniuge proprietario, privo di disponibilità materiale e giuridica del bene, resta esente da qualsiasi obbligazione tributaria relativa all’immobile.
La base normativa su cui si fonda tale ricostruzione è rappresentata dall’art. 4, comma 12-quinquies, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, il quale, in maniera inequivoca, dispone che l’assegnazione della casa familiare, in sede di separazione legale o scioglimento del vincolo matrimoniale, equivale, ex lege, al riconoscimento di un diritto di abitazione. L’effetto qualificatorio prodotto dalla norma comporta una traslazione automatica della soggettività passiva dal proprietario non assegnatario all’assegnatario, il quale assume integralmente l’onere tributario correlato alla disponibilità abitativa dell’immobile.
Sul piano sistematico, si osserva che tale ricostruzione risulta coerente con i principi costituzionali in materia tributaria, in particolare con il canone della capacità contributiva sancito dall’art. 53 della Costituzione. Il criterio dell’effettiva disponibilità economica del bene costituisce, infatti, il fondamento legittimante dell’imposizione patrimoniale: non è la mera titolarità astratta del diritto reale a giustificare il prelievo, bensì la possibilità concreta di trarre utilità economica dall’immobile, sotto forma di risparmio di spesa o impiego personale. In tal senso, la giurisprudenza tributaria più avvertita ha progressivamente accolto un’impostazione funzionalista, che valorizza l’aspetto dinamico del godimento del bene rispetto alla sua titolarità statica.
La pronuncia in commento si segnala, altresì, per la sua portata chiarificatrice in ordine alla natura del diritto di abitazione derivante dall’assegnazione giudiziale, qualificandolo non come diritto personale atipico, ma come posizione soggettiva dotata di piena rilevanza tributaria, idonea a fondare un obbligo d’imposta esclusivo in capo al titolare del godimento. Ciò comporta, inevitabilmente, un mutamento dell’orientamento operativo delle amministrazioni locali, le quali sono tenute a tener conto, in sede accertativa, non solo dei dati catastali, ma anche delle risultanze dei provvedimenti giudiziari in materia familiare, con conseguente necessità di cooperazione amministrativa tra uffici anagrafici, giudiziari e tributari.
In definitiva, il principio affermato dalla Corte di giustizia tributaria del Lazio rappresenta un passaggio evolutivo di rilievo nella costruzione di un diritto tributario sostanziale coerente con le trasformazioni del diritto di famiglia e del concetto di titolarità dell’immobile. L’obbligo IMU non può più fondarsi su una concezione meramente formale del possesso, bensì deve essere ancorato alla effettiva titolarità del potere di godimento del bene. L’attribuzione giudiziale della casa familiare comporta, pertanto, il trasferimento della responsabilità fiscale, segnando un punto di equilibrio tra esigenze di certezza del diritto e rispetto dei principi di giustizia tributaria.
8 settembre 2025