A cura dell’Avv. Francesco Cervellino
Nel recente panorama giurisprudenziale italiano si registra una progressiva e ormai irreversibile valorizzazione della violenza economica quale modalità autonoma e giuridicamente rilevante di attuazione del reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi, disciplinato dall’art. 572 del codice penale. Tale evoluzione si inserisce in un contesto normativo multilivello che impone l’adozione di una lettura conforme al diritto sovranazionale, in particolare all’art. 3 della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (cd. Convenzione di Istanbul), ratificata dall’Italia con legge 27 giugno 2013, n. 77, nonché alle Direttive dell’Unione Europea, tra cui la più recente Direttiva (UE) 2024/1385, che sancisce il dovere degli Stati membri di adottare misure efficaci per contrastare ogni forma di violenza domestica, comprese quelle di natura patrimoniale.
La sentenza della Corte di Cassazione, Sezione VI penale, n. 1268 del 13 gennaio 2025, costituisce un approdo di particolare rilievo all’interno di tale orizzonte ermeneutico, avendo ribadito con nettezza che la condotta del coniuge volta a impedire alla persona offesa l’acquisizione di un’autonoma capacità economica – mediante atti concreti di ostacolo, interdizione o umiliazione – rientra a pieno titolo nella fattispecie di maltrattamenti familiari, qualora si inserisca in un contesto relazionale vessatorio, coercitivo e non paritario, idoneo a generare un grave stato di prostrazione psico-fisica nella vittima.
Nella fattispecie concreta, la Corte ha preso in esame una complessa dinamica familiare sviluppatasi nel corso di quasi un ventennio, durante il quale l’imputato ha esercitato un controllo sistematico e totalizzante sulla vita della moglie, impedendole di intraprendere percorsi formativi e professionali, pur impiegandola stabilmente all’interno della propria impresa familiare in qualità di contabile, senza tuttavia riconoscerle alcuna forma di retribuzione o partecipazione agli utili. Quando la donna aveva infine trovato un’occupazione autonoma, l’imputato aveva reiteratamente ostacolato l’attività lavorativa, imponendo continue interferenze e minacce sul luogo di lavoro, e determinando così un’umiliazione pubblica aggravata dalla presenza di terzi. In tale contesto, l’apparente rinuncia della donna a un’autonomia lavorativa e reddituale si è rivelata, all’esito dell’istruttoria, frutto di una coazione psicologica esercitata attraverso una combinazione di violenza morale, manipolazione affettiva e marginalizzazione sociale.
Il Collegio ha chiarito che una simile privazione delle libertà economiche e organizzative della persona offesa – pur priva di manifestazioni eclatanti o violente in senso stretto – deve essere qualificata come violenza economica, in quanto incide profondamente sulla dignità, sull’autonomia e sull’integrità morale della vittima. L’imposizione unilaterale di un modello familiare gerarchico, in cui uno dei coniugi assume potere esclusivo sulle risorse finanziarie e sulle scelte strategiche, configura un assetto relazionale incompatibile con i principi costituzionali di uguaglianza sostanziale (art. 3 Cost.) e solidarietà familiare (art. 29 ss. Cost.), e rappresenta una violazione dei doveri coniugali, suscettibile di integrare la fattispecie di reato di cui all’art. 572 c.p.
Sotto il profilo dogmatico, tale lettura trova fondamento nella natura a forma libera della disposizione incriminatrice, la quale non delimita tipologie di condotte, ma si struttura attorno alla nozione di regime di vita vessatorio, configurabile attraverso qualsiasi forma di violenza – fisica, psicologica, sessuale o, appunto, economica – purché reiterata, abituale e orientata alla sopraffazione dell’altro coniuge o convivente. In tal senso, la Cassazione ha più volte affermato che il reato si realizza ogniqualvolta si instauri una convivenza improntata alla sopraffazione sistematica, anche se non accompagnata da episodi di violenza fisica esplicita.
Significativa, al riguardo, è la giurisprudenza penale successiva che, in modo coerente con l’impostazione della pronuncia sopra citata, ha esteso la rilevanza penale a condotte di controllo finanziario, sottrazione degli strumenti bancari, imposizione di modelli di risparmio coatto, nonché all’utilizzo strumentale del reddito familiare quale mezzo di coercizione e subordinazione. In un ulteriore arresto del marzo 2025 (Cass., Sez. VI, n. 10487), è stato confermato che la scelta di una donna di rinunciare all’attività lavorativa non può essere considerata libera e autodeterminata quando avviene in un contesto relazionale in cui tale rinuncia è il frutto di pressioni psicologiche, isolamento affettivo e ricatti impliciti connessi al sostentamento economico.
Tale orientamento ha trovato riscontro anche sul versante della giurisprudenza civile. In particolare, la Corte d’Appello di Milano, con una decisione pubblicata nei primi giorni di settembre 2025, ha ritenuto che la violenza economica – concretizzatasi nella sottrazione dell’uso del bancomat, nella privazione dei mezzi di sussistenza e nel totale controllo delle finanze domestiche – potesse legittimamente fondare la pronuncia di addebito della separazione, in quanto manifestazione di una grave e reiterata violazione dei doveri di assistenza materiale e morale sanciti dagli artt. 143 ss. c.c. Anche in assenza di misure cautelari o condanne penali, i giudici civili hanno valorizzato la coerenza delle dichiarazioni testimoniali e la documentazione medica e psicologica prodotta, riconoscendo la centralità della violenza patrimoniale quale fattore di rottura del vincolo coniugale.
Da un punto di vista sistematico, si impone una riflessione critica sull’attuale collocazione dell’art. 572 c.p. tra i delitti contro la famiglia e, più precisamente, contro l’assistenza familiare. Alla luce dell’interpretazione più recente, che individua il bene giuridico tutelato non nell’integrità dell’istituzione familiare in quanto tale, ma nei diritti inviolabili della persona – tra cui l’autodeterminazione, la dignità e la libertà economica – appare evidente come il nucleo assiologico della norma si sia spostato verso la tutela della persona vulnerabile all’interno di relazioni affettive improntate a squilibrio e dominazione. In questa prospettiva, è auspicabile un ripensamento della struttura sistematica del codice penale, al fine di riflettere adeguatamente la funzione protettiva di tale fattispecie alla luce del diritto vivente e del diritto internazionale convenzionale.
Si osserva che la giurisprudenza più recente, recependo pienamente i principi sovranazionali e costituzionali, ha compiuto un salto qualitativo nella qualificazione giuridica della violenza economica, riconoscendone la gravità intrinseca e l’efficacia lesiva in termini di danno alla personalità. Essa non è più, dunque, una mera espressione di conflitto economico all’interno della coppia, ma un vero e proprio strumento di dominazione e soggezione, meritevole di una risposta penale effettiva e calibrata. L’interpretazione estensiva dell’art. 572 c.p. in chiave sistemico-relazionale consente di includere tra le condotte tipiche del reato tutte quelle modalità, anche implicite e silenziose, che nel loro insieme siano funzionali a instaurare un regime relazionale lesivo della dignità e dei diritti fondamentali della persona all’interno della sfera familiare.
8 settembre 2025