Controlli difensivi e giusta causa: la legittimità delle investigazioni sul lavoratore inefficiente nella giurisprudenza di legittimità

A cura del Dott. Alessandro Cervellino

Il ricorso a controlli difensivi nei confronti del lavoratore, qualora sussistano elementi indiziari oggettivamente riscontrabili in ordine a condotte illecite, costituisce uno snodo interpretativo di assoluta rilevanza nel contesto delle relazioni industriali contemporanee, in cui la tutela del patrimonio aziendale e la garanzia della lealtà contrattuale assumono una centralità sempre più marcata. In tale prospettiva, l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 24564 del 4 settembre 2025 si inserisce nel solco della giurisprudenza di legittimità che riconosce la legittimità di interventi investigativi mirati, ove sorretti da fondati sospetti, purché estranei al mero controllo sull’adempimento della prestazione lavorativa.

La Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi sulla vicenda del licenziamento per giusta causa di un lavoratore addetto alla lettura dei contatori (cosiddetto letturista), ha ribadito la distinzione ormai consolidata tra i controlli generalizzati, soggetti alle rigorose condizioni di cui all’art. 4 della Legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori), e i cosiddetti controlli difensivi in senso stretto, i quali possono invece legittimamente esplicarsi anche durante lo svolgimento della prestazione, purché siano finalizzati all’accertamento di comportamenti illeciti, potenzialmente fraudolenti o addirittura penalmente rilevanti, e non siano attivati in via preventiva e generalizzata.

Nel caso de quo, l’azienda datrice di lavoro, riscontrando una significativa anomalia nel rendimento del dipendente in questione, ha proceduto, mediante l’ausilio di un’agenzia investigativa, ad accertare l’effettiva condotta tenuta dallo stesso durante l’orario di servizio. Le risultanze hanno evidenziato comportamenti connotati da una sistematica falsificazione dei dati relativi agli orari di inizio e cessazione della prestazione lavorativa, uso strumentale del veicolo aziendale per fini personali, e reiterata inattività in luoghi estranei al perimetro delle mansioni assegnate. Tali condotte, come correttamente qualificato dalla Corte territoriale e confermato in sede di legittimità, non si esaurivano in un mero inadempimento, ma integravano un disvalore ulteriore, ravvisabile nella componente fraudolenta e potenzialmente lesiva del patrimonio e dell’immagine aziendale.

Particolarmente rilevante, nel percorso argomentativo della Corte, è il riferimento alla genesi del controllo, che non è stato disposto in via esplorativa o anticipatoria, bensì ex post, ovvero in conseguenza della documentata e non spiegabile inefficienza del lavoratore rispetto ai parametri produttivi mediamente riscontrati nel gruppo omogeneo di riferimento. Questo dato consente di radicare l’intervento datoriale nella logica del sospetto oggettivamente fondato, condizione necessaria per legittimare una deroga al divieto di controlli sull’attività lavorativa ai sensi dell’art. 2 dello Statuto dei lavoratori.

L’indagine, peraltro, è stata condotta secondo criteri di proporzionalità e necessità, attraverso l’utilizzo di strumenti ritenuti dalla giurisprudenza meno invasivi tra quelli concretamente disponibili, conformemente ai parametri di valutazione elaborati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU), in particolare nelle sentenze Barbulescu c. Romania e Köpke c. Germania, ove si pone l’accento sul corretto bilanciamento tra libertà di iniziativa economica ex art. 41 Cost. e tutela della dignità del lavoratore ex art. 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

È dunque evidente come il controllo difensivo si configuri non come uno strumento volto a comprimere l’autonomia del prestatore, bensì come espressione della legittima pretesa dell’imprenditore a tutelare l’effettività del vincolo fiduciario, specie in presenza di segnali concreti di disvalore comportamentale. In tale ottica, il ricorso ad agenzie investigative trova fondamento non solo nella necessità di protezione del patrimonio aziendale, ma anche nella esigenza di garantire la correttezza contrattuale e la par condicio tra lavoratori.

La pronuncia si allinea a una tendenza giurisprudenziale che, senza derogare ai principi consolidati di tutela del lavoratore, valorizza l’elemento finalistico del controllo e la congruità dello stesso rispetto alla fattispecie concreta. Come chiarito in decisioni precedenti (Cass. nn. 25732/2021, 34092/2021, 18168/2023), i controlli difensivi in senso proprio non necessitano di autorizzazione sindacale né di accordo collettivo, purché abbiano ad oggetto fatti specifici e siano avviati a seguito di condotte sintomatiche di illiceità.

Il contributo della Suprema Corte nella sentenza in esame appare duplice: da un lato, essa ribadisce la linea di continuità con i più recenti arresti giurisprudenziali, e dall’altro, rafforza il principio di responsabilità individuale nel rapporto di lavoro subordinato, chiarendo che, in presenza di un comportamento suscettibile di qualificazione fraudolenta, il datore può legittimamente attivare forme di verifica che, se pur svolte nell’ambito temporale della prestazione, non si configurano come illeciti controlli sull’attività lavorativa, bensì come mezzi di accertamento legittimi, coerenti con le esigenze di tutela dell’impresa e compatibili con i diritti inviolabili della persona del lavoratore.

11 settembre 2025