A cura dell’Avv. Francesco Cervellino e Avv. Francesca Coppola
La disciplina giuslavoristica italiana conosce, a partire dal decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 151, una significativa innovazione in materia di revocabilità delle dimissioni volontarie, finalizzata a contrastare fenomeni distorsivi noti nella prassi come dimissioni in bianco. In particolare, l’articolo 26 di detto decreto riconosce al lavoratore subordinato la facoltà di revocare le dimissioni entro il termine perentorio di sette giorni dalla trasmissione del relativo modello telematico, determinando, per effetto di tale revoca, la ricostituzione automatica del rapporto di lavoro nella sua piena operatività.
La recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 24911 del 2025 riveste un rilievo sistematico e interpretativo di primo piano, chiarendo l’ambito applicativo della suddetta disposizione normativa in relazione alle dimissioni presentate nel corso del periodo di prova. Il Collegio di legittimità ha affermato, con argomentazione coerente ai canoni della legalità formale e della tutela sostanziale del lavoratore, che il diritto alla revoca delle dimissioni è esercitabile anche durante la fase probatoria, in quanto non esiste nel dettato normativo alcuna previsione derogatoria che ne limiti la portata.
La pronuncia si pone in esplicita antitesi con l’indirizzo interpretativo fornito dal Ministero del Lavoro nella circolare n. 12/2016, secondo cui la disposizione di cui all’articolo 26 non sarebbe applicabile alle dimissioni rassegnate durante il periodo di prova, in virtù della presunta specialità della fattispecie. La Corte ha rigettato tale ricostruzione, sottolineando come le circolari ministeriali non abbiano valore normativo, trattandosi di atti amministrativi interni, privi di efficacia vincolante nei confronti del giudice e incapaci di introdurre deroghe al principio di legalità.
Sotto il profilo sistematico, la Corte di Cassazione ha evidenziato la coesistenza e la compatibilità funzionale tra la disciplina del patto di prova e quella relativa alla revocabilità delle dimissioni. Mentre il periodo di prova risponde all’esigenza di tutela bilaterale delle parti del contratto, garantendo a entrambe la possibilità di verificare la reciproca convenienza del rapporto in fase iniziale, la previsione della facoltà di revoca mira a tutelare la libertà di autodeterminazione del prestatore di lavoro, scongiurando condotte elusive o abusive del datore, che possano incidere sulla genuinità della manifestazione di volontà dimissionaria.
La revoca esercitata nel rispetto dei termini di legge, anche in costanza del periodo di prova, comporta la reviviscenza del rapporto di lavoro e il pieno ripristino degli obblighi contrattuali, senza compromettere il corretto esperimento della prova stessa. Il datore di lavoro, infatti, conserva intatto il potere di recedere unilateralmente al termine del periodo di prova ovvero anche anteriormente, qualora ricorrano i presupposti di congruità temporale e oggettiva valutazione delle competenze del lavoratore. In tal senso, non si determina alcuna sovrapposizione disfunzionale tra i due istituti, che operano su piani giuridici paralleli, ma sinergici.
L’ordinanza in esame consente, pertanto, di affermare un principio di garanzia che trova fondamento nella ratio legis del decreto legislativo n. 151/2015, diretto a rafforzare le tutele del lavoratore in un contesto economico e occupazionale in cui permangono, seppur con minor intensità rispetto al passato, prassi elusive e tentativi di condizionamento indebito della volontà individuale.
Ne deriva che ogni interpretazione restrittiva dell’ambito applicativo dell’articolo 26, non espressamente prevista dalla norma, si risolve in una violazione dei principi fondamentali del diritto del lavoro, tra cui la tutela della persona del lavoratore, il rispetto della libera scelta contrattuale e il divieto di discriminazione tra lavoratori in prova e lavoratori a tempo indeterminato già confermati.
La pronuncia della Suprema Corte contribuisce a consolidare un orientamento giurisprudenziale improntato alla tutela sostanziale del rapporto di lavoro, riaffermando il primato del diritto positivo sull’attività interpretativa di fonte amministrativa e rafforzando il principio di certezza del diritto nell’ambito della disciplina lavoristica. Tale posizione appare coerente con i valori costituzionali e con gli indirizzi evolutivi della giurisprudenza nazionale ed europea in materia di protezione del lavoro subordinato, confermando la centralità della persona del lavoratore quale soggetto meritevole di tutela anche nella fase iniziale del rapporto.
16 settembre 2025