La Corte costituzionale e la tutela risarcitoria nei licenziamenti illegittimi nelle imprese sotto soglia: la declaratoria di illegittimità del limite massimo delle sei mensilità (sentenza n. 118/2025)

A cura dell’Avv. Francesco Cervellino

La sentenza n. 118 del 2025 della Corte costituzionale costituisce un intervento di portata sistematica e di particolare rilievo nell’ambito della disciplina delle conseguenze giuridiche del licenziamento illegittimo nel contesto dei contratti di lavoro a tempo indeterminato soggetti al regime delle cosiddette «tutele crescenti», introdotto dal decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23. Con tale pronuncia, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale parziale dell’art. 9, comma 1, del menzionato decreto, limitatamente alla previsione secondo cui l’indennità risarcitoria spettante al lavoratore illegittimamente licenziato da un datore di lavoro che non raggiunga i requisiti dimensionali ex art. 18, commi ottavo e nono, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori) «non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità».
Il dictum della Corte si inserisce nel solco di un percorso giurisprudenziale che si è venuto progressivamente consolidando e che pone al centro dell’analisi la coerenza costituzionale delle norme che disciplinano le tutele sanzionatorie avverso i licenziamenti nulli o comunque viziati da illegittimità sostanziale o procedimentale. Già con la sentenza n. 183 del 2022, la Corte aveva evidenziato la problematicità sistemica dell’art. 9 del d.lgs. n. 23/2015, in quanto espressione di un modello normativo ancorato a criteri rigidi e stereotipati, inidonei a garantire una tutela effettiva, adeguata e proporzionata, conforme al principio di eguaglianza sostanziale sancito dall’art. 3 Cost.
Il legislatore, nel prevedere un tetto massimo inderogabile di sei mensilità di retribuzione utile ai fini del trattamento di fine rapporto, ha delineato una forma di risarcimento connotata da automatismo e rigidità, insuscettibile di adattarsi alle specificità della fattispecie concreta, con l’effetto di vanificare ogni tentativo di personalizzazione del danno subito dal prestatore di lavoro illegittimamente estromesso. Siffatto meccanismo risarcitorio standardizzato si è rivelato, nella prassi applicativa, non solo inadeguato sotto il profilo compensativo, ma anche privo di qualsivoglia efficacia deterrente nei confronti del datore di lavoro, riducendo l’illecito espulsivo a una mera opzione economica.
La Consulta, pur ribadendo l’ampia discrezionalità normativa del legislatore nella scelta delle misure sanzionatorie in materia di licenziamenti, ha tuttavia precisato che tale discrezionalità incontra limiti invalicabili nei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e nelle obbligazioni internazionali assunte dallo Stato italiano. In particolare, la pronuncia ha individuato una violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 24 della Carta sociale europea (CSE), che riconosce al lavoratore licenziato senza giusta causa il diritto a un congruo indennizzo o altra adeguata riparazione. Tale parametro, ormai consolidato nella giurisprudenza costituzionale come criterio interposto, impone un livello minimo di tutela effettiva, che non può essere disatteso neppure in nome della libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.).
Di particolare interesse risulta l’affermazione della Corte secondo cui il criterio dimensionale (ossia il numero dei dipendenti impiegati) non può rappresentare l’unico e determinante indicatore della capacità economica del datore di lavoro, soprattutto in un contesto produttivo fortemente caratterizzato da trasformazioni tecnologiche e da una crescente eterogeneità dei modelli organizzativi. Tale impostazione risulta coerente con i criteri europei in materia di classificazione delle imprese (cfr. raccomandazione 2003/361/CE e direttiva delegata 2023/2775/UE), che affiancano al parametro occupazionale quelli relativi al volume d’affari e al totale di bilancio.
La decisione della Corte si segnala, altresì, per la sua funzione sistematica di stimolo all’attività legislativa. Nel rinnovare l’invito a un intervento normativo di riordino, la Consulta richiama la necessità di un bilanciamento non meramente formale, bensì sostanziale, tra la tutela del lavoratore ingiustamente licenziato e la sostenibilità economica per il datore di lavoro, anche attraverso l’adozione di criteri flessibili e multifattoriali, capaci di riflettere la reale consistenza economico-organizzativa dell’impresa.
La sentenza n. 118/2025 si configura come una pronuncia dal forte impatto ordinamentale, che riafferma l’inderogabilità dei principi di effettività, proporzionalità e adeguatezza delle tutele giuridiche nei confronti del licenziamento illegittimo, anche nei confronti di datori di lavoro di minori dimensioni. Essa segna una tappa decisiva nel processo di progressiva costituzionalizzazione del diritto del lavoro, imponendo un modello sanzionatorio che, pur nel rispetto della libertà economica, non trascuri la centralità della persona del lavoratore quale soggetto portatore di diritti fondamentali inviolabili.

22 settembre 2025