L’uso delle parti comuni in condominio e l’installazione di impianti fotovoltaici: profili di liceità e limiti ex art. 1102 c.c.

A cura dell’Avv. Francesco Cervellino

La sentenza n. 193/2025 del Tribunale di Rovereto, emessa in composizione monocratica, si inserisce nel dibattito dottrinale e giurisprudenziale concernente i limiti all’uso individuale della cosa comune nell’ambito della comunione ordinaria e del condominio, con particolare riferimento all’installazione di impianti fotovoltaici su beni condominiali. La decisione offre spunti di riflessione significativi circa l’equilibrio tra il diritto del singolo alla fruizione del bene comune in funzione delle proprie esigenze e l’esigenza di tutela delle posizioni giuridiche soggettive degli altri partecipanti alla comunione.

Il caso di specie trae origine dalla realizzazione, da parte di un condomino, di un impianto fotovoltaico composto da tredici moduli, installato sulle falde del tetto di un edificio costituito in comunione, il quale ha occupato quasi integralmente le superfici tecnicamente idonee all’installazione di analoghi impianti da parte degli altri compartecipi. Gli altri comunisti, ritenendo che tale condotta determinasse una lesione del proprio diritto ad un uso paritetico del bene comune, hanno adito l’autorità giudiziaria chiedendo, in via principale, la rimessione in pristino del tetto mediante la rimozione dell’impianto, ovvero, in subordine, la sua riduzione entro i limiti della quota ideale del responsabile.

Nell’ambito della propria motivazione, il Tribunale affronta, in primo luogo, le questioni di rito sollevate dal convenuto, tra cui l’eccezione di improcedibilità per omesso esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione, la presunta nullità della domanda per incertezza dell’oggetto e la mancata integrazione del contraddittorio per litisconsorzio necessario. Con argomentazione coerente con l’orientamento costante della giurisprudenza di legittimità, il giudice esclude la sussistenza di un litisconsorzio necessario tra tutti i condomini in un’azione tesa a far cessare l’uso illecito della cosa comune da parte di uno di essi, richiamando l’insegnamento secondo cui la rimessione in pristino non incide sulla titolarità del bene comune, ma sul suo uso, e pertanto non comporta una modifica dei diritti dominicali degli altri partecipanti.

Parimenti, l’omesso esperimento della mediazione obbligatoria nei confronti di tutti i comunisti non determina l’improcedibilità dell’azione, trattandosi di una legittimazione autonoma dei singoli comunisti a far valere la violazione del proprio diritto di comproprietà. Infine, quanto alla doglianza relativa alla pretesa indeterminatezza dell’oggetto del contendere, il Tribunale la supera valorizzando la natura meramente materiale dell’errore di indicazione catastale e rilevando la sufficiente determinabilità dell’oggetto della domanda mediante gli allegati documentali prodotti.

Sul piano sostanziale, la decisione si distingue per una lettura sistematica e bilanciata del combinato disposto degli artt. 1102 e 1122-bis cod. civ.. In particolare, viene ribadito che l’installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili destinati al servizio di singole unità immobiliari è ammessa sulle parti comuni, in forza della disposizione di cui all’art. 1122-bis, comma 2, cod. civ., purché ciò non comporti una lesione dei diritti degli altri condomini, sia quanto all’uso del bene, sia quanto alla sua destinazione. La norma citata esclude espressamente la necessità di autorizzazione assembleare, salvo il caso in cui l’intervento modifichi le parti comuni, nel qual caso l’interessato è tenuto a darne comunicazione all’amministratore, il quale potrà richiedere garanzie o proporre modalità alternative di realizzazione.

Nel caso de quo, pur riconoscendosi la liceità in astratto dell’intervento eseguito, è stata accertata, sulla base delle risultanze peritali, un’occupazione pressoché integrale delle superfici utili alla installazione di impianti fotovoltaici, tanto da rendere impossibile agli altri comunisti un uso analogo del bene comune. Il giudice ha ritenuto che tale uso totalizzante e preclusivo configuri una violazione dell’art. 1102 cod. civ., che, pur consentendo un uso più intenso del bene comune, lo ammette solo se non sia escluso l’analogo godimento da parte degli altri comunisti.

Significativa è la soluzione individuata per ristabilire l’equilibrio tra le posizioni soggettive: in luogo della rimessione integrale in pristino, è stata ordinata la riduzione dell’impianto da tredici a otto moduli, così da consentire la futura installazione di impianti autonomi a uso domestico da parte di altri due comunisti, secondo la configurazione tecnica più razionale individuata dal consulente tecnico d’ufficio. Tale scelta testimonia un approccio funzionale alla gestione del bene comune, orientato alla massimizzazione della sua utilitas e alla prevenzione di conflitti futuri, mediante una ripartizione equa e concreta delle risorse.

La domanda relativa alla rimozione della canaletta di cablaggio, fondata sull’asserita invasione della proprietà esclusiva, è stata respinta per difetto di prova, essendo stato accertato che essa insiste esclusivamente su parti comuni. Ulteriori allegazioni, prospettate per la prima volta in sede di comparse conclusionali, sono state ritenute inammissibili per violazione del principio del contraddittorio.

Quanto al regime delle spese processuali, il Tribunale ha applicato il principio della soccombenza reciproca, disponendo la compensazione per un terzo e condannando il convenuto al pagamento dei residui due terzi, comprensivi delle spese della mediazione obbligatoria, qualificata come spesa processuale a tutti gli effetti, in conformità alla recente pronuncia della Corte di Cassazione (Cass., sez. III, n. 32306/2023). Analoga ripartizione è stata effettuata in ordine alle spese della consulenza tecnica d’ufficio, in base ai rapporti interni tra le parti, con salvezza della solidarietà esterna nei confronti del consulente.

La sentenza analizzata si configura quale applicazione coerente dei principi fondanti il regime della comunione, espressi in primis dall’art. 1102 cod. civ., in chiave evolutiva e sistemica, non disgiunta da una lettura pragmatica delle esigenze tecnologiche ed energetiche contemporanee. Il bilanciamento tra il diritto individuale all’efficientamento energetico e la tutela del pari uso del bene comune da parte degli altri comunisti è condotto nel rispetto delle coordinate ermeneutiche offerte dalla giurisprudenza di legittimità e dalla normativa vigente in materia condominiale.

Appare dunque evidente che la realizzazione di impianti fotovoltaici in ambito condominiale, pur incentivata dal legislatore e compatibile con l’evoluzione sostenibile del patrimonio edilizio, deve confrontarsi con i principi fondamentali della comunione e del rispetto della funzione del bene comune, pena la nullità o l’inefficacia degli atti posti in essere in violazione di tali criteri. L’equilibrio fra utilitas individuale e collettiva resta il fulcro della legittimità degli interventi sul bene comune, anche alla luce delle nuove esigenze imposte dalla transizione ecologica.

6 ottobre 2025