A cura dell’Avv. Francesco Cervellino
Nel sistema del processo tributario, la validità della notificazione degli atti rappresenta il fondamento dell’effettività della tutela giurisdizionale, in quanto solo la conoscenza legale dell’atto consente al contribuente di esercitare pienamente il diritto di difesa. Il tema della sanatoria della nullità della notificazione assume dunque rilievo centrale, specialmente allorquando si controverta in ordine alla possibilità di ritenere sanato il vizio mediante la proposizione del ricorso da parte del contribuente. La recente ordinanza n. 11474/2025 della Corte di Cassazione offre uno spunto ermeneutico utile per ricostruire, con rigore sistematico, le condizioni di operatività dell’art. 156, terzo comma, del codice di procedura civile (c.p.c.) nell’ambito della notifica degli atti impositivi.
La disposizione in parola statuisce che “la nullità non può mai essere pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo cui è destinato”, configurandosi quale clausola generale a presidio del principio del raggiungimento dello scopo. Tale criterio teleologico, accolto in via generale dalla giurisprudenza di legittimità (ex multis, Cass., S.U., 5 ottobre 2004, n. 19854), ha trovato applicazione anche in ambito tributario, ove si ammette che la tempestiva impugnazione dell’atto, da parte del destinatario, valga quale indice della sua effettiva conoscenza, e pertanto determini la sanatoria della nullità della notifica.
Tuttavia, l’ordinanza n. 11474/2025 chiarisce come tale effetto sanante non sia invocabile in ogni ipotesi. In particolare, si osserva che la proposizione del ricorso vale a sanare la nullità della notifica solo qualora il vizio investa l’atto effettivamente impugnato. Quando, invece, il contribuente censura un atto successivo (quale, ad esempio, una cartella di pagamento) deducendo esclusivamente la mancata notifica dell’atto presupposto (come l’avviso di accertamento), la sanatoria non può operare. La nullità dell’atto presupposto, se non autonomamente impugnata, permane e si riverbera sull’atto conseguenziale, compromettendone la validità in via derivata.
Si tratta, a ben vedere, di una applicazione coerente del principio di sequenza procedimentale, che nel diritto tributario assicura la legittimità dell’azione accertativa dell’Amministrazione. La notifica di ciascun atto costituisce, infatti, presupposto indefettibile per la validità di quello successivo. Ne discende che l’omissione o la nullità della notificazione dell’atto prodromico comporta la nullità dell’atto consequenziale, non sanabile per effetto dell’impugnazione di quest’ultimo, a meno che l’atto anteriore non venga anch’esso impugnato autonomamente o cumulativamente.
In questa direzione si pone anche la giurisprudenza più recente (Cass. 5 ottobre 2018, n. 24433; Cass. S.U. 4 marzo 2008, n. 5791), la quale ha costantemente ribadito che l’omessa notificazione dell’atto presupposto non costituisce mera irregolarità, bensì vizio procedimentale sostanziale, in grado di invalidare l’intera pretesa tributaria.
Di riflesso, la dottrina ha evidenziato che l’istituto della sanatoria è strumentale alla salvaguardia del processo, ma non può essere impiegato in funzione surrogatoria della regolarità procedimentale, la quale, nel settore tributario, assume valore sostanziale oltre che formale. Da qui discende una lettura restrittiva dell’art. 156, terzo comma, c.p.c., che impone di circoscrivere l’effetto sanante alla sola ipotesi in cui l’atto impugnato sia viziato nella notificazione, ma nondimeno conosciuto nei termini utili dal contribuente.
Ulteriori problematiche si registrano con riferimento all’impugnazione dell’estratto di ruolo, nei casi in cui si venga a conoscenza della pretesa solo in occasione di un atto successivo (quale il preavviso di fermo). In tali ipotesi, la recente normativa (D.Lgs. 110/2024) ha inteso delimitare le condizioni di ammissibilità del ricorso, ammettendo l’impugnazione solo al ricorrere di tassative ipotesi, tra cui l’assenza di notifica dell’atto presupposto. Anche qui, l’esigenza di una notificazione regolare, non supplibile dalla mera conoscenza di fatto, si conferma centrale nell’economia del sistema.
Di particolare rilievo, sotto il profilo sistematico, è la distinzione che la Corte ha inteso riaffermare tra nullità sanabile e nullità insanabile. La prima si ha quando l’atto viziato raggiunge comunque il destinatario in modo tale da consentirgli una difesa consapevole e tempestiva. La seconda ricorre, invece, allorquando l’omissione colpisca l’atto fondante della pretesa e non vi sia stata impugnazione diretta: in questo caso il vizio permane e travolge l’intera sequenza.
Si comprende, dunque, come l’effetto sanante del ricorso debba essere valutato ex ante, in relazione alla struttura del procedimento notificatorio e alla posizione processuale del contribuente. La mera conoscenza dell’atto, ove priva di fondamento documentale (quale, ad esempio, la raccomandata informativa prevista dall’art. 60 DPR 600/1973), non è sufficiente a integrare il requisito del raggiungimento dello scopo.
La sanatoria della nullità della notifica ex art. 156 c.p.c., pur costituendo presidio di economia processuale e di efficienza del sistema, incontra un limite strutturale nel rispetto della legalità procedimentale tributaria. La corretta notificazione dell’atto presupposto, in quanto condizione di validità della sequenza impositiva, non può essere surrogata dalla mera proposizione del ricorso contro l’atto successivo. L’ordinanza n. 11474/2025 si pone, in tal senso, quale riaffermazione della centralità del diritto di difesa e della funzione garantista della notificazione, intesa non come mera formalità, ma come condizione di esistenza dell’atto impositivo stesso.
13 ottobre 2025
Lo stesso articolo anche su taxlegaljob.net