A cura dell’Avv. Francesco Cervellino
L’ordinanza n. 24590 del 5 settembre 2025 della Corte di cassazione, Sezione Seconda Civile, offre un importante chiarimento sui confini dell’attività del consulente tecnico d’ufficio (CTU), con particolare riferimento alla possibilità di utilizzare documenti non prodotti dalle parti ai fini dello svolgimento dell’incarico peritale. Il provvedimento si inserisce nel più ampio dibattito sulla natura della consulenza tecnica nel processo civile e sul delicato equilibrio tra poteri di accertamento del consulente e principi del contraddittorio e dell’onere della prova, ai sensi degli articoli 115, 116 e 2697 del codice civile e degli articoli 194 e 195 del codice di procedura civile.
L’occasione processuale che ha condotto all’intervento della Suprema Corte concerneva una controversia relativa alla determinazione del valore delle rimanenze di magazzino cedute nell’ambito di un contratto di trasferimento d’azienda. A seguito di un precedente rinvio disposto dalla stessa Cassazione, la Corte d’appello aveva nominato un consulente tecnico per stimare il valore effettivo dei beni inventariati, sulla base dei listini di riferimento e di ulteriori dati tecnici. Tuttavia, il giudice di merito aveva poi dichiarato la consulenza inutilizzabile, ritenendo che il CTU avesse ecceduto i limiti del proprio incarico mediante l’acquisizione di documenti non prodotti dalle parti — in particolare report di fatturato e listini prezzi di fornitori terzi.
La Cassazione ha invece riformato tale decisione, riconoscendo la piena legittimità dell’operato del consulente. Secondo la Corte, l’acquisizione di tali documenti non costituiva una violazione del principio dispositivo né una indebita attività istruttoria extra mandatum, ma rientrava nei limiti del quesito peritale e nelle facoltà riconosciute al CTU nell’espletamento dell’incarico, purché esercitate nel rispetto del contraddittorio tra le parti. In particolare, l’ordinanza richiama l’orientamento consolidato secondo cui il consulente tecnico, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza del contraddittorio, può accertare tutti i fatti inerenti all’oggetto della lite che risultino necessari per rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non si tratti di fatti principali, ossia di quelli che è onere delle parti allegare e provare a fondamento delle rispettive pretese.
La pronuncia assume rilievo sistematico poiché riafferma la distinzione tra fatti principali e fatti secondari, chiarendo che solo i primi sono riservati all’iniziativa probatoria delle parti, mentre i secondi possono essere accertati dal consulente quale ausiliario del giudice. L’attività peritale, dunque, può comprendere l’acquisizione di elementi tecnici o economici esterni agli atti, quando tali elementi si configurino come strumenti conoscitivi idonei a valutare o verificare fatti già allegati e documentati nel processo. In tale prospettiva, l’utilizzo di listini, statistiche o documentazione di natura tecnica non viola il principio di disponibilità delle prove, bensì ne integra l’effettività, consentendo una più completa ricostruzione del fatto controverso.
La decisione in commento rafforza inoltre il principio del giusto processo di cui all’articolo 111 della Costituzione, nella parte in cui tutela il contraddittorio anche nella fase peritale. La legittimità dell’acquisizione di documenti non prodotti dalle parti è infatti subordinata alla condizione che il consulente proceda nel rispetto del confronto tra i difensori, consentendo loro di esaminare i materiali raccolti e di formulare eventuali osservazioni o contestazioni. Il CTU non può sostituirsi alle parti nella deduzione di nuovi fatti o nella produzione di prove principali, ma può integrare, precisare o verificare i dati già presenti in causa.
Sul piano pratico, l’ordinanza del 2025 delimita un perimetro operativo più chiaro per il consulente tecnico, ponendo fine a un’incertezza interpretativa che spesso aveva indotto i giudici di merito a dichiarare la nullità delle consulenze basate su documenti acquisiti d’iniziativa. La Corte conferma che la funzione del CTU non è meramente valutativa, ma può assumere carattere anche accertativo, purché l’attività sia strumentale all’applicazione di competenze tecniche e non si traduca in un autonomo esercizio dell’istruzione probatoria.
Da un punto di vista dogmatico, il provvedimento contribuisce a ridefinire l’idea stessa di “perizia giudiziale” nel processo civile, evidenziando come l’apporto tecnico-scientifico del consulente non possa essere confinato in un ruolo di mero interprete dei dati già acquisiti, ma debba essere riconosciuto quale strumento di cooperazione tecnico-cognitiva tra giudice e ausiliario. Ciò comporta, tuttavia, l’esigenza di un rigoroso controllo procedurale: il giudice deve precisare nel quesito i limiti e gli obiettivi dell’indagine; il CTU deve documentare puntualmente le fonti utilizzate e garantire il diritto delle parti a controdedurre.
L’ordinanza n. 24590/2025 rappresenta un passaggio significativo nella giurisprudenza in materia di consulenza tecnica d’ufficio. Essa consente di superare una concezione eccessivamente restrittiva del ruolo del CTU, valorizzando la sua funzione di ausilio conoscitivo e riconoscendo la possibilità di utilizzare, entro determinati limiti, documenti non formalmente prodotti dalle parti. Al contempo, ribadisce che il rispetto del contraddittorio e la distinzione tra fatti principali e secondari costituiscono il criterio-guida per la valutazione della legittimità dell’attività peritale. La decisione contribuisce, in ultima analisi, a rafforzare la coerenza sistematica tra i principi di effettività della tutela giurisdizionale e quelli di correttezza procedurale, delineando un modello di consulenza tecnica che si muove entro un equilibrio dinamico tra rigore formale e funzionalità sostanziale del processo.
15 ottobre 2025
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