Il disturbo della quiete pubblica nel condominio: la Cassazione e l’autonomia probatoria della testimonianza

A cura dell’Avv. Francesco Cervellino

La recente sentenza n. 32043 del 26 settembre 2025 della Terza Sezione penale della Corte di Cassazione offre un significativo chiarimento interpretativo in materia di reati contro l’ordine pubblico, con particolare riguardo alla contravvenzione prevista dall’art. 659 del codice penale (Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone). L’occasione giurisprudenziale consente di riflettere sull’evoluzione del concetto di quiete pubblica nel contesto condominiale e, più in generale, sul rapporto tra accertamento tecnico e valutazione giudiziale in materia di immissioni rumorose. La decisione, che si inserisce nel solco di un orientamento ormai consolidato, assume rilievo non solo sul piano penalistico, ma anche sotto il profilo sistematico dei rapporti di vicinato, nei quali si intrecciano esigenze di convivenza civile, tutela della salute e ordine pubblico.

L’ambito applicativo dell’art. 659 c.p. è stato progressivamente circoscritto dall’evoluzione normativa in tema di inquinamento acustico, fino a comprendere essenzialmente le ipotesi di disturbo provenienti da comportamenti individuali e non riconducibili ad attività soggette a specifiche autorizzazioni amministrative. La norma, collocata nel Titolo dedicato ai reati contro l’ordine pubblico, tutela il bene giuridico della tranquillitas publica, intesa come condizione di quiete collettiva e di regolare svolgimento delle relazioni sociali. La fattispecie si configura come reato di pericolo presunto: non è necessario che il disturbo si verifichi in concreto, ma è sufficiente che la condotta sia astrattamente idonea a turbare il riposo o le occupazioni di una pluralità indeterminata di persone. È questo il punto di distinzione rispetto alle semplici controversie civili in materia di immissioni intollerabili ex art. 844 c.c., ove la tutela riguarda un diritto soggettivo individuale.

Nel caso esaminato, l’imputato era stato condannato dal Tribunale di Brindisi per aver, nelle ore notturne, diffuso musica ad alto volume e provocato rumori tali da impedire ai vicini del piano inferiore il normale riposo. In sede di legittimità, la difesa aveva contestato l’assenza di accertamenti tecnici e di perizia fonometrica, sostenendo che il disturbo avesse riguardato unicamente un numero ristretto di persone, circoscritto all’appartamento sottostante. La Cassazione ha tuttavia rigettato il ricorso, confermando che la sussistenza del reato non dipende dal numero dei soggetti effettivamente disturbati, bensì dall’idoneità oggettiva della condotta a compromettere la quiete di una collettività, anche potenziale, di soggetti.

La Corte ha ribadito che il giudice può fondare il proprio convincimento non solo su dati tecnici, ma anche su elementi probatori di diversa natura, quali testimonianze dirette o riscontri degli agenti intervenuti. La perizia fonometrica, pur rappresentando uno strumento utile, non è condizione necessaria per l’accertamento dell’offensività della condotta. Tale principio, già affermato da precedenti pronunce (Cass., Sez. III, n. 1501/2018; Cass., Sez. I, n. 20954/2011), trova oggi un’applicazione sistematica che valorizza la prova dichiarativa e la percezione sensoriale come elementi idonei a fondare il giudizio di superamento della soglia di normale tollerabilità. Il disturbo, infatti, non va inteso in senso meramente fisico o misurabile, ma come alterazione dell’ordinario equilibrio sonoro che consente la convivenza pacifica in un contesto abitativo.

Sotto il profilo metodologico, la decisione si segnala per aver riaffermato la centralità del prudente apprezzamento del giudice nella valutazione dell’idoneità lesiva dei rumori. Il giudizio, essendo di natura fattuale, richiede un’analisi complessiva delle circostanze concrete, in cui assumono rilievo la frequenza, l’intensità e la durata delle emissioni sonore, nonché il momento temporale in cui esse si verificano. L’assenza di una perizia tecnica non può dunque costituire, di per sé, motivo di annullamento della sentenza di condanna, qualora la prova testimoniale e gli accertamenti empirici degli organi di polizia abbiano fornito elementi sufficienti per ritenere superata la soglia della normale tollerabilità.

La portata sistematica della pronuncia va oltre il singolo caso di rumori condominiali. Essa consolida un’interpretazione del bene giuridico “quiete pubblica” che, pur radicandosi nella dimensione collettiva dell’ordine pubblico, non esclude la rilevanza di fenomeni localizzati, purché astrattamente idonei a propagarsi oltre l’ambito domestico immediato. In questa prospettiva, il reato non tutela il diritto al silenzio di un singolo individuo, ma la tranquillità di una comunità abitativa, anche quando solo un soggetto si attivi per denunciare la condotta molesta. Tale approccio riflette un bilanciamento tra l’interesse collettivo al riposo e la libertà individuale di comportamento, imponendo a ciascun consociato un dovere di misura nell’esercizio delle proprie attività domestiche.

In prospettiva, la decisione contribuisce a chiarire la linea di confine tra responsabilità penale e responsabilità civile nelle controversie condominiali. Laddove la condotta rumorosa assuma carattere episodico e circoscritto, potrà configurarsi un illecito civile per immissioni intollerabili. Diversamente, quando essa risulti oggettivamente idonea a turbare la quiete di una pluralità indeterminata di soggetti, ricorre la fattispecie penale ex art. 659 c.p., anche in assenza di misurazioni fonometriche. Si tratta di un principio che rafforza la funzione preventiva del diritto penale in materia di disturbo acustico, ponendo al centro il rispetto delle regole di convivenza e la tutela di un bene immateriale, ma essenziale, quale l’ordine pubblico domestico.

La sentenza n. 32043/2025 assume dunque un valore paradigmatico nel delineare i criteri probatori del reato di disturbo della quiete pubblica, riaffermando l’autonomia del giudice nel valutare la pericolosità della condotta anche in assenza di accertamenti scientifici. Essa ribadisce che la tutela penale della quiete pubblica non può ridursi a un dato tecnico, ma deve riflettere la percezione sociale del disturbo e la sua attitudine a compromettere il benessere collettivo. In tal modo, la giurisprudenza della Cassazione contribuisce a definire una moderna concezione dell’ordine pubblico domestico, fondata sull’equilibrio tra libertà individuale e responsabilità sociale, cardine imprescindibile della convivenza civile.

16 ottobre 2025

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