A cura dell’Avv. Francesco Cervellino
Il progressivo consolidarsi del processo civile telematico ha introdotto nuove frontiere interpretative nella teoria generale del processo, ponendo al centro dell’attenzione il rapporto tra formalismo procedurale e principio di effettività della tutela giurisdizionale. La recente ordinanza della Corte di cassazione n. 27766 del 17 ottobre 2025 offre un contributo di particolare rilievo in tale direzione, affrontando la questione della validità del deposito telematico di un atto processuale respinto dal sistema informatico per «errori fatali» e successivamente ripresentato in tempi brevi. La decisione, oltre a risolvere il caso concreto, delinea un principio di diritto che incide significativamente sulla comprensione del regime giuridico del deposito telematico e sui limiti dell’imputabilità dell’errore tecnico al difensore.
La Corte, chiamata a pronunciarsi sull’improcedibilità di un appello dichiarato tale dalla Corte d’appello di Catanzaro per tardivo deposito, ha ricostruito con sistematicità il quadro normativo di riferimento, richiamando l’art. 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012, il decreto ministeriale n. 44 del 2011 e le specifiche tecniche adottate con i provvedimenti della Direzione generale per i sistemi informativi automatizzati (DGSIA). La Suprema Corte ha chiarito che il deposito telematico si perfeziona con la generazione della ricevuta di avvenuta consegna (RdAC), la cosiddetta seconda PEC, la quale attesta l’ingresso dell’atto nel dominio informatico del Ministero della giustizia. Tuttavia, tale effetto ha natura provvisoria, consolidandosi solo con la successiva accettazione del cancelliere, comunicata mediante la quarta PEC. Si tratta, pertanto, di una fattispecie a formazione progressiva, in cui il perfezionamento definitivo è subordinato all’esito positivo dei controlli automatici e manuali.
La sentenza assume rilievo sistemico perché, pur ribadendo la necessità di verificare la tempestività del deposito con riferimento alla RdAC, riconosce che l’insuccesso tecnico del caricamento, dovuto a un «errore fatale» del sistema, non può essere imputato alla parte qualora questa reagisca tempestivamente mediante un nuovo invio. L’errore fatal – codificato nei sistemi ministeriali con il codice esito “-1” – rappresenta infatti una disfunzione non gestibile dall’utente, estranea al controllo del depositante e riconducibile esclusivamente al malfunzionamento del sistema informatico. Ne consegue che la parte che, ricevuta la comunicazione di errore, provveda senza indugio a reiterare il deposito, non incorre in decadenza, rendendo superflua la presentazione dell’istanza di rimessione in termini ex art. 153, secondo comma, del codice di procedura civile.
L’arresto della Corte si pone in linea con l’orientamento giurisprudenziale inaugurato dalle Sezioni Unite nel 2022, secondo cui la regola della tempestività del deposito deve contemperarsi con il principio di effettività della tutela giurisdizionale, sancito dall’art. 24 della Costituzione e dall’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. L’automatismo tecnologico non può comprimere il diritto di difesa quando l’esito negativo del deposito dipenda da un evento tecnico non imputabile alla parte. La Suprema Corte, dunque, supera un formalismo rigido e valorizza un approccio sostanzialistico, riconoscendo che il diritto di azione non può essere sacrificato sull’altare dell’efficienza informatica.
Sul piano tecnico-giuridico, l’ordinanza chiarisce che i controlli automatici effettuati dal sistema ministeriale riguardano la struttura formale della «busta telematica» – indirizzo del mittente, formato, dimensione, completezza – e non il contenuto sostanziale dell’atto. In tale contesto, l’errore fatal è qualificato come anomalia insuperabile, che non consente al cancelliere alcuna operazione di forzatura. Il messaggio di errore non fornisce indicazioni utili per la soluzione del problema, escludendo ogni possibilità di attribuzione soggettiva della causa tecnica. Di qui l’affermazione, di forte valore nomofilattico, secondo cui l’errore fatale è di per sé idoneo a escludere la colpa del depositante, senza che sia necessaria un’indagine ulteriore sull’origine del malfunzionamento.
L’innovazione interpretativa della Cassazione risiede, dunque, nell’aver riconosciuto una forma di «presunzione di non imputabilità» dell’errore tecnologico, con conseguente attenuazione dell’onere probatorio a carico del difensore. Laddove l’errore si manifesti in forma generica e codificata come “-1”, la parte è tenuta unicamente a dimostrare di aver reagito con tempestività, attraverso un nuovo deposito o, in alternativa, con l’istanza di rimessione in termini. Tali rimedi sono, peraltro, considerati dalla Corte come alternativi e non cumulativi: la pronta rinnovazione dell’invio, con esito positivo, rende superfluo l’intervento giudiziale sulla rimessione, essendo il secondo deposito idoneo a sanare gli effetti del primo.
Sotto il profilo sistematico, la decisione offre un contributo rilevante anche in ordine al rapporto tra decadenza processuale e malfunzionamento tecnologico. La Cassazione precisa che la ratio dell’art. 153, secondo comma, c.p.c. risiede nel garantire un bilanciamento tra certezza dei termini e tutela dell’affidamento incolpevole. La reazione tempestiva della parte, anche in assenza di formale istanza, consente una verifica ex post della legittimità dell’attività compiuta oltre il termine, senza pregiudizio per la ragionevole durata del processo. Il sistema processuale telematico, in quanto strumento di efficienza e non di ostacolo, deve essere interpretato in modo coerente con i principi costituzionali di accesso alla giustizia e di parità delle armi processuali.
L’orientamento espresso dalla Corte di cassazione contribuisce a delineare un modello evolutivo di giustizia digitale fondato sulla cooperazione tra tecnica e diritto. Il giudice, nel valutare la tempestività del deposito, è chiamato a considerare non solo il dato cronologico, ma anche la sequenza procedimentale e la condotta reattiva della parte. Ciò consente di superare la logica binaria del successo o fallimento tecnico e di affermare un criterio di imputazione improntato all’equità sostanziale. Il deposito telematico diventa così non un vincolo formale, ma un processo di comunicazione tra sistemi giuridici e informatici, in cui l’errore non è più sinonimo di colpa, ma indice di una criticità da gestire secondo criteri di ragionevolezza e buona fede.
La pronuncia n. 27766/2025 segna un punto di equilibrio tra certezza formale e garanzia effettiva dei diritti processuali, affermando che l’errore tecnico, quando non imputabile, non può tradursi in una sanzione di improcedibilità. Il principio, di portata generale, estende la sua influenza oltre il caso di specie, configurandosi come un elemento di stabilizzazione sistematica del processo telematico. La giustizia digitale, in questa prospettiva, non può essere ridotta a un mero apparato tecnologico, ma deve divenire uno spazio di tutela sostanziale, in cui la forma resta al servizio della funzione e non viceversa.
21 ottobre 2025
Lo stesso intervento anche su taxlegaljob.net