La clausola visto e piaciuto tra autonomia contrattuale e garanzia per vizi: profili sistematici e giurisprudenziali

A cura dell’Avv. Francesco Cervellino

La recente ordinanza della Corte di cassazione n. 27968 del 21 ottobre 2025 offre un’occasione rilevante per riflettere sulla funzione e sui limiti della clausola comunemente nota come visto e piaciuto, istituto che, pur trovando fondamento nell’autonomia contrattuale, si confronta con i principi inderogabili di buona fede e tutela dell’affidamento nella compravendita. La vicenda decisa dalla Suprema Corte riguardava la vendita di un autocarro usato che, a seguito dell’acquisto, si rivelava affetto da gravi difetti strutturali occultati da un’operazione di riverniciatura. Il compratore, nonostante la presenza della clausola in parola, otteneva in appello la risoluzione del contratto e la restituzione del prezzo, con condanna della venditrice anche per mala fede nell’occultamento del vizio.

La Corte, nel rigettare il ricorso del venditore, ha riaffermato un principio di carattere generale: la clausola visto e piaciuto non può essere invocata per escludere la garanzia ex art. 1490 del Codice civile qualora il venditore abbia scientemente taciuto i vizi della cosa. Tale principio, pur non innovativo, assume particolare rilievo perché ribadisce l’esigenza di contemperare la libertà negoziale con la tutela della buona fede contrattuale, conferendo coerenza sistematica all’istituto.

L’art. 1490 c.c. impone al venditore l’obbligo di garantire che la cosa sia immune da vizi che ne riducano il valore o ne pregiudichino l’uso. La ratio della norma è chiaramente protettiva, mirando a evitare che l’acquirente sopporti il rischio di difformità occulte non imputabili alla propria diligenza. Tuttavia, la disciplina non è inderogabile: le parti possono pattuire un’esclusione o limitazione della garanzia, purché nel rispetto dei limiti imposti dalla legge e, in particolare, del divieto di mala fede. La clausola visto e piaciuto rappresenta una delle espressioni tipiche di tale autonomia derogatoria, utilizzata soprattutto nella prassi delle vendite di beni usati, per ribaltare l’allocazione del rischio in capo al compratore.

La giurisprudenza, consolidando un orientamento risalente, ha più volte chiarito che l’efficacia di tale clausola non è assoluta, ma condizionata alla trasparenza e correttezza del comportamento del venditore. L’esonero di responsabilità trova dunque il suo limite invalicabile nell’art. 1229 c.c., che sancisce la nullità delle pattuizioni volte ad escludere la responsabilità per dolo o colpa grave. La Corte, in linea con questo approccio, ha confermato che la clausola non può essere interpretata come licenza di occultamento, neppure quando il compratore abbia accettato la cosa senza riserve apparenti.

Particolarmente significativo è l’approfondimento dedicato dalla Corte all’interazione tra l’efficacia probatoria degli atti pubblici e la prova dei vizi occulti. Nella fattispecie, la venditrice sosteneva che l’esito positivo della revisione ministeriale, avvenuta il giorno precedente la vendita, dovesse escludere ogni responsabilità, trattandosi di prova legale ex artt. 2699 e 2700 c.c. La Corte ha correttamente distinto i piani oggettivi della prova, rilevando che il certificato di revisione attesta esclusivamente la conformità del veicolo ai requisiti tecnici di legge, ma non può garantire l’assenza di difetti strutturali non rilevabili in sede di controllo. Tale chiarimento contribuisce a precisare il perimetro della prova legale e conferma la centralità del giudizio di merito nella valutazione dei comportamenti contrattuali.

La decisione si inserisce in una linea interpretativa che valorizza l’elemento soggettivo della mala fede quale discrimine decisivo per la validità della clausola visto e piaciuto. L’occultamento volontario di vizi, come nel caso della riverniciatura, integra un comportamento contrario ai doveri di lealtà e correttezza che permeano l’intera fase negoziale. In tal senso, la Cassazione consolida una nozione sostanziale di mala fede, intesa non solo come dolo positivo, ma come omissione consapevole idonea a indurre l’altra parte in errore.

Il contributo interpretativo della pronuncia va oltre la singola fattispecie, toccando questioni di ordine sistematico. In primo luogo, si riafferma che l’autonomia contrattuale trova un limite strutturale nella funzione sociale del contratto e nei principi di buona fede oggettiva. La clausola visto e piaciuto, pur consentendo una diversa allocazione del rischio, non può essere trasformata in strumento di abuso contrattuale. In secondo luogo, si rafforza la distinzione tra vizi riconoscibili e occulti: i primi rimangono a carico dell’acquirente, mentre per i secondi la responsabilità del venditore persiste, salvo prova della propria ignoranza incolpevole.

La riflessione si estende anche al profilo formale della clausola, poiché, quando inserita in condizioni generali di contratto, essa necessita di approvazione specifica ai sensi dell’art. 1341, comma 2, c.c., trattandosi di clausola limitativa della responsabilità. Inoltre, nei contratti con consumatori, tale previsione risulta nulla nella misura in cui riduca i diritti di conformità riconosciuti dalla disciplina consumeristica o determini un significativo squilibrio a loro danno. Ne deriva che l’efficacia della clausola non può prescindere dal contesto contrattuale e dalla qualifica soggettiva delle parti.

In prospettiva, la decisione si presta a essere letta come riaffermazione di un equilibrio dinamico tra autonomia negoziale e tutela dell’affidamento. La Cassazione, pur rispettando la libertà contrattuale, riafferma il principio secondo cui la buona fede costituisce limite sostanziale a qualsiasi pattuizione derogatoria. La clausola visto e piaciuto sopravvive dunque come strumento legittimo di regolazione del rischio, ma solo se applicata in un contesto di lealtà e trasparenza.

Da un punto di vista pratico, l’orientamento rafforza la posizione dell’acquirente nelle transazioni di beni usati, imponendo al venditore un dovere di disclosure proporzionato alla conoscibilità del vizio. Ciò comporta un innalzamento dello standard di diligenza nella fase precontrattuale e una maggiore attenzione alla tracciabilità delle verifiche tecniche. La clausola non può più fungere da scudo per l’inadempimento, ma da elemento di equilibrio informato tra le parti, coerente con i principi di correttezza e buona fede che permeano l’intero sistema delle obbligazioni.

L’ordinanza n. 27968/2025 conferma la tendenza della giurisprudenza di legittimità a interpretare in senso restrittivo le clausole di esonero da responsabilità, in nome della prevalenza dei principi di lealtà contrattuale e tutela dell’affidamento. Essa contribuisce a rafforzare la coerenza sistematica della disciplina della garanzia per vizi, delineando un modello di equilibrio tra autonomia privata e ordine pubblico economico, nel quale la clausola visto e piaciuto può operare legittimamente solo entro il perimetro della buona fede e della correttezza negoziale.

23 ottobre 2025

Lo stesso elaborato anche su taxlegaljob.net