L’affidamento “a nido” e la centralità dell’habitat del minore: profili giuridici e sistematici della recente giurisprudenza di merito

A cura dell’Avv. Francesco Cervellino

La recente pronuncia del Tribunale di Roma, n. 13579 del 9 ottobre 2025, offre un’occasione di riflessione di particolare rilievo sull’evoluzione dell’affidamento condiviso nel diritto di famiglia. Essa rappresenta infatti un punto di svolta interpretativo, poiché valorizza il principio di continuità dell’habitat del minore, pur in un contesto di elevata conflittualità tra i genitori. La decisione si inserisce nel solco del diritto vivente delineato dall’art. 337 sexies c.c. e dagli artt. 473-bis ss. c.p.c., ma lo reinterpreta secondo una prospettiva di equilibrio tra il principio di bigenitorialità e la tutela concreta dell’interesse superiore del figlio.
Nel caso esaminato, il giudice ha disposto, in via provvisoria, un affidamento condiviso “alternato” – o, secondo la terminologia di derivazione anglosassone, nesting – prevedendo che il minore resti stabilmente nella casa familiare, mentre i genitori si avvicendino settimanalmente nell’abitazione. Tale soluzione, sinora poco praticata nella giurisprudenza nazionale, è stata adottata nonostante l’elevato livello di conflitto, come emerge dagli accertamenti dei servizi sociali, e in pendenza di una consulenza tecnica d’ufficio volta a verificare le capacità genitoriali di entrambi. La scelta di evitare l’assegnazione della casa familiare a uno solo dei genitori – provvedimento che di norma cristallizza la posizione di chi risulta collocatario – assume, in questo quadro, un valore paradigmatico: essa risponde all’esigenza di ricondurre la residenza del minore al suo centro affettivo e materiale, sottraendola alla logica possessoria che sovente caratterizza il contenzioso familiare.

Dal punto di vista sistematico, la decisione si pone in tensione con l’impostazione tradizionale che interpreta la stabilità abitativa come sinonimo di unicità del luogo di vita del minore presso un solo genitore. Il giudice capitolino ha invece ritenuto che la continuità debba riferirsi primariamente all’ambiente di crescita e non alla figura genitoriale prevalente. Tale impostazione, coerente con le linee guida europee sul principio del best interest of the child, valorizza il radicamento del minore nello spazio domestico originario, considerato come luogo di identità e di sicurezza emotiva. In questo senso, l’innovazione risiede non tanto nell’alternanza dei genitori, quanto nella conservazione dell’habitat del figlio quale bene giuridico meritevole di protezione diretta.

La misura presenta tuttavia implicazioni complesse sul piano applicativo. Essa presuppone una disponibilità economica idonea a consentire a ciascun genitore di reperire un’abitazione alternativa per i periodi di assenza, con un onere finanziario che non tutti possono sostenere. Inoltre, la gestione turnaria dell’abitazione richiede una cooperazione minima tra le parti, la cui mancanza potrebbe vanificare gli effetti protettivi perseguiti. Il decreto romano supera questi ostacoli attraverso la nomina di un curatore speciale del minore, figura introdotta dalla riforma Cartabia, con funzioni sostitutive nelle decisioni rilevanti per la vita del bambino. Tale scelta accentua la dimensione pubblicistica della responsabilità genitoriale, affidando al giudice e ai soggetti ausiliari il compito di bilanciare la conflittualità con l’interesse del minore a una genitorialità paritaria e non esclusiva.

La motivazione del provvedimento, nel disporre la turnazione settimanale dei genitori nella casa familiare, mostra un approccio pragmatico ma anche pedagogico. L’obbligo per entrambi di allontanarsi periodicamente dalla dimora comune rappresenta un correttivo simbolico rispetto a prassi giudiziarie che, pur in nome della tutela dei figli, finiscono spesso per privilegiare le aspettative abitative del genitore “collocatario”. In tal modo, la pronuncia romana rovescia la prospettiva tradizionale: non più il minore che segue il genitore, ma i genitori che si alternano nel luogo del figlio. Ciò restituisce all’art. 337 sexies c.c. la sua ratio originaria, ossia garantire la continuità delle condizioni di vita del minore, sottraendola alla deriva patrimoniale che l’istituto dell’assegnazione della casa familiare ha spesso assunto.

Sotto il profilo dogmatico, la soluzione si collega alla crescente attenzione dottrinale verso la funzione “relazionale” della residenza familiare. L’unità abitativa non è più concepita quale mero bene materiale, ma come spazio di tutela della personalità del minore ai sensi degli artt. 2 e 30 della Costituzione. Il decreto in esame sembra dunque anticipare un possibile sviluppo della giurisprudenza di legittimità in senso maggiormente sostanzialistico, idoneo a valorizzare la parità genitoriale non solo nella titolarità dei diritti, ma anche nell’effettività della presenza quotidiana. In tale prospettiva, l’affidamento “a nido” diviene un istituto-ponte tra il modello condiviso e quello esclusivo, capace di preservare il diritto del minore alla stabilità domestica senza compromettere la simmetria tra le figure genitoriali.

Le implicazioni prospettiche di tale approccio sono significative. Se la prassi dovesse consolidarsi, l’assegnazione della casa familiare perderebbe il carattere di automatismo collegato al collocamento prevalente, recuperando una funzione autenticamente protettiva dell’infanzia. Parallelamente, la figura del curatore speciale potrebbe assumere un ruolo strutturale nelle situazioni di alta conflittualità, fungendo da garante dell’interesse del minore nei momenti in cui la mediazione tra i genitori si rivela impossibile. Ne deriverebbe un diritto di famiglia sempre più orientato alla tutela dell’infanzia come soggetto autonomo e non come riflesso dei diritti parentali.

La pronuncia del Tribunale di Roma si configura come un laboratorio giurisprudenziale di grande portata. Essa sperimenta un modello di convivenza genitoriale che, pur non privo di criticità, si fonda su una visione paritaria della genitorialità e su un’applicazione dinamica dell’art. 337 sexies c.c. L’affidamento “a nido” non è dunque soltanto un espediente organizzativo, ma una risposta coerente alle trasformazioni sociali e culturali della famiglia contemporanea. La sua diffusione potrebbe contribuire a riequilibrare la tensione tra conflitto genitoriale e centralità del minore, restituendo al diritto di famiglia la sua funzione primaria di protezione dei soggetti più vulnerabili.

31 ottobre 2025

Lo stesso elaborato anche su taxlegaljob.net