La bancarotta fraudolenta per distrazione come reato di pericolo concreto: l’autonomia della condotta rispetto al dissesto d’impresa

A cura dell’Avv. Francesco Cervellino

Nel recente orientamento espresso dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 36278 del 2025, la Suprema Corte ha fornito una significativa conferma circa la qualificazione della bancarotta fraudolenta per distrazione come reato di pericolo concreto, svincolandone la configurabilità dall’esistenza di un nesso causale tra la condotta distrattiva e il successivo stato di insolvenza. La decisione si inserisce nel solco della consolidata giurisprudenza di legittimità, la quale, a partire dalle note pronunce delle Sezioni Unite, ha chiarito che il delitto in questione si perfeziona con il mero compimento di un atto idoneo a porre in pericolo l’integrità patrimoniale dell’impresa, indipendentemente dall’effettivo verificarsi del dissesto.

L’occasione è stata offerta da una complessa vicenda di frode sistematica, nella quale gli amministratori di una società avevano predisposto un articolato meccanismo di interposizione fittizia e di falsa fatturazione, volto a trasferire all’estero somme corrispondenti all’imposta sul valore aggiunto evasa. La Corte territoriale aveva ritenuto che tali condotte, pur in origine funzionali all’evasione tributaria, integrassero anche gli estremi della bancarotta fraudolenta per distrazione, in quanto avevano determinato un depauperamento stabile e ingiustificato del patrimonio sociale, a danno della massa dei creditori.

Nel giudizio di legittimità, la Corte ha ribadito che l’accertamento dell’elemento oggettivo del reato deve essere condotto valorizzando criteri ex ante, idonei a valutare la concreta pericolosità dell’atto distrattivo rispetto alla funzione di garanzia del patrimonio sociale. In questa prospettiva, assume rilievo la ricerca di “indici di fraudolenza”, desumibili non solo dalla natura dell’operazione posta in essere — quale la fittizia interposizione di soggetti o la creazione di sistemi di fatturazione simulata — ma anche dal contesto economico e finanziario in cui essa si colloca, dalla cointeressenza dell’amministratore in attività parallele, nonché dall’assenza di plausibili finalità imprenditoriali.

La Corte ha inoltre ribadito che l’elemento soggettivo della fattispecie è costituito dal dolo generico, integrato dalla consapevole volontà di destinare il patrimonio sociale a fini estranei a quelli di garanzia dei creditori, senza che sia necessario accertare la specifica intenzione di recare pregiudizio o la previsione dello stato d’insolvenza. Tale orientamento si fonda sull’idea che la bancarotta fraudolenta per distrazione miri a tutelare l’affidamento dei creditori nella stabilità del patrimonio dell’impresa, quale bene collettivo di garanzia, e non solo a sanzionare il danno effettivamente verificatosi.

Particolarmente significativo è l’approfondimento svolto dalla sentenza in ordine alla distinzione tra l’ambito applicativo del reato fallimentare e quello tributario. La Suprema Corte ha chiarito che l’illecito fiscale, pur condividendo talora la medesima condotta materiale, resta autonomo rispetto a quello fallimentare, in quanto protettivo di un diverso bene giuridico: l’interesse dell’erario al corretto adempimento degli obblighi tributari. Il concorso tra le due fattispecie non viola il principio del ne bis in idem, poiché l’identità del fatto va valutata in termini storici e non giuridici, e la distrazione patrimoniale, pur originata da operazioni di evasione, assume rilievo autonomo una volta dichiarato il fallimento dell’impresa.

Sul piano sistematico, la sentenza rafforza la concezione secondo cui la bancarotta fraudolenta si configura come reato a struttura bifasica, in cui la dichiarazione di fallimento rappresenta una condizione obiettiva di punibilità e non un elemento costitutivo della fattispecie. Ne consegue che le condotte di distrazione possono essere penalmente rilevanti anche quando poste in essere in un momento anteriore alla crisi d’impresa, purché connotate da oggettiva idoneità a pregiudicare l’integrità patrimoniale e da consapevolezza della loro potenzialità lesiva.

La Corte ha altresì escluso che la distanza temporale tra l’atto distrattivo e il successivo dissesto, ovvero l’esistenza di piani di sviluppo aziendale all’epoca dell’operazione, possa di per sé escludere la sussistenza del reato. L’eventuale iato temporale non assume rilievo scriminante, poiché la condotta distrattiva si perfeziona con l’atto di privazione del bene sociale, qualora esso appaia privo di giustificazione economica e idoneo a compromettere, anche solo in prospettiva, la garanzia dei creditori.

Di particolare rilievo risulta, infine, l’affermazione secondo cui la creazione di fondi neri, la fittizia compensazione dell’imposta sul valore aggiunto o l’utilizzo di conti esteri intestati a società interposte rappresentano manifestazioni tipiche della “fraudolenza” dell’atto distrattivo. La Suprema Corte individua in tali meccanismi non soltanto un sintomo della volontà evasiva, ma anche un indice qualificante della concreta pericolosità della condotta rispetto alla massa dei creditori, in quanto rivelano un consapevole drenaggio di risorse in danno del patrimonio sociale.

Sotto il profilo dogmatico, la pronuncia conferma che la bancarotta fraudolenta per distrazione non punisce l’insolvenza, ma la violazione del principio di corretta destinazione delle risorse aziendali, quale fondamento della fiducia dei terzi nel traffico economico. Essa si colloca, pertanto, nel più ampio sistema dei reati contro il patrimonio dell’impresa, nei quali la pericolosità concreta costituisce l’asse portante della tipicità, e la consapevolezza della condotta rappresenta l’unico necessario elemento psicologico.

Le implicazioni pratiche dell’arresto in commento appaiono rilevanti tanto per la prassi giudiziaria quanto per l’operatività degli organi di controllo societario e concorsuale. L’accento posto sull’idoneità ex ante della condotta distrattiva e sull’autonomia della responsabilità penale rispetto all’insolvenza impone una maggiore attenzione nella gestione dei flussi finanziari intra-gruppo, nelle operazioni con società correlate e nelle scelte di pianificazione fiscale, soprattutto quando esse comportino la sottrazione di liquidità o di beni alla garanzia patrimoniale.

La sentenza n. 36278 del 2025 riafferma la centralità del principio di responsabilità nella gestione societaria e ribadisce che l’interesse dei creditori precede, sul piano della tutela penale, ogni valutazione sulla sorte dell’impresa. In tale prospettiva, la bancarotta fraudolenta per distrazione si configura come un presidio essenziale contro le forme più insidiose di spoliazione patrimoniale, garantendo la stabilità del sistema concorsuale e la leale concorrenza nel mercato.

7 novembre 2025

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