La destinazione funzionale dell’immobile quale criterio determinante per la detraibilità dell’IVA

A cura dell’Avv. Francesco Cervellino

La recente ordinanza n. 31511/2025 della Corte di cassazione, Sezione tributaria, offre un’occasione significativa per approfondire la portata applicativa del principio di neutralità dell’imposta sul valore aggiunto e il ruolo che l’inerenza oggettiva del bene svolge ai fini del riconoscimento del diritto alla detrazione. Il caso esaminato dalla Suprema Corte, ricostruito altresì alla luce delle indicazioni generali contenute nel documento di supporto, consente di delineare in modo sistematico i criteri interpretativi che governano la detraibilità dell’imposta assolta su immobili accatastati come abitativi ma destinati all’esercizio dell’attività d’impresa. Il provvedimento chiarisce l’ambito operativo dell’articolo 19-bis1, lettera i), del decreto del Presidente della Repubblica n. 633/1972 e individua la prevalenza dell’utilizzo concreto o prospettico del bene rispetto alla sua classificazione catastale, ponendosi in continuità con un orientamento ormai consolidato in giurisprudenza e coerente con le pronunce della Corte di giustizia dell’Unione europea.

 

In una prospettiva sistematica, la decisione conferma che l’istituto della detrazione si colloca al centro del meccanismo dell’imposta armonizzata e ne costituisce essenza e garanzia: l’IVA deve gravare esclusivamente sul consumatore finale, mentre al soggetto passivo spetta il diritto di recuperare integralmente l’imposta assolta a monte ogniqualvolta l’acquisto del bene o del servizio sia riferibile ad attività economiche che comportano operazioni imponibili. Ne discende che l’interpretazione delle limitazioni oggettive alla detraibilità deve essere improntata a criteri restrittivi, tali da non compromettere il principio di neutralità, come costantemente affermato dalla giurisprudenza unionale. In tal senso, la Corte di cassazione ribadisce che la mera classificazione catastale non costituisce elemento idoneo a escludere la strumentalità del bene all’attività d’impresa, dovendo piuttosto verificarsi l’inerenza oggettiva dell’immobile sulla base del suo utilizzo effettivo o, anche solo in via prospettica, dell’intenzione iniziale del contribuente di impiegarlo nell’esercizio dell’attività economica. Tale accertamento va condotto attraverso elementi oggettivi, documentali e tecnici, quali risultanti dalle perizie, dagli atti del procedimento amministrativo e dal complessivo quadro istruttorio acquisito nei gradi di merito.

 

L’ordinanza affronta in modo puntuale il rapporto tra l’articolo 19-bis1, lettera i), e la destinazione funzionale dell’immobile. La limitazione alla detrazione, prevista per i fabbricati a destinazione abitativa, risponde all’esigenza di prevenire indebite detrazioni derivanti dall’utilizzo personale del bene; essa tuttavia non opera quando l’immobile, pur accatastato come abitativo, risulti oggettivamente destinato all’esercizio dell’impresa. La Corte richiama, a sostegno di tale impostazione, precedenti consolidati, valorizzando in particolare la coerenza della soluzione con il diritto dell’Unione europea, che riconosce la detrazione anche quando il bene sia stato temporaneamente utilizzato a fini abitativi, purché al momento dell’investimento fosse chiara la volontà del soggetto passivo di destinarlo stabilmente all’attività economica. Nel caso oggetto di giudizio, la Suprema Corte osserva che le perizie tecniche asseverate comprovavano la destinazione turistico-alberghiera delle opere di ristrutturazione e ampliamento, mentre l’Amministrazione finanziaria non aveva fornito elementi idonei a dimostrare una destinazione abitativa dell’immobile. L’accertamento in fatto compiuto dal giudice di merito risulta dunque coerente con i criteri elaborati dalla giurisprudenza nazionale e unionale, conducendo al riconoscimento del diritto alla detrazione.

 

Le implicazioni sistematiche della pronuncia appaiono di rilievo. La Corte riafferma che la verifica della detraibilità non può fondarsi su criteri meramente formali, quali la categoria catastale, ma deve essere ancorata alla sostanza economica dell’operazione, secondo un approccio sostanzialistico conforme al principio di neutralità. Ciò implica un onere probatorio differenziato: da un lato, il contribuente è chiamato a dimostrare, mediante elementi oggettivi, la destinazione del bene all’attività d’impresa; dall’altro, l’Amministrazione, ove intenda negare la detrazione, deve provare l’assenza di inerenza, non potendo limitarsi a valorizzare la classificazione catastale. La pronuncia contribuisce altresì a rafforzare la funzione interpretativa dell’inerenza quale criterio cardine del sistema della detrazione, ponendo l’accento sulla connessione funzionale tra investimento e attività economica, anche in una prospettiva futura. Ne emerge una lettura dell’articolo 19-bis1 coerente con l’impianto europeo e attenta a evitare effetti distorsivi o duplicazioni d’imposta.

 

L’ordinanza n. 31511/2025 si colloca in un quadro giurisprudenziale stabilizzato, rafforzando la centralità della destinazione funzionale del bene quale parametro decisivo per la detraibilità dell’IVA e riaffermando l’esigenza di un’interpretazione delle norme limitative conforme al principio di neutralità. Essa offre un punto di riferimento rilevante per operatori professionali, imprese e interpreti del diritto, contribuendo a delineare un assetto applicativo che valorizza la sostanza economica delle operazioni e garantisce certezza nei rapporti tra contribuente e Amministrazione finanziaria.

4 dicembre 2025

L’argomento viene trattato anche su taxlegaljob.net