
A cura dell’Avv. Francesco Cervellino
Nel sistema tributario italiano, la responsabilità dei soci per i debiti fiscali della società estinta costituisce da tempo un terreno di confronto tra esigenze di tutela dell’erario e principi di certezza giuridica. La recente pronuncia n. 32475 del 2025 della giurisdizione di legittimità si inserisce in tale solco, offrendo un chiarimento di particolare rilievo in ordine ai presupposti probatori richiesti per l’estensione della responsabilità tributaria ai soci di società di capitali caratterizzate da una ristretta base partecipativa. La decisione assume rilevanza sistematica poiché coordina la disciplina civilistica dell’estinzione societaria con le regole tributarie in materia di accertamento e riscossione, valorizzando il ruolo delle presunzioni semplici quali strumenti di imputazione del reddito e di ricostruzione della capacità contributiva effettiva .
Il quadro normativo di riferimento è rappresentato, da un lato, dalle disposizioni del codice civile che regolano gli effetti della cancellazione della società dal registro delle imprese e, dall’altro, dalla disciplina speciale dettata in materia di riscossione delle imposte. In particolare, la normativa tributaria prevede una responsabilità dei soci limitata, in linea di principio, a quanto da essi riscosso in sede di liquidazione o nei periodi immediatamente antecedenti. Tale responsabilità non si configura come automatica, ma richiede l’accertamento di specifici presupposti, con onere probatorio in capo all’amministrazione finanziaria. La giurisprudenza di legittimità ha progressivamente chiarito che la riscossione di somme non costituisce soltanto il limite quantitativo dell’obbligazione del socio, bensì una vera e propria condizione dell’azione, funzionale a radicare l’interesse ad agire dell’ente impositore.
In questo contesto, la decisione in esame assume un rilievo peculiare laddove affronta il tema delle società a ristretta base partecipativa, nelle quali il numero esiguo di soci determina un particolare assetto dei rapporti interni e un elevato grado di controllo reciproco. Secondo un orientamento ormai consolidato, l’accertamento di maggiori redditi in capo alla società, non accompagnato da evidenze di accantonamento o reinvestimento, consente di presumere la loro distribuzione occulta ai soci in proporzione alle rispettive quote. Tale presunzione trova fondamento non in un automatismo sanzionatorio, bensì nella ragionevole inferenza che, in strutture societarie chiuse, i soci abbiano una conoscibilità diretta della gestione e delle sue risultanze economiche.
La pronuncia del 2025 compie un ulteriore passo, affermando che la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili è idonea a integrare anche il requisito della riscossione richiesto per l’attivazione della responsabilità dei soci per i debiti tributari della società estinta. In tal modo, la Corte supera una lettura eccessivamente formalistica della disciplina, che avrebbe richiesto una prova documentale puntuale della percezione di somme, spesso impossibile in presenza di utili occulti per definizione non contabilizzati. La soluzione adottata valorizza l’effettività della pretesa fiscale e impedisce che l’occultamento del reddito si traduca in un indebito vantaggio per i soci.
Sotto il profilo probatorio, la decisione ribadisce che l’onere della prova contraria grava sul socio, il quale può dimostrare che i maggiori utili non sono stati distribuiti, ma sono rimasti investiti nel patrimonio sociale, ovvero che egli era estraneo alla gestione e privo di concreta possibilità di incidere sulle scelte operative. Tale impostazione, pur severa, appare coerente con il principio di capacità contributiva, poiché attribuisce rilevanza non alla mera titolarità formale della partecipazione, ma alla sostanziale disponibilità delle risorse economiche.
Un ulteriore profilo di interesse concerne la collocazione temporale della distribuzione degli utili occulti. In assenza di una deliberazione formale di approvazione del bilancio, la Corte ritiene che la distribuzione debba considerarsi avvenuta nello stesso periodo d’imposta in cui gli utili sono stati conseguiti. Anche in questo caso, si tratta di una presunzione funzionale a evitare che la mancanza di atti formali consenta di eludere l’imposizione, fermo restando il diritto del contribuente di offrire prova contraria.
Le implicazioni sistematiche della pronuncia sono rilevanti. Da un lato, essa rafforza l’efficacia dell’azione di recupero dell’erario, ampliando l’ambito applicativo della responsabilità dei soci in presenza di utili non dichiarati. Dall’altro, essa impone ai soci di società a ristretta base un elevato standard di diligenza nella gestione e nel controllo dell’operato sociale, poiché la partecipazione si traduce in un rischio fiscale non trascurabile. In prospettiva, la decisione contribuisce a delineare un modello di responsabilità che, pur fondato su presunzioni, mantiene un equilibrio tra esigenze di contrasto all’evasione e garanzie difensive, affidate alla possibilità di fornire prova contraria effettiva.
La sentenza n. 32475 del 2025 si colloca come un tassello significativo nell’evoluzione della giurisprudenza in materia di responsabilità tributaria dei soci, chiarendo che, nelle società a ristretta base partecipativa, la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili può fungere da elemento sufficiente per fondare sia l’imposizione personale sia l’azione di recupero delle imposte dovute dalla società estinta. Tale approccio, pur rigoroso, appare coerente con una visione sostanzialistica del diritto tributario, orientata a colpire la reale disponibilità di ricchezza e a preservare l’integrità del gettito fiscale.
20 dicembre 2025
L’argomento viene trattato anche su taxlegaljob.net
