
A cura dell’Avv. Francesco Cervellino
L’evoluzione tecnologica e, in particolare, la progressiva integrazione di sistemi di intelligenza artificiale nei processi produttivi e organizzativi delle imprese solleva interrogativi di rilevante impatto sistematico sul diritto del lavoro. In tale contesto, il tema del licenziamento per giustificato motivo oggettivo assume una centralità rinnovata, poiché l’adozione di strumenti algoritmici incide direttamente sull’assetto delle mansioni e sull’organizzazione del lavoro umano. La recente giurisprudenza di merito ha offerto un contributo significativo nel chiarire se e a quali condizioni l’introduzione dell’intelligenza artificiale possa integrare una valida ragione organizzativa idonea a giustificare la soppressione di una posizione lavorativa.
Il quadro normativo di riferimento rimane ancorato ai principi tradizionali che regolano il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, fondato su ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro o al regolare funzionamento dell’impresa. In tale ambito, l’ordinamento richiede la sussistenza di esigenze effettive e non meramente pretestuose, nonché un nesso causale diretto tra la scelta organizzativa e il recesso datoriale. A ciò si aggiunge l’obbligo di verificare l’impossibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni compatibili, secondo il principio del repêchage, che costituisce elemento strutturale della legittimità del licenziamento.
La decisione esaminata si inserisce in questo solco, affrontando il tema dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale non come fattore autonomo o eccezionale, bensì come strumento inserito in una più ampia strategia di riorganizzazione aziendale. Il giudice ha infatti ricondotto l’adozione di sistemi algoritmici a una scelta di efficientamento e contenimento dei costi maturata in un contesto di comprovata crisi economico-finanziaria. In tale prospettiva, l’intelligenza artificiale non viene considerata quale causa diretta e isolata del licenziamento, ma come uno degli elementi attraverso cui l’impresa realizza una razionalizzazione delle proprie risorse.
Particolare rilievo assume l’analisi della soppressione della posizione lavorativa. Dalla ricostruzione fattuale emerge che le mansioni originariamente svolte dal lavoratore sono state progressivamente ridimensionate, redistribuite all’interno dell’organizzazione e, in parte, assorbite da strumenti di intelligenza artificiale utilizzati a supporto delle attività residue. Ciò ha condotto a una effettiva cessazione delle funzioni originarie, con conseguente venir meno dell’utilità economico-organizzativa della posizione. In tale contesto, il giudice ha ritenuto che non rilevi la mera possibilità astratta che le mansioni possano continuare a esistere in forma diversa, ma occorra valutare se esse permangano come ruolo autonomo e necessario all’interno dell’assetto organizzativo.
La decisione dedica ampio spazio anche alla verifica dell’impossibilità di ricollocazione del lavoratore. In linea con l’orientamento consolidato, l’onere probatorio grava sul datore di lavoro, il quale deve dimostrare che non vi siano posizioni disponibili compatibili con la professionalità del dipendente. Nel caso di specie, tale onere è stato assolto attraverso la dimostrazione della progressiva riduzione dell’organico, della concentrazione delle attività sui settori strategici e della mancanza di competenze tecniche idonee a consentire un reimpiego utile. Il giudice ha valorizzato, in particolare, la distinzione tra mansioni creative di supporto e ruoli altamente specialistici, evidenziando come la riconversione professionale non possa essere imposta oltre i limiti della ragionevole esigibilità.
Un ulteriore profilo di interesse riguarda la qualificazione dell’intelligenza artificiale quale strumento organizzativo. La pronuncia chiarisce che l’adozione di tecnologie avanzate non determina l’introduzione di un regime derogatorio rispetto alle tutele del lavoratore, né attenua i requisiti di legittimità del licenziamento. Al contrario, l’uso dell’intelligenza artificiale deve essere valutato alla luce dei medesimi criteri applicabili a qualsiasi scelta di riorganizzazione, con particolare attenzione alla concretezza delle esigenze addotte e alla coerenza complessiva del disegno imprenditoriale.
Sotto il profilo sistematico, la decisione conferma che il diritto del lavoro dispone già degli strumenti concettuali necessari per affrontare le trasformazioni indotte dall’innovazione tecnologica. L’intelligenza artificiale non si pone come elemento di rottura dell’assetto normativo, ma come fattore che sollecita una lettura evolutiva delle categorie esistenti. In tale prospettiva, il giudizio di legittimità del licenziamento continua a fondarsi su un bilanciamento tra libertà di iniziativa economica e tutela della stabilità occupazionale, bilanciamento che deve essere condotto caso per caso.
La pronuncia esaminata assume un valore paradigmatico nel delineare i confini entro cui l’intelligenza artificiale può incidere sulle scelte espulsive dell’impresa. Essa afferma con chiarezza che l’innovazione tecnologica, quando inserita in un contesto di riorganizzazione effettiva e sorretta da esigenze oggettive, può legittimamente concorrere alla soppressione di una posizione lavorativa, purché siano rispettati i principi di causalità, proporzionalità e impossibilità di repêchage. Ne emerge una lettura equilibrata, che evita sia approcci difensivi rispetto al progresso tecnologico, sia derive deregolative incompatibili con le garanzie fondamentali del lavoratore.
23 dicembre 2025
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