Il consenso genitoriale quale presupposto selettivo delle spese formative straordinarie nel mantenimento dei figli. Cassazione 33411/2025

A cura dell’Avv. Francesco Cervellino

La questione dell’imputazione delle spese universitarie sostenute per i figli maggiorenni, quando il percorso formativo si svolga in un contesto oneroso e non ordinario, continua a rappresentare uno dei punti di maggiore frizione nel sistema del mantenimento post-coniugale. Il tema si colloca in un’area di confine nella quale l’obbligazione genitoriale, pur rimanendo ancorata alla finalità costituzionale di garantire lo sviluppo della persona, incontra limiti funzionali connessi alla ripartizione delle scelte educative e al valore giuridico del consenso. L’ordinanza n. 33411 del 2025 consente di interrogarsi non tanto sull’estensione astratta del dovere di mantenimento, quanto sulla sua concreta modulazione quando il titolo giudiziale che lo disciplina abbia già operato una selezione preventiva delle spese rimborsabili, subordinandole a un accordo tra i genitori.

Nel quadro normativo vigente, il mantenimento dei figli, anche oltre il raggiungimento della maggiore età, si configura come obbligazione complessa, caratterizzata da un contenuto elastico, suscettibile di adattamento alle condizioni economiche delle parti e alle esigenze evolutive del beneficiario. La distinzione tradizionale tra spese ordinarie e straordinarie ha assunto nel tempo una funzione eminentemente pratica, volta a governare la prevedibilità dell’esborso e le modalità di contribuzione. Tuttavia, tale distinzione non esaurisce il problema quando il giudice, nel regolare il rapporto, abbia espressamente previsto che determinate voci di spesa, pur collegate all’istruzione, richiedano un previo consenso, trasformando la spesa stessa da fatto oggettivo a espressione di una scelta condivisa.

L’istruzione universitaria rappresenta, sotto questo profilo, un terreno particolarmente sensibile. Se è vero che il completamento della formazione costituisce una naturale prosecuzione del percorso educativo e, in linea di principio, rientra nell’area di copertura dell’obbligo di mantenimento, è altrettanto vero che la selezione dell’istituzione, specie quando comporti costi significativamente superiori alla media, non può essere considerata neutra. La scelta di un’università privata o straniera non incide soltanto sull’entità dell’esborso, ma riflette una determinata opzione culturale ed economica, che il sistema non presume automaticamente condivisa.

L’ordinanza in esame si colloca in questa prospettiva, valorizzando il dato, spesso trascurato nel dibattito, del giudicato formatosi sulle condizioni del mantenimento. Il provvedimento che aveva regolato il rapporto tra i genitori aveva infatti distinto tra contributo fisso mensile e spese ulteriori, subordinando queste ultime a un accordo preventivo. Tale clausola non si limita a disciplinare le modalità di rimborso, ma introduce una vera e propria condizione di esigibilità dell’obbligazione. In altri termini, il consenso non opera come mero requisito formale, bensì come elemento costitutivo del diritto al rimborso.

La ricostruzione operata consente di cogliere un aspetto sistemico di particolare rilievo. La regola, secondo cui le spese sostenute nell’interesse dei figli possono essere rimborsate anche in assenza di previo assenso, non ha valore assoluto. Essa trova applicazione in mancanza di una diversa regolamentazione giudiziale. Quando, invece, il giudice abbia ritenuto di affidare all’accordo delle parti l’individuazione delle spese ulteriori, la discrezionalità genitoriale viene ricondotta entro uno schema cooperativo vincolante. In tale contesto, l’iniziativa unilaterale, per quanto ispirata all’interesse del figlio, non è sufficiente a generare un obbligo di contribuzione in capo all’altro genitore.

La decisione si segnala anche per l’attenzione riservata al rapporto tra giudicato e successive pretese creditorie. Non viene affermata una preclusione sul quantum delle spese sostenute, bensì sulla loro rimborsabilità in difetto del presupposto consensuale. Il giudicato, dunque, non cristallizza l’ammontare dell’obbligazione, ma il criterio giuridico che ne governa la nascita. Ciò comporta che ogni azione successiva volta al recupero delle somme debba misurarsi non con l’utilità della spesa, ma con la verifica dell’accordo preventivo, la cui mancanza è dirimente.

Sotto il profilo funzionale, tale impostazione contribuisce a riequilibrare il rapporto tra autonomia genitoriale e tutela del figlio. L’interesse di quest’ultimo non viene negato, ma mediato attraverso un meccanismo che evita di trasformare il dovere di mantenimento in una fonte di obbligazioni imprevedibili e potenzialmente sproporzionate. Il consenso assume così una funzione di filtro, idonea a selezionare le spese che, per natura e incidenza economica, esigono una decisione congiunta.

Non meno significativa è la ricaduta sul piano processuale. L’inammissibilità delle censure dirette a rimettere in discussione un assetto già definito evidenzia come l’ordinamento intenda scoraggiare un uso reiterato dello strumento giudiziario volto a superare indirettamente scelte non condivise. La sanzione applicata in relazione all’abuso del processo rafforza l’idea che il conflitto genitoriale, una volta regolato, non possa essere riaperto se non a fronte di elementi realmente nuovi, e non per contestare ex post la mancata partecipazione a una decisione unilaterale.

In una prospettiva più ampia, la pronuncia sollecita una riflessione sul significato contemporaneo della responsabilità genitoriale nei contesti di alta complessità economica. L’evoluzione dei percorsi formativi, sempre più internazionalizzati e differenziati, rende inevitabile il confronto con scelte ad elevato impatto finanziario. Il diritto, in questo scenario, sembra orientarsi verso una logica di corresponsabilità negoziata, nella quale l’interesse del figlio non giustifica automaticamente qualsiasi opzione, ma richiede un bilanciamento con le risorse e con la volontà di entrambi i genitori.

La soluzione adottata non appare, pertanto, espressione di un arretramento della tutela, bensì di una sua razionalizzazione. Il mantenimento non viene ridotto a una prestazione meramente monetaria, ma ricondotto a una dimensione relazionale, nella quale la scelta educativa diviene parte integrante dell’obbligazione. In tale ottica, il consenso non è un ostacolo, ma uno strumento di governo del conflitto, che consente di prevenire contenziosi e di attribuire certezza alle posizioni giuridiche.

Le implicazioni sistemiche di questa impostazione sono rilevanti anche per il futuro. È prevedibile che la regolamentazione giudiziale delle spese straordinarie assuma un ruolo sempre più centrale, inducendo i giudici a definire con maggiore precisione le condizioni di rimborsabilità. Ciò potrà favorire una maggiore chiarezza ex ante, riducendo il margine di interpretazioni divergenti e responsabilizzando i genitori nella fase decisionale.

La valorizzazione del consenso come presupposto selettivo delle spese formative straordinarie contribuisce a delineare un modello di mantenimento fondato non sull’automatismo, ma sulla cooperazione. Un modello che, pur muovendo dall’interesse del figlio, riconosce che tale interesse si realizza pienamente solo all’interno di un quadro di scelte condivise e giuridicamente sostenibili.

23 dicembre 2025

L’argomento viene trattato anche su taxlegaljob.net