La validità della notifica degli avvisi di accertamento alle società di fatto e le conseguenze sui successivi atti riscossivi: riflessioni a margine dell’Ordinanza della Corte di Cassazione del 14 febbraio 2025

A cura dell’Avv. Francesco Cervellino e Avv. Francesca Coppola

Nel contesto dell’accertamento tributario, la fase della notificazione dell’avviso riveste un ruolo centrale tanto sul piano della legittimità dell’atto impositivo quanto su quello, parimenti decisivo, della successiva riscossione. L’ordinanza della Corte di Cassazione (Sezione Tributaria) 14 febbraio 2025, R.G.N. 15355/2022, si colloca lungo tale tracciato ricostruttivo e offre l’occasione per delineare, con rinnovata chiarezza esegetica, i limiti entro cui il rito dell’irreperibilità disciplinato dall’art. 60, comma 1, lettera e), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, può dirsi utilmente esperibile quando destinatario dell’avviso di accertamento sia una società di fatto (S.d.f.).

In via preliminare, conviene ricordare che, in assenza di personalità giuridica, la S.d.f. opera quale centro d’imputazione di rapporti giuridici in capo ai soci che l’hanno costituita, sì che il legislatore fiscale, ai sensi dell’art. 5 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Tuir), imputa per trasparenza i relativi proventi ai singoli partecipanti. Proprio per tale ragione, l’Agenzia delle Entrate (AdE) procede sovente alla notifica dell’avviso direttamente alla formazione sociale, attribuendole un autonomo numero di codice fiscale e di partita IVA; nondimeno, l’atto di imposizione deve – per pacifico orientamento ermeneutico – pervenire all’indirizzo effettivo della sede dell’attività collettiva, pena l’invalidità dell’intero procedimento accertativo.

La pronuncia in commento trae origine da un’ipotesi paradigmatica: la Guardia di Finanza (G.d.F.), in esito ad attività ispettiva, rilevava l’esistenza di una S.d.f. impegnata nel commercio illecito di tabacchi lavorati esteri e formalmente insediata in un Comune non identificato; l’AdE emetteva, quindi, avviso di accertamento per un determinato periodo d’imposta, successivamente notificato, giusta dichiarata irreperibilità della società, con le forme contemplate dall’art. 60, comma 1, lettera e) (c.d. rito degli irreperibili). L’atto riscossivo susseguente – l’avviso di presa in carico di cui all’art. 29 del d.l. 31 maggio 2010, n. 78 – veniva invece recapitato personalmente a uno dei soci, ritenuto legale rappresentante di fatto e, in tale veste, illimitatamente responsabile.

Già i giudici di merito, con articolata motivazione, avevano ravvisato la nullità della notifica dell’avviso prodromico, sul presupposto che il messo comunale si fosse limitato ad attestare l’irreperibilità della società senza dar conto delle ricerche effettivamente compiute per accertarne l’«irreperibilità assoluta» nell’ambito territoriale comunale – accertamento viceversa richiesto dalla norma speciale. L’ordinanza di legittimità conferma integralmente tale esito, ribadendo come la relazione di notificazione debba contenere l’esplicitazione dell’attività indagatoria volta a verificare la cessazione di ogni collegamento tra il destinatario e il suo domicilio fiscale; solo in tal caso, la fictio iuris dell’avvenuta notificazione per irreperibilità può esplicare i propri effetti.

L’arresto impone dunque di rileggere la ratio degli artt. 60 del d.P.R. 600/1973 e 140 del codice di procedura civile (c.p.c.) in chiave complementare. Difatti, se il primo presidia il domicilio fiscale del contribuente e condiziona la validità del rito degli irreperibili al positivo svolgimento di ricerche idonee a escludere la presenza del soggetto nel Comune, il secondo – applicabile in via residuale – ammette il deposito dell’atto presso la casa comunale e l’affissione nell’albo pretorio, purché sia preliminarmente provato l’inutile esperimento del recapito presso l’indirizzo conosciuto. L’AdE aveva sostenuto che l’avvenuta spedizione di raccomandata A.R. contenente copia dell’avviso di affissione potesse supplire all’omessa verbalizzazione delle ricerche; la Cassazione, richiamando consolidati precedenti, ha tuttavia ribadito che la prova documentale della ricerca costituisce requisito formale indefettibile, non surrogabile ex post da elementi presuntivi.

Sul piano sistematico, la decisione depone in favore di una concezione che valorizza la natura strumentale della notifica rispetto al diritto di difesa, e che pertanto pretende un rango di «diligenza professionale qualificata» da parte dell’organo notificatore, specie allorché il destinatario sia entità priva di iscrizione nel Registro delle Imprese (R.d.I.) e di conseguenza meno agevolmente rintracciabile. La nullità, osserva la Corte, si propaga agli atti consequenziali secondo il principio della cascata invalidante, sicché ne è derivata l’illegittimità dell’avviso di presa in carico notificato al socio, non potendosi sanare sed posterius la violazione originaria.

L’orientamento in esame appare coerente con la nozione di «abuso del processo», laddove la contraria interpretazione – volta a privilegiare la mera conoscenza di fatto dell’atto da parte del contribuente – rischierebbe di svuotare di contenuto il precetto dell’art. 97 Cost. in tema di buon andamento e di imparzialità della Pubblica Amministrazione. Si potrebbe obiettare che l’attività di ricerca imposta al messo comunale trascende la fisiologica operatività delle S.d.f.; a ben vedere, però, l’onere probatorio così configurato rappresenta l’unico argine alla potenziale violazione del principio di proporzionalità, nella misura in cui impone all’Amministrazione di impiegare tutti gli strumenti disponibili – inclusi quelli meramente informali – prima di ricorrere alla forma di notifica più gravosa.

Più in generale, la pronuncia contribuisce a puntualizzare l’interazione fra giudizio di cassazione e contenzioso tributario, chiarendo che l’impugnazione di un atto riscossivo colpisce non soltanto l’autonomo profilo funzionale di tale provvedimento, ma, ove si deduca la nullità derivata, investe anche la legittimità del presupposto impositivo. Ne consegue che l’accertamento della nullità della notifica originaria, anche per vizi meramente formali, conduce al consolidarsi dell’annullamento del successivo titolo esecutivo, a salvaguardia dell’unitarietà del procedimento.

L’ordinanza in commento si candida a costituire precedente di rilievo nel quadro della giurisprudenza di legittimità, riaffermando l’esigenza di un’applicazione rigorosa delle formalità notificatorie e ponendo in risalto il ruolo garantista della Cassazione nella tutela dei diritti del contribuente. In prospettiva, pare auspicabile un intervento normativo di coordinamento che chiarisca, in modo espresso, l’estensione degli obblighi di ricerca nei confronti dei soggetti non iscritti nei registri pubblici, così da ridurre il contenzioso e favorire una più efficace interazione fra fisco e contribuenti.

4 agosto 2025