A cura dell’Avv. Francesco Cervellino e Avv. Francesca Coppola
L’ordinanza n. 2815 del 2025 della Corte di Cassazione si colloca nell’alveo di una giurisprudenza che, in materia di responsabilità del dirigente, valorizza in modo crescente il principio di integrità comportamentale come presupposto fondativo della fiducia, indipendentemente dalla connessione diretta tra la condotta contestata e le mansioni oggetto del contratto. La decisione assume rilievo sistematico, poiché affronta il tema della sanzionabilità di comportamenti extralavorativi, risalenti nel tempo e non contestualmente espressi nell’ambito della funzione dirigenziale, ma dotati di autonoma potenzialità disgregativa del vincolo fiduciario.
La vicenda sottoposta al vaglio della Suprema Corte concerne un dirigente licenziato per giusta causa, a seguito dell’accertamento – avvenuto successivamente alla sua nomina – di condotte illecite tenute nella precedente veste di amministratore della medesima società. Le condotte riguardavano la creazione e il mantenimento di un sistema contabile parallelo, la gestione di fatturazioni fittizie riferite a operazioni di sponsorizzazione sportive mai effettivamente realizzate e l’alterazione sistematica delle scritture contabili, con conseguente lesione della trasparenza fiscale e danno all’erario.
Secondo l’argomentazione difensiva, tali fatti, in quanto antecedenti all’instaurazione del rapporto di lavoro dirigenziale e – almeno formalmente – tollerati dalla precedente governance societaria, non avrebbero potuto legittimare un recesso per giusta causa ai sensi dell’articolo 2119 del codice civile. Tale prospettazione, tuttavia, è stata radicalmente respinta dalla Corte, la quale ha ribadito che il presupposto di legittimità del licenziamento disciplinare del dirigente non risiede tanto nella collocazione temporale o funzionale della condotta, quanto nella sua attitudine oggettiva a compromettere irreversibilmente il rapporto fiduciario.
Sotto il profilo sistematico, la posizione della giurisprudenza di legittimità appare ancorata alla qualificazione della dirigenza come forma di lavoro subordinato a contenuto fiduciario accentuato, nel quale la lealtà, la correttezza e la trasparenza si pongono non come meri obblighi accessori, bensì come elementi strutturali e indefettibili del sinallagma contrattuale. In tale contesto, ogni condotta che, per la sua gravità oggettiva, si ponga in insanabile frizione con il dovere di affidabilità integrale, è idonea a giustificare il licenziamento in tronco, anche in assenza di una connessione diretta con le attività lavorative in senso stretto.
La rilevanza disciplinare delle condotte extralavorative è stata da tempo riconosciuta dalla giurisprudenza, anche con riferimento ai lavoratori non dirigenti, ogniqualvolta il comportamento abbia inciso sulla reputazione aziendale, sull’immagine del datore di lavoro o sull’idoneità del dipendente a mantenere il ruolo affidatogli. Tuttavia, con riguardo al dirigente, tale valutazione assume contorni più stringenti, in quanto l’affidamento fiduciario è elemento coessenziale e non meramente funzionale all’esecuzione delle prestazioni.
Nello specifico, la Corte ha ritenuto che l’occultamento dei fatti, la reiterazione delle condotte fraudolente, e la loro natura fraudolenta, costituissero elementi sintomatici di un disvalore tale da escludere la possibilità di prosecuzione del rapporto, anche solo in via provvisoria. Né può valere, in senso scriminante, l’asserita tolleranza dell’organo di amministrazione dell’epoca: la tolleranza interna non è idonea ad annullare l’illiceità oggettiva della condotta, né a sanarne ex post la portata lesiva rispetto al nuovo assetto fiduciario insorto con la nomina dirigenziale.
Inoltre, l’accertamento della falsità delle fatture, dell’esistenza di una contabilità parallela e della violazione degli obblighi informativi nei confronti dell’amministrazione subentrata, integra un insieme di condotte che travalicano il mero inadempimento contrattuale e si radicano in un piano penal-tributario, conferendo alla vicenda un’intensità sanzionatoria ancor più marcata. L’incompatibilità tra tali condotte e l’affidamento insito nel ruolo dirigenziale è, dunque, strutturale.
In questo quadro, l’ordinanza n. 2815/2025 contribuisce a consolidare un principio di diritto ormai largamente accolto in sede giurisprudenziale: nel rapporto dirigenziale, la giusta causa può fondarsi anche su fatti anteriori o estranei all’esecuzione della prestazione, ove essi risultino inconciliabili con la posizione fiduciaria e con l’affidabilità integrale che la funzione richiede. Non è dunque necessario che il fatto contestato costituisca inadempimento contrattuale in senso stretto, ma è sufficiente che ne discenda un irrimediabile pregiudizio alla fiducia del datore.
La portata sistemica della pronuncia si traduce in un rafforzamento della responsabilità personale del dirigente anche ultra partes rispetto al perimetro funzionale delle mansioni, con un’estensione del potere disciplinare del datore che trova fondamento nella natura speciale del rapporto e nella posizione di garanzia assunta dal lavoratore apicale. Tale impostazione, seppur rigorosa, appare coerente con l’evoluzione dell’ordinamento lavoristico, orientato a garantire la tutela dell’affidabilità e della correttezza anche in chiave extracontrattuale, specie in ambiti – come quello dirigenziale – in cui il danno da disvalore può essere reputazionale, sistemico e irreversibile.
25 agosto 2025