L’obbligo di mantenimento dei figli tra proporzionalità e attualità: evoluzione giurisprudenziale e criteri ermeneutici nella recente prassi della Cassazione

A cura dell’Avv. Francesco Cervellino

Il mantenimento dei figli in seguito alla disgregazione del nucleo familiare costituisce un ambito giurisprudenziale di particolare rilevanza, tanto per la sua incidenza sulla sfera patrimoniale dei genitori quanto per la tutela dell’interesse superiore del minore. Le recenti ordinanze della Corte di Cassazione n. 25403, 25421 e 25534 del settembre 2025 offrono una ricognizione puntuale e sistematica dei criteri giuridici che devono orientare il giudice nella determinazione dell’assegno di mantenimento, rafforzando l’approccio casistico fondato sul principio di proporzionalità e sulla necessità di contemperare le esigenze del figlio con le risorse effettive dei genitori, secondo un bilanciamento che valorizzi l’equilibrio intrafamiliare successivo alla crisi coniugale.

Il contributo al mantenimento si connota per la sua intrinseca bidimensionalità: da un lato, il rapporto genitori-figli, regolato dal principio di uguaglianza sancito dall’art. 315-bis del Codice civile, che impone il dovere inderogabile di cura, istruzione e assistenza morale verso tutti i figli, a prescindere dallo status giuridico della relazione genitoriale; dall’altro, il rapporto interno tra i genitori obbligati, disciplinato dall’art. 316-bis c.c., secondo cui ciascun genitore è tenuto a contribuire in proporzione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, valorizzando altresì la potenzialità reddituale in quanto espressione del dovere di solidarietà genitoriale.

Le ordinanze richiamate ribadiscono l’importanza di un’interpretazione non meccanicistica del criterio di proporzionalità: la comparazione reddituale, seppur rilevante, non può essere isolata da un’analisi più ampia che consideri le esigenze attuali e prospettiche del figlio, il tenore di vita goduto in costanza di convivenza con entrambi i genitori, i tempi di permanenza presso ciascun genitore e la valenza economica delle attività di cura svolte in ambito domestico. In particolare, si osserva che le esigenze dei figli, specie in età adolescenziale, subiscono un’evoluzione progressiva che, in quanto factum notoria, giustifica la revisione dell’importo del mantenimento anche in assenza di un miglioramento reddituale del genitore obbligato (Cass. n. 25534/2025), riconoscendo così alla nozione di “esigenze del minore” un valore dinamico e suscettibile di variazioni automatiche.

Altresì, viene valorizzata la necessità di evitare un’applicazione astratta o futuribile del principio di mantenimento: l’obbligo contributivo non può fondarsi su potenzialità reddituali ipotetiche o su proiezioni di tenori di vita non realizzati a causa della crisi familiare, ma deve ancorarsi a dati attuali, concreti e verificabili. La Corte sottolinea che, sebbene entrambi i genitori siano chiamati a concorrere alle spese secondo capacità e mezzi, la misura dell’assegno deve riflettere anche le scelte organizzative della vita familiare post-separazione, come la collocazione prevalente del minore, la distribuzione dei tempi di permanenza e l’eventuale assegnazione della casa familiare. Quest’ultima, in particolare, non è concepita unicamente quale forma di tutela abitativa, ma è suscettibile di incidenza economica diretta sul quantum dell’assegno di mantenimento, come ribadito dalla Corte nella pronuncia n. 25403/2025, che valorizza l’habitat domestico quale proiezione spaziale dell’identità minorile.

Particolare attenzione viene riservata al ruolo del genitore collocatario, generalmente la madre, il cui contributo in termini di cura diretta, accudimento quotidiano e gestione educativa del minore assume rilievo nella quantificazione dell’obbligo dell’altro genitore. In tale ottica, la giurisprudenza esclude che un affidamento condiviso implichi automaticamente una parità contributiva, dovendosi piuttosto considerare la qualità e la quantità del tempo effettivamente trascorso con il minore e l’incidenza economica delle attività domestiche e di cura (Cass. n. 25421/2025). Tale orientamento esprime la piena valorizzazione della funzione genitoriale anche sotto il profilo non patrimoniale, in linea con l’evoluzione del diritto di famiglia verso una concezione sostanziale della genitorialità.

Le pronunce esaminate rafforzano un modello di giustizia familiare che si fonda sull’adattabilità del diritto alle peculiarità del caso concreto, valorizzando criteri sostanziali piuttosto che formule rigide. Ne emerge una visione del mantenimento come istituto dinamico, volto a garantire il pieno sviluppo del minore attraverso un equilibrio equitativo tra le capacità dei genitori e le reali esigenze del figlio, nel rispetto del principio di bigenitorialità, della funzione educativa e del diritto del minore ad una continuità affettiva, relazionale e materiale. La sistematizzazione operata dalla Suprema Corte, pur mantenendosi nell’alveo dell’interpretazione conforme ai testi normativi, appare improntata ad una progressiva espansione della dimensione protettiva dell’ordinamento in favore dei minori, in attuazione dell’art. 30 della Costituzione e degli obblighi internazionali assunti dallo Stato italiano in materia di diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.

29 settembre 2025