A cura dell’Avv. Francesco Cervellino
La più recente giurisprudenza di legittimità ha ulteriormente precisato i contorni della responsabilità penale dei componenti del collegio sindacale in relazione ai reati di bancarotta fraudolenta commessi dagli amministratori di società di capitali. L’intervento della Corte di Cassazione ha infatti chiarito che il concorso nel reato può configurarsi anche in presenza di una condotta meramente omissiva del sindaco, purché risulti accertata la presenza, al momento del fatto, di concreti “segnali di allarme” o “indici rivelatori” di operazioni illecite che avrebbero dovuto indurre l’organo di controllo a intervenire. Tale approdo giurisprudenziale impone un riesame del ruolo funzionale del collegio sindacale quale presidio di legalità societaria, con specifico riferimento alla sua posizione di garanzia e alla natura del nesso causale tra omissione di vigilanza e consumazione del delitto fallimentare.
Nel sistema delle società di capitali, i sindaci esercitano un controllo di legalità sull’amministrazione, distinto e complementare rispetto al potere gestorio degli amministratori. L’articolo 2403 del Codice civile, nel delinearne i compiti, esige un’attività di vigilanza non meramente formale ma sostanziale, estesa al contenuto della gestione e non limitata alla regolarità contabile. Tale obbligo trova ulteriore rafforzamento nei commi successivi della medesima disposizione, che attribuiscono ai sindaci poteri informativi e di indagine, nonché la facoltà di convocare l’assemblea o segnalare al tribunale gravi irregolarità gestionali ai sensi dell’articolo 2409 del Codice civile. Si tratta, dunque, di un dovere di controllo attivo e penetrante, il cui inadempimento può assumere rilievo penale quando risulti causalmente connesso al verificarsi di condotte distrattive o dissipative da parte degli amministratori.
La pronuncia in esame valorizza in modo sistematico il principio secondo cui la posizione di garanzia del sindaco implica non solo il dovere di prevenire l’evento lesivo ma anche di attivarsi tempestivamente quando emergano elementi sintomatici di irregolarità. Non è sufficiente, pertanto, una condotta improntata alla mera inerzia, giacché la responsabilità penale può derivare anche da omissioni che abbiano agevolato la prosecuzione di pratiche gestionali illecite. L’elemento soggettivo si concreta nella consapevole accettazione del rischio che, a causa dell’omesso controllo, l’amministratore prosegua nella condotta criminosa: una forma di dolo eventuale che si desume proprio dalla presenza di segnali di allarme oggettivamente percepibili.
L’argomentazione della Corte si fonda su un giudizio controfattuale che mira a verificare se, qualora i sindaci avessero esercitato i poteri-doveri di vigilanza loro spettanti, le condotte di bancarotta avrebbero potuto essere evitate o interrotte. Si tratta di una valutazione che coniuga la causalità materiale con il nesso funzionale derivante dalla posizione di garanzia. L’omissione assume dunque un rilievo non meramente passivo, poiché si traduce in un contributo causale all’evento delittuoso, concorrendo con la condotta attiva dell’amministratore.
L’approccio della Cassazione segna un punto di equilibrio tra due esigenze contrapposte. Da un lato, si evita di estendere eccessivamente la responsabilità dei sindaci sulla sola base del ruolo ricoperto, escludendo ogni automatismo sanzionatorio; dall’altro, si afferma con fermezza che l’inazione non può essere giustificata dall’affidamento acritico negli amministratori. Il parametro dirimente è rappresentato dall’effettiva percepibilità dei segnali di irregolarità. Solo quando tali indici risultino obiettivamente apprezzabili, il mancato intervento dei sindaci può considerarsi causalmente e soggettivamente rilevante.
Sotto il profilo sistematico, tale impostazione si colloca nel solco di una progressiva estensione della responsabilità degli organi di controllo in funzione di tutela non solo degli interessi societari ma anche di quelli dei creditori. La crisi d’impresa, infatti, accentua l’interdipendenza tra la gestione e la vigilanza: la mancata reazione dei sindaci di fronte a operazioni contabili anomale, alla reiterazione di perdite non coperte o alla distrazione di risorse sociali, contribuisce a perpetuare una situazione di dissesto che, una volta sfociata nel fallimento, assume rilievo penale. Ne consegue che la funzione di vigilanza, tradizionalmente collocata nell’ambito del diritto societario, diviene strumento di prevenzione dei reati fallimentari.
La sentenza pone altresì l’accento sulla necessità di superare la visione riduttiva del controllo sindacale quale mera verifica formale dei documenti contabili. Il collegio sindacale deve, al contrario, confrontare la rappresentazione contabile con la realtà operativa dell’impresa, verificando la plausibilità economica delle poste di bilancio e l’effettiva esistenza dei rapporti giuridici sottostanti. La diligenza richiesta ai sindaci è quella professionale qualificata, commisurata alla complessità dell’attività societaria e alle competenze tecniche dell’organo di controllo. Il mancato esercizio di tali prerogative, quando collegato alla consumazione di illeciti gestionali, trasforma l’omissione in cooperazione colposa o dolosa nel reato di bancarotta.
La pronuncia della Corte assume rilievo anche in relazione al nuovo quadro normativo delineato dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, che rafforza i meccanismi di allerta e gli obblighi di segnalazione interna. Il principio di tempestività dell’intervento dei controllori trova qui una declinazione normativa, coerente con la funzione preventiva che la giurisprudenza riconosce al collegio sindacale. In tale contesto, l’individuazione e la gestione dei “segnali di allarme” non costituiscono soltanto un onere etico-professionale, ma un presidio giuridico volto a prevenire la degenerazione della crisi in responsabilità penale.
L’elaborazione della Corte di Cassazione consolida un orientamento che responsabilizza l’organo di controllo nella salvaguardia della legalità economica dell’impresa. L’omissione di vigilanza non è più letta come semplice mancanza di diligenza, ma come potenziale concorso nell’illecito, qualora la mancata reazione a indici oggettivi di anomalia risulti causalmente collegata alla condotta distrattiva degli amministratori. Ne deriva un modello di responsabilità penale fondato sull’effettività del controllo e sull’esigibilità dell’azione preventiva, in cui la funzione sindacale si configura quale strumento di garanzia per la collettività dei creditori e per l’ordinato funzionamento del mercato.
20 ottobre 2025
Lo stesso articolo anche su taxlegaljob.net