
A cura dell’Avv. Francesco Cervellino
La questione dell’efficacia estintiva della cancellazione della società dal registro delle imprese continua a rappresentare un nodo interpretativo di rilievo nel diritto dell’impresa e nel diritto tributario. La recente ordinanza n. 29086 del 4 novembre 2025 della Corte di cassazione, sezione tributaria, offre un’occasione significativa per riconsiderare l’equilibrio tra l’autonomia del fenomeno estintivo societario e la persistente operatività dei rapporti giuridici non ancora esauriti. L’intervento di legittimità si colloca nel solco tracciato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 19750 del 2025, che ha chiarito come la cancellazione dal registro delle imprese non comporti di per sé l’estinzione dei crediti ancora vantati dalla società, ma ne determini il trasferimento ai soci, salvo diversa manifestazione di volontà. Tale principio, già consolidato in ambito civilistico, assume nel contenzioso tributario un rilievo ulteriore, incidendo sulla corretta determinazione delle sopravvenienze attive e sulla legittimità degli avvisi di accertamento emessi in conseguenza della presunta insussistenza di debiti verso società estinte.
Il caso oggetto della decisione trae origine da un avviso di accertamento emesso nei confronti di un’impresa individuale, al quale l’amministrazione finanziaria aveva rideterminato il reddito imponibile per l’anno d’imposta 2013, in ragione della mancata rilevazione di sopravvenienze attive e della esposizione in bilancio di debiti ritenuti insussistenti. La Commissione tributaria regionale aveva ritenuto legittimo il recupero dell’imposta con riferimento a un debito nei confronti di una società a responsabilità limitata ormai cancellata dal registro delle imprese, assumendo che la cancellazione avesse determinato l’estinzione definitiva del credito della società cessata. La Corte di cassazione, accogliendo il ricorso della contribuente, ha tuttavia ribadito che la cancellazione non comporta automaticamente l’estinzione dei crediti della società, richiamando i principi civilistici in materia e censurando la decisione di merito per falsa applicazione dell’art. 88 del Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR) e dell’art. 2495 del codice civile.
Sotto il profilo sistematico, la decisione riafferma la distinzione tra l’effetto estintivo della persona giuridica e la sorte dei rapporti patrimoniali ancora pendenti. L’art. 2495 c.c. individua la cancellazione come il momento conclusivo del procedimento di liquidazione, ma non ne fa derivare ipso iure l’estinzione dei rapporti obbligatori. La funzione della pubblicità commerciale è quella di rendere opponibile ai terzi la cessazione della soggettività giuridica, non di estinguere i diritti o i doveri ancora in essere. In questo senso, la giurisprudenza di legittimità ha progressivamente elaborato la teoria della “traslazione residuale” dei rapporti giuridici, secondo cui le posizioni attive e passive della società estinta si trasferiscono ai soci in proporzione alla loro partecipazione, determinando un fenomeno successorio atipico ma coerente con la finalità liquidatoria.
In ambito tributario, il richiamo a tali principi comporta conseguenze rilevanti. L’art. 88 TUIR disciplina le sopravvenienze attive imponibili, qualificandole come componenti positive di reddito che derivano dalla cessazione di obbligazioni o dalla realizzazione di ricavi precedentemente non conseguiti. La presunta estinzione del debito per effetto della cancellazione del creditore può indurre l’amministrazione a considerare insussistente l’obbligazione e, di conseguenza, a imputare una sopravvenienza attiva tassabile. Tuttavia, come osservato dalla Suprema Corte, un simile automatismo non trova fondamento normativo, poiché l’effetto estintivo deve essere accertato in concreto e non può derivare unicamente dalla cancellazione formale. La mancata iscrizione del credito nel bilancio finale di liquidazione non costituisce, di per sé, rinuncia implicita da parte della società creditrice o dei soci subentranti, né legittima la presunzione di estinzione del debito del debitore.
La pronuncia si pone quindi in chiara controtendenza rispetto a un orientamento amministrativo che, in passato, tendeva a riconoscere efficacia liberatoria alla cancellazione societaria. Il principio affermato dalla Corte introduce una maggiore coerenza tra disciplina civilistica e fiscale, sottolineando la necessità di una verifica effettiva dell’esistenza del credito e dell’eventuale manifestazione di volontà abdicativa. Tale impostazione appare conforme ai criteri di capacità contributiva e di effettività del reddito, impedendo che l’imposizione si fondi su presunzioni prive di riscontro giuridico e sostanziale.
Sul piano operativo, la decisione implica che, in sede di accertamento, l’amministrazione finanziaria non possa automaticamente qualificare come sopravvenienza attiva l’importo di un debito verso una società cancellata, ma debba fornire prova dell’avvenuta estinzione dell’obbligazione. Il contribuente, dal canto suo, può opporre la persistenza del rapporto obbligatorio o l’esistenza di elementi che ne dimostrino la non estinzione, anche successivamente alla cancellazione della società creditrice. Ne discende una ridefinizione dei confini dell’onere probatorio, che si sposta dall’automatismo presuntivo all’accertamento sostanziale della realtà economico-giuridica sottostante.
Sotto il profilo sistematico, l’ordinanza contribuisce a rafforzare il principio di continuità dei rapporti giuridici nell’ambito del diritto societario, evitando che l’atto formale di cancellazione produca effetti estintivi non voluti dall’ordinamento. Ciò favorisce un’interpretazione coerente dell’art. 2495 c.c. con i principi di tutela dei terzi e di certezza delle relazioni giuridiche. Dal punto di vista tributario, la pronuncia ribadisce che il concetto di sopravvenienza attiva deve essere ancorato a un effettivo incremento patrimoniale e non può derivare da mere finzioni contabili. La logica di fondo è quella di preservare l’equilibrio tra esigenze erariali e tutela del contribuente, garantendo che la tassazione si fondi su presupposti di effettiva ricchezza.
La decisione potrebbe incidere sull’orientamento degli uffici fiscali e delle corti tributarie, inducendo una maggiore attenzione nella valutazione delle conseguenze fiscali derivanti dalla cancellazione societaria. L’armonizzazione tra la dimensione civilistica e quella fiscale del fenomeno estintivo appare dunque essenziale per assicurare coerenza sistematica e uniformità applicativa. La pronuncia in esame, inserendosi in tale percorso evolutivo, consolida il principio secondo cui la cancellazione dal registro delle imprese non equivale all’azzeramento delle posizioni giuridiche pendenti, ma rappresenta soltanto la conclusione formale del procedimento di liquidazione. In tal modo, la Corte riafferma una visione sostanziale del diritto tributario, in cui la rilevanza fiscale degli atti e degli eventi societari deve essere valutata alla luce della loro effettiva capacità di incidere sul patrimonio del contribuente.
6 novembre 2025
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