Autore: Francesco Cervellino

La deducibilità dei costi nel contratto di affitto d’azienda: riflessioni sull’inerenza tra autonomia negoziale e limiti fiscali

A cura dell’Avv. Francesco Cervellino e Avv. Francesca Coppola

Nel contesto della fiscalità d’impresa, la nozione di inerenza rappresenta un fulcro concettuale essenziale per la determinazione del reddito imponibile, fungendo da parametro interpretativo per la legittima deducibilità dei costi. L’attuale orientamento giurisprudenziale, come ribadito dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Molise (sentenza n. 52/03/2025), appare volto a rafforzare un’interpretazione restrittiva della riferibilità economico-funzionale dei costi all’attività d’impresa, in particolare nei casi in cui l’imputazione del costo derivi da clausole contrattuali contenute in accordi di affitto d’azienda.

La questione sottoposta all’attenzione del giudice tributario riguarda le spese sostenute dall’affittuario su immobili oggetto dell’affitto, in relazione ai quali il contratto prevedeva specifici obblighi manutentivi e migliorativi in capo allo stesso. La controversia ruota attorno alla possibilità di qualificare tali costi come inerenti all’attività d’impresa ai fini della loro deducibilità ai sensi del combinato disposto degli articoli 54 e 109 del Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR), in assenza di un collegamento immediato con i ricavi prodotti.

Secondo la giurisprudenza più evoluta della Corte di cassazione (si vedano, tra le altre, le ordinanze nn. 8700, 8704, 8801, 8922, 9132, 9159, 9568 e 9569 del 2025), l’inerenza va intesa non già come una relazione sinallagmatica tra spesa e provento, bensì come una connessione logico-economica tra l’esborso e l’esercizio dell’attività imprenditoriale, anche in prospettiva futura o mediata. Tale ricostruzione si discosta dall’approccio tradizionale, che subordinava la deducibilità alla correlazione con ricavi specifici, limitando in tal modo la portata applicativa del principio.

Ciò nonostante, la Corte molisana ha ritenuto non sufficientemente provata l’inerenza dei costi sostenuti sull’immobile affittato, in quanto la previsione contrattuale che li imponeva all’affittuario non poteva di per sé fondare la deducibilità sul piano fiscale. È stato infatti valorizzato un orientamento consolidato secondo cui l’autonomia negoziale delle parti non può sovvertire i principi di ordine pubblico tributario, in quanto l’efficacia delle clausole contrattuali, pur vincolanti sotto il profilo civilistico, non si estende automaticamente alla sfera tributaria, ove vigono criteri autonomi di qualificazione giuridica.

La sentenza richiama altresì l’arresto della Corte di cassazione n. 23698/2018, secondo cui non è consentito attribuire efficacia determinativa, ai fini fiscali, a pattuizioni private che pretendano di configurare un costo come deducibile in forza della sola volontà delle parti. Tale principio si fonda sulla necessaria tenuta dell’ordinamento tributario rispetto alle fonti dell’obbligazione fiscale, le quali non possono essere alterate mediante patti di diritto privato, pena la violazione del principio di indisponibilità dell’obbligazione tributaria.

In aggiunta, la Corte ha stigmatizzato la mancata considerazione, da parte del giudice di primo grado, del principio per cui la competenza fiscale dei costi e dei ricavi si determina in base al momento in cui si forma il titolo giuridico che ne costituisce la fonte, purché l’ammontare sia oggettivamente determinabile. L’onere della prova, in tal senso, grava sul contribuente per quanto concerne gli elementi negativi del reddito, quale è appunto il costo deducibile.

Tale impostazione, seppur formalmente coerente con il disposto dell’articolo 7, comma 5-bis, del decreto legislativo n. 546/1992, rischia tuttavia di alterare l’equilibrio probatorio tra le parti del processo tributario. Invero, un’applicazione rigida del principio secondo cui l’onere della prova dell’inerenza grava interamente sul contribuente può determinare, in concreto, uno squilibrio a vantaggio dell’amministrazione finanziaria, la quale viene esonerata dall’assolvere al proprio onere probatorio in ordine ai fatti costitutivi della pretesa impositiva.

Si impone dunque una riflessione critica sull’evoluzione interpretativa del concetto di inerenza, nella misura in cui essa assume connotazioni sempre più formalistiche, rischiando di compromettere la certezza del diritto e la prevedibilità dell’imposizione fiscale. In tale prospettiva, appare auspicabile un intervento sistemico, anche a livello normativo o mediante circolari interpretative, volto a delineare parametri oggettivi di verifica dell’inerenza, in grado di contemperare le esigenze di tutela dell’erario con il principio di equità impositiva e la tutela dell’affidamento del contribuente.

L’affitto d’azienda, nella sua configurazione contrattuale complessa, pone questioni peculiari in merito alla qualificazione fiscale dei costi sostenuti dall’affittuario, specialmente laddove si tratti di investimenti su beni di proprietà altrui. È proprio in questi casi che il principio di inerenza deve essere declinato in chiave sostanziale e non meramente formale, tenendo conto della finalità economica perseguita e dell’effettiva utilità dei costi nell’ambito dell’attività produttiva esercitata.

1 settembre 2025

Assegno divorzile e funzione riequilibratrice: verso una nuova ermeneutica costituzionalmente orientata

A cura dell’Avv. Francesco Cervellino e Avv. Francesca Coppola

La disciplina dell’assegno divorzile ha attraversato, negli ultimi anni, un’evoluzione concettuale di significativa rilevanza sistematica, che ha profondamente inciso sulla sua funzione giuridica e sul suo inquadramento teorico all’interno dell’ordinamento italiano. Tale trasformazione si è concretizzata nel definitivo superamento del criterio del tenore di vita endoconiugale quale parametro unico ed esclusivo per la determinazione dell’assegno, a favore di un modello valutativo complesso e costituzionalmente orientato. Il momento di svolta è stato segnato dalla nota pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 18287 dell’11 luglio 2018, la quale ha segnato l’abbandono di un impianto assistenzialistico meramente riparatorio, introducendo una lettura multifunzionale dell’istituto, in linea con i principi di solidarietà e pari dignità sanciti dagli articoli 2, 3 e 29 della Costituzione.
La recente sentenza del Tribunale di Crotone del 17 luglio 2025 si colloca in modo emblematico nel solco tracciato dalla giurisprudenza di legittimità, costituendo un esempio virtuoso di recepimento e applicazione dei canoni ermeneutici delineati dalle Sezioni Unite. Il giudice calabrese ha adottato un approccio argomentativo sofisticato, fondato su un’analisi integrata e comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, ponendo in rilievo il contributo non meramente patrimoniale fornito dal coniuge istante nella costruzione del progetto familiare. In tal senso, si afferma un criterio composito, che postula la necessità di una valutazione globale delle circostanze fattuali, con particolare attenzione alla durata del matrimonio, all’età dell’avente diritto, alle scelte condivise nella vita coniugale e agli eventuali sacrifici professionali sostenuti.
L’assegno divorzile assume così una triplice funzione: assistenziale, compensativa e perequativa. La prima, in senso stretto, è finalizzata a garantire un sostegno al coniuge privo di mezzi adeguati e incapace, per ragioni oggettive, di procurarseli autonomamente. La seconda ha lo scopo di riconoscere il contributo apportato alla formazione del patrimonio comune e alla conduzione della vita familiare, valorizzando le rinunce e i sacrifici compiuti in funzione della coesione coniugale. La terza funzione, infine, mira a riequilibrare le disparità economiche scaturite dalla cessazione del vincolo matrimoniale, attraverso una redistribuzione equa e giustificata dalle dinamiche pregresse del rapporto coniugale.
Tale nuova impostazione comporta, sul piano applicativo, una profonda revisione della prassi giudiziaria. Non è più sufficiente accertare l’autosufficienza economica dell’ex coniuge richiedente secondo parametri astratti e statici; è invece necessario svolgere un’indagine approfondita sulle concrete prospettive reddituali, sulle potenzialità lavorative residuali, nonché sul pregresso apporto al ménage familiare. L’autosufficienza economica, intesa come capacità di generare reddito sufficiente a garantire una vita dignitosa, non può prescindere dalla considerazione delle aspettative professionali sacrificate e dal ruolo svolto all’interno della famiglia, anche ove privo di diretta rilevanza economica.
La funzione compensativa dell’assegno divorzile, pertanto, assume un rilievo centrale nella ricostruzione sistematica dell’istituto. Essa implica un riconoscimento giuridico del lavoro non retribuito svolto in ambito domestico e familiare, che ha consentito all’altro coniuge di realizzare una carriera professionale più proficua. Questo approccio consente di superare la tradizionale dicotomia tra lavoro produttivo e lavoro riproduttivo, conferendo dignità giuridica alle attività di cura e alla gestione della quotidianità familiare, spesso sottovalutate in sede di determinazione dell’assegno.
La sentenza del Tribunale di Crotone si distingue, altresì, per l’adozione di una metodologia valutativa improntata a equità sostanziale, in cui il giudice si è fatto interprete di una visione costituzionalmente conforme della crisi familiare. La decisione non si è limitata a quantificare l’assegno sulla base di parametri quantitativi, ma ha svolto un’attenta analisi qualitativa delle dinamiche relazionali pregresse e delle implicazioni economiche ad esse connesse. Si tratta di un’applicazione esemplare del principio di personalizzazione della tutela, che consente di cogliere la specificità del singolo rapporto coniugale e di offrire una risposta giuridica adeguata alle peculiarità del caso concreto.
L’approccio adottato dal Tribunale di Crotone rappresenta un’applicazione avanzata del nuovo paradigma ermeneutico dell’assegno divorzile, orientato a garantire un’effettiva e sostanziale uguaglianza tra gli ex coniugi anche nella fase patologica della relazione. Si configura così una lettura moderna e costituzionalmente orientata dell’art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970, in cui l’assegno divorzile assume la funzione di strumento di giustizia redistributiva, capace di colmare le diseguaglianze generate all’interno del vincolo matrimoniale e di valorizzare gli apporti non patrimoniali che ne hanno contraddistinto la durata. La decisione in esame si pone, dunque, come tappa significativa nel processo evolutivo della giurisprudenza di merito in materia, offrendo un contributo rilevante all’elaborazione teorica e applicativa della disciplina dell’assegno divorzile nel contesto contemporaneo.

29 agosto 2025

Documentazione delle spese straordinarie per i figli: natura dell’onere probatorio ed efficacia del titolo esecutivo nei rapporti post-separativi

A cura dell’Avv. Francesco Cervellino e Avv. Francesca Coppola

Nel contesto delle obbligazioni economiche derivanti dalla cessazione del vincolo matrimoniale o dalla disgregazione della convivenza genitoriale, la recente pronuncia della Corte di Cassazione (sentenza n. 22522 del 4 agosto 2025) assume un rilievo ermeneutico di primaria importanza, contribuendo a consolidare l’orientamento giurisprudenziale in materia di ripartizione delle spese straordinarie sostenute per la prole.
La Suprema Corte, prendendo atto di un quadro giurisprudenziale non pienamente uniforme, ha optato per un’interpretazione rigorosa dell’onere probatorio che grava sul genitore che agisca per ottenere dal genitore non collocatario il rimborso pro-quota delle spese affrontate. Si sancisce, con nettezza argomentativa, che il semplice elenco degli esborsi non è sufficiente a fondare la legittimità dell’azione esecutiva: è invece imprescindibile la produzione di adeguata documentazione giustificativa, atta a comprovare la natura, l’entità e la riferibilità delle spese al contenuto obbligatorio del titolo esecutivo.
Appare evidente che tale impostazione si fonda sull’esigenza di garantire la certezza e la trasparenza nei rapporti obbligatori tra gli ex coniugi o ex conviventi, scongiurando derive arbitrarie e pretese economiche prive di riscontri oggettivi. L’effettività del titolo esecutivo, costituito dal provvedimento giudiziale o dall’accordo di separazione omologato, richiede pertanto, secondo l’insegnamento della Corte, che l’obbligazione di contribuzione sia assistita da un corredo documentale che attesti la sopravvenienza concreta degli esborsi, nonché la loro riconducibilità alle tipologie già qualificate come obbligatorie ex lege o ex titolo.
Particolarmente pregnante è la disamina della Corte in ordine alle spese scolastiche e sanitarie, le quali, sebbene rientranti tra quelle comunemente considerate necessarie e ricorrenti nel percorso evolutivo del minore, sono caratterizzate da una fisiologica indeterminatezza temporale e quantitativa. Di qui la necessità di una verifica postuma che sia fondata su elementi oggettivamente valutabili. Tale approccio riflette, sul piano sistematico, l’esigenza di salvaguardare l’equilibrio tra l’interesse del minore a ricevere prestazioni adeguate alle sue esigenze evolutive e quello del genitore obbligato a non essere gravato da richieste di pagamento non previamente validate.
La Cassazione valorizza, in tal senso, il principio della diligenza professionale qualificata, che deve informare la condotta del genitore creditore nell’esercizio delle prerogative che gli derivano dal titolo. La buona fede oggettiva e la correttezza, quali criteri ermeneutici dell’agire contrattuale e post-contrattuale, assumono qui una valenza sostanziale, imponendo al genitore richiedente un comportamento improntato a trasparenza, collaborazione e lealtà nei confronti del soggetto obbligato.
Non meno significativa è la motivazione addotta dalla Corte in relazione al profilo deflattivo del contenzioso. L’adozione di un criterio probatorio rigoroso costituisce, infatti, un potente strumento di prevenzione dell’instaurazione di controversie giudiziarie, le quali spesso traggono origine da situazioni di opacità informativa o da pretese sorrette da elementi documentali inadeguati o assenti. L’univocità del principio espresso nella pronuncia in esame offre quindi un parametro di chiarezza che può favorire la composizione preventiva dei conflitti e la responsabilizzazione delle parti nella gestione degli obblighi economici connessi alla genitorialità.
Va inoltre considerato che, frequentemente, il titolo esecutivo si configura in forma stragiudiziale attraverso l’accordo di separazione omologato dal giudice: in tale ipotesi, l’esigenza di tutelare il genitore debitore assume un ruolo ancor più centrale, giacché l’assenza di una preventiva verifica giurisdizionale rende imprescindibile la messa a disposizione della documentazione idonea a permettere una piena cognizione della pretesa economica.
La Corte di Cassazione contribuisce a rafforzare un assetto normativo-interpretativo coerente con i principi di effettività, certezza e correttezza, stabilendo che la validità dell’azione esecutiva fondata su spese straordinarie è condizionata alla rigorosa prova documentale della spesa sostenuta. Tale principio di diritto, lungi dall’essere una mera puntualizzazione procedurale, si pone quale presidio sostanziale di tutela della legalità delle obbligazioni familiari e della loro corretta attuazione nella fase post-separativa.

28 agosto 2025