La rilevanza penale della violenza verbale nei rapporti familiari: la configurabilità dei maltrattamenti ex art. 572 c.p. alla luce della giurisprudenza di legittimità

A cura dell’Avv. Francesco Cervellino

La recente pronuncia della Corte di Cassazione, Sezione Sesta Penale, n. 30780 del 15 settembre 2025, costituisce un rilevante punto di approdo in ordine all’estensione applicativa dell’art. 572 cod. pen., il quale disciplina il delitto di maltrattamenti contro familiari o conviventi. In particolare, la decisione affronta con rigore ermeneutico il tema della riconducibilità a tale fattispecie incriminatrice di comportamenti verbali reiteratamente offensivi, capaci di ledere la dignità e l’equilibrio psichico della vittima, pur in assenza di manifestazioni fisiche di violenza.

Il caso sottoposto al vaglio della Suprema Corte trae origine dalla condanna inflitta nei confronti di un genitore accusato di aver rivolto, alla propria figlia minore, espressioni gravemente denigratorie, con particolare riferimento all’aspetto fisico della medesima. Le offese, reiterate nel tempo e contestualizzate in un arco cronologico di circa sei mesi (gennaio-luglio 2020), sono state ritenute di tale intensità da configurare un contesto esistenziale costantemente umiliante, con conseguenze afflittive sulla personalità in formazione della minore. La peculiarità della vicenda risiede altresì nella contestualizzazione pandemica, la quale aveva imposto una convivenza fisicamente limitata tra i soggetti coinvolti, ma non aveva interrotto il rapporto comunicativo, sebbene deformato in senso patologico dalla condotta paterna.

La Corte, valorizzando la specificità della relazione genitore-figlio, ha affermato che il requisito dell’abitualità, elemento strutturale della fattispecie criminosa in esame, può ritenersi sussistente anche laddove la frequenza materiale degli incontri sia ridotta, purché emerga una persistente modalità relazionale improntata alla sopraffazione, alla denigrazione e alla disistima sistematica. In tal senso, la Corte ha confermato la correttezza dell’operato dei giudici di merito che avevano ancorato l’accertamento della responsabilità penale ad una molteplicità di elementi convergenti, in grado di dimostrare la reiterazione delle offese e l’effettivo impatto lesivo sulla vittima.

La sentenza in esame si distingue altresì per un’affermazione di principio di particolare rilievo: il disvalore penale delle parole, quando queste si connotino per il loro contenuto fortemente umiliante, gratuito e reiterato, risulta pienamente equiparabile a quello delle condotte fisicamente violente. La violenza verbale, in contesto familiare, assume infatti una valenza lesiva aggravata dalla prossimità affettiva che dovrebbe costituire presidio di protezione e cura, trasformandosi invece in veicolo di annichilimento della persona offesa. La vittima, peraltro minore d’età e dunque dotata di una peculiare vulnerabilità psicoemotiva, è risultata oggetto di un’aggressione all’identità personale che ha inciso profondamente sul suo sviluppo psicologico, determinando una condizione di sofferenza costante.

In merito alla valutazione probatoria, è d’uopo evidenziare come la Corte abbia dato rilievo alla solidità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, giudicate coerenti, precise e dettagliate, nonché riscontrate da fonti esterne, quali le testimonianze dei familiari e la documentazione predisposta dai servizi sociali. Degna di nota risulta la metodologia processuale adottata in sede di appello, ove si è proceduto alla diretta visione della videoregistrazione dell’audizione protetta della minore, strumento ritenuto idoneo ad assicurare una più accurata percezione della credibilità soggettiva e dell’attendibilità oggettiva delle dichiarazioni rese.

Sotto il profilo processuale, è stato escluso qualsivoglia vizio motivazionale, così come è stata rigettata la doglianza difensiva circa la presunta violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza. In particolare, la Corte ha chiarito che il richiamo ad un episodio successivo ai fatti oggetto di imputazione – ovvero un messaggio inviato dal padre alla figlia – non è stato utilizzato quale fondamento della responsabilità, bensì quale elemento sintomatico della permanenza dell’atteggiamento svilente, utile a rafforzare la ricostruzione del quadro relazionale disfunzionale.

La decisione si colloca dunque nel solco di un orientamento giurisprudenziale che, pur risalente, trova nella presente pronuncia un’importante conferma e ulteriore evoluzione. La tipicità del reato di maltrattamenti è oggi letta attraverso una lente interpretativa che privilegia la tutela sostanziale della persona, ancor più quando trattasi di soggetto minorenne, ponendo l’accento sulla qualità afflittiva della relazione familiare, più che sulla mera materialità della condotta.

Appare evidente come la pronuncia in esame consolidi un approccio interpretativo volto a riconoscere e sanzionare le forme più insidiose di violenza intrafamiliare, che si manifestano attraverso parole, atteggiamenti e silenzi eloquenti, capaci di produrre effetti lesivi profondi e duraturi. Essa assume una valenza paradigmatica nell’evoluzione della tutela penale dei soggetti deboli, confermando il ruolo centrale del giudice nel ricostruire con attenzione e sensibilità il contesto relazionale, attribuendo valore giuridico alla sofferenza psichica derivante da forme di maltrattamento che, seppur prive di contatto fisico, risultano egualmente distruttive dell’integrità personale della vittima.

1 ottobre 2025

L’obbligo di motivazione rafforzata nell’accertamento tributario: riflessioni sistematiche a partire dalla sentenza n. 1484/1/2025 della Corte di Giustizia Tributaria di Foggia

A cura dell’Avv. Francesco Cervellino

L’evoluzione della disciplina del contraddittorio preventivo nell’ambito dell’accertamento tributario ha raggiunto, con l’introduzione dell’art. 6-bis della legge n. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente), una nuova e significativa centralità sistematica. Tale norma, resa efficace a decorrere dal 1° maggio 2024 per effetto del differimento previsto dall’art. 7, comma 1, del decreto-legge n. 39/2024, è stata recentemente oggetto di un’applicazione giurisprudenziale di rilievo da parte della Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Foggia, con la sentenza n. 1484/1/2025, la quale ha offerto un’importante esegesi delle disposizioni che regolano il diritto al contraddittorio endoprocedimentale e l’obbligo motivazionale correlato.

Nel caso oggetto di giudizio, il contribuente – esercente attività economica nel settore della ristorazione – aveva impugnato una pluralità di avvisi di accertamento relativi all’anno d’imposta 2019, concernenti recuperi a tassazione in materia di Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche (IRPEF), addizionali regionale e comunale, Imposta sul Valore Aggiunto (IVA) e Imposta Regionale sulle Attività Produttive (IRAP). Tra le doglianze formulate, rivestiva carattere assorbente quella relativa alla violazione del contraddittorio preventivo obbligatorio, disciplinato dal richiamato art. 6-bis, sotto il duplice profilo dell’omessa valutazione delle osservazioni difensive e della carenza di motivazione rafforzata nell’atto impositivo finale.

Il Collegio ha ritenuto applicabile ratione temporis la novella normativa al caso di specie, poiché l’atto impugnato risultava notificato successivamente all’entrata in vigore della norma. Ciò ha consentito al giudice di valutare il rispetto delle condizioni sostanziali poste dalla disposizione in parola, la quale prevede, al comma 1, l’obbligo per l’Amministrazione finanziaria di instaurare un contraddittorio informato ed effettivo in relazione a tutti gli atti autonomamente impugnabili, fatta eccezione – ex comma 2 – per quelli automatizzati, sostanzialmente automatizzati, di pronta liquidazione e per i casi di fondato pericolo per la riscossione.

Particolarmente pregnante si rivela l’applicazione del comma 4 dell’art. 6-bis, in base al quale l’atto conclusivo del procedimento deve tenere conto delle osservazioni del contribuente, fornendo una motivazione specifica in relazione a quelle non accolte. Si tratta di una previsione che introduce una vera e propria motivazione rafforzata, la cui omissione si traduce, come ribadito dal Collegio foggiano, in un vizio di legittimità dell’atto impositivo sanzionato con l’annullabilità.

Nel caso di specie, il contribuente aveva tempestivamente inviato osservazioni circostanziate e documentate avverso lo schema di accertamento, contestando puntualmente la ricostruzione induttiva dei ricavi relativi alla vendita di beni di consumo alimentare (polli arrosto, patatine fritte, bevande), sulla base di elementi giustificativi di natura quantitativa e qualitativa. Tali rilievi, tuttavia, sono stati completamente disattesi dall’Amministrazione procedente, che nella motivazione dell’avviso si è limitata a negare genericamente la rilevanza delle deduzioni difensive, omettendo qualsivoglia valutazione analitica delle stesse.

L’impostazione accolta dalla Corte foggiana si innesta coerentemente in quel percorso di progressiva affermazione del principio del giusto procedimento, che trova il suo fondamento costituzionale nell’art. 97 della Costituzione, e che impone all’Amministrazione tributaria di agire secondo criteri di imparzialità, trasparenza e leale collaborazione. È evidente come la mera instaurazione formale del contraddittorio non sia sufficiente a garantire la legittimità dell’azione amministrativa: occorre, piuttosto, una valutazione effettiva delle osservazioni dell’interessato, accompagnata da un obbligo motivazionale che dia conto, anche in termini dialettici, delle ragioni della decisione adottata.

Tale interpretazione trova ulteriore conferma nei lavori preparatori e nella relazione illustrativa alla legge delega n. 111/2023, che all’art. 17 ha espressamente previsto l’introduzione di un obbligo a carico dell’Amministrazione finanziaria di motivare l’eventuale rigetto delle controdeduzioni del contribuente, nella prospettiva di rafforzare la trasparenza e la responsabilizzazione dell’ente impositore.

La decisione in esame assume dunque una portata sistemica: essa afferma non solo il valore giuridico cogente del contraddittorio preventivo, ma ne delinea anche la fisionomia quale strumento di effettiva garanzia partecipativa, che impone una riflessione sostanziale sulle argomentazioni difensive e non può ridursi a un adempimento meramente formale o burocratico. L’omissione della motivazione rafforzata, nei termini prefigurati dal legislatore, costituisce pertanto un vizio strutturale che inficia l’intero procedimento di accertamento.

La pronuncia della Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Foggia rappresenta un significativo esempio di applicazione evolutiva della normativa vigente, nel solco di una giurisprudenza sempre più attenta alla tutela dei diritti del contribuente, nella consapevolezza che solo un sistema procedurale fondato sulla parità delle armi e sulla corretta dialettica tra le parti possa realizzare un’effettiva giustizia tributaria.

30 settembre 2025

L’obbligo di mantenimento dei figli tra proporzionalità e attualità: evoluzione giurisprudenziale e criteri ermeneutici nella recente prassi della Cassazione

A cura dell’Avv. Francesco Cervellino

Il mantenimento dei figli in seguito alla disgregazione del nucleo familiare costituisce un ambito giurisprudenziale di particolare rilevanza, tanto per la sua incidenza sulla sfera patrimoniale dei genitori quanto per la tutela dell’interesse superiore del minore. Le recenti ordinanze della Corte di Cassazione n. 25403, 25421 e 25534 del settembre 2025 offrono una ricognizione puntuale e sistematica dei criteri giuridici che devono orientare il giudice nella determinazione dell’assegno di mantenimento, rafforzando l’approccio casistico fondato sul principio di proporzionalità e sulla necessità di contemperare le esigenze del figlio con le risorse effettive dei genitori, secondo un bilanciamento che valorizzi l’equilibrio intrafamiliare successivo alla crisi coniugale.

Il contributo al mantenimento si connota per la sua intrinseca bidimensionalità: da un lato, il rapporto genitori-figli, regolato dal principio di uguaglianza sancito dall’art. 315-bis del Codice civile, che impone il dovere inderogabile di cura, istruzione e assistenza morale verso tutti i figli, a prescindere dallo status giuridico della relazione genitoriale; dall’altro, il rapporto interno tra i genitori obbligati, disciplinato dall’art. 316-bis c.c., secondo cui ciascun genitore è tenuto a contribuire in proporzione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, valorizzando altresì la potenzialità reddituale in quanto espressione del dovere di solidarietà genitoriale.

Le ordinanze richiamate ribadiscono l’importanza di un’interpretazione non meccanicistica del criterio di proporzionalità: la comparazione reddituale, seppur rilevante, non può essere isolata da un’analisi più ampia che consideri le esigenze attuali e prospettiche del figlio, il tenore di vita goduto in costanza di convivenza con entrambi i genitori, i tempi di permanenza presso ciascun genitore e la valenza economica delle attività di cura svolte in ambito domestico. In particolare, si osserva che le esigenze dei figli, specie in età adolescenziale, subiscono un’evoluzione progressiva che, in quanto factum notoria, giustifica la revisione dell’importo del mantenimento anche in assenza di un miglioramento reddituale del genitore obbligato (Cass. n. 25534/2025), riconoscendo così alla nozione di “esigenze del minore” un valore dinamico e suscettibile di variazioni automatiche.

Altresì, viene valorizzata la necessità di evitare un’applicazione astratta o futuribile del principio di mantenimento: l’obbligo contributivo non può fondarsi su potenzialità reddituali ipotetiche o su proiezioni di tenori di vita non realizzati a causa della crisi familiare, ma deve ancorarsi a dati attuali, concreti e verificabili. La Corte sottolinea che, sebbene entrambi i genitori siano chiamati a concorrere alle spese secondo capacità e mezzi, la misura dell’assegno deve riflettere anche le scelte organizzative della vita familiare post-separazione, come la collocazione prevalente del minore, la distribuzione dei tempi di permanenza e l’eventuale assegnazione della casa familiare. Quest’ultima, in particolare, non è concepita unicamente quale forma di tutela abitativa, ma è suscettibile di incidenza economica diretta sul quantum dell’assegno di mantenimento, come ribadito dalla Corte nella pronuncia n. 25403/2025, che valorizza l’habitat domestico quale proiezione spaziale dell’identità minorile.

Particolare attenzione viene riservata al ruolo del genitore collocatario, generalmente la madre, il cui contributo in termini di cura diretta, accudimento quotidiano e gestione educativa del minore assume rilievo nella quantificazione dell’obbligo dell’altro genitore. In tale ottica, la giurisprudenza esclude che un affidamento condiviso implichi automaticamente una parità contributiva, dovendosi piuttosto considerare la qualità e la quantità del tempo effettivamente trascorso con il minore e l’incidenza economica delle attività domestiche e di cura (Cass. n. 25421/2025). Tale orientamento esprime la piena valorizzazione della funzione genitoriale anche sotto il profilo non patrimoniale, in linea con l’evoluzione del diritto di famiglia verso una concezione sostanziale della genitorialità.

Le pronunce esaminate rafforzano un modello di giustizia familiare che si fonda sull’adattabilità del diritto alle peculiarità del caso concreto, valorizzando criteri sostanziali piuttosto che formule rigide. Ne emerge una visione del mantenimento come istituto dinamico, volto a garantire il pieno sviluppo del minore attraverso un equilibrio equitativo tra le capacità dei genitori e le reali esigenze del figlio, nel rispetto del principio di bigenitorialità, della funzione educativa e del diritto del minore ad una continuità affettiva, relazionale e materiale. La sistematizzazione operata dalla Suprema Corte, pur mantenendosi nell’alveo dell’interpretazione conforme ai testi normativi, appare improntata ad una progressiva espansione della dimensione protettiva dell’ordinamento in favore dei minori, in attuazione dell’art. 30 della Costituzione e degli obblighi internazionali assunti dallo Stato italiano in materia di diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.

29 settembre 2025