La Riforma del 2025 sull’Auto Aziendale: Un’Analisi Esauriente del Nuovo Quadro Fiscale, del Regime Transitorio e delle Implicazioni Operative per la Gestione delle Flotte

  1. Executive Summary

Il presente documento offre un’analisi approfondita della riforma fiscale che, a partire dal 2025, ha ridefinito il trattamento tributario delle auto aziendali concesse in uso promiscuo. Le modifiche, introdotte dalla Legge di Bilancio 2025 (L. n. 207/2024) e integrate dal successivo Decreto Legge n. 19/2025, rappresentano un cambiamento strutturale nel calcolo del fringe benefit. Il report illustra il definitivo superamento del criterio basato sulle emissioni di anidride carbonica in favore di un sistema più semplice, fondato sulla tipologia di alimentazione del veicolo. Le nuove percentuali di tassazione stabilite – 10% per i veicoli elettrici, 20% per gli ibridi plug-in e 50% per i veicoli termici e gli ibridi non ricaricabili – riflettono una chiara volontà del legislatore di orientare le politiche aziendali verso una mobilità più sostenibile.

Il report fornisce una guida pratica e dettagliata per navigare il complesso regime transitorio, che presenta una coesistenza di normative diverse a seconda delle date di immatricolazione e di concessione del veicolo. Viene inoltre esaminata l’interazione critica della disciplina delle auto aziendali con le nuove soglie di esenzione previste dall’articolo 51, comma 3 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), che possono generare il rischio di tassazione integrale del benefit qualora la soglia cumulativa venga superata. Questo documento è concepito per offrire a direttori finanziari, responsabili delle risorse umane, consulenti fiscali e fleet manager gli strumenti e le informazioni necessarie per garantire la conformità normativa, ottimizzare la gestione delle flotte e comunicare in modo trasparente i cambiamenti ai dipendenti.

Punti Chiave:

  • Cambiamento del Criterio: Il calcolo del fringe benefit passa dalle emissioni di CO² alla tipologia di alimentazione.
  • Regime Transitorio: Vengono delineati scenari differenziati, basati sulla data di concessione, che coesistono fino al 30 giugno 2025.
  • Calcolo del Fringe Benefit: Le nuove percentuali fisse (10%, 20%, 50%) si applicano al valore convenzionale calcolato su una percorrenza annua di 15.000 chilometri.
  • Implicazioni Operative: La gestione delle flotte richiede un’attenzione scrupolosa alle date di immatricolazione, ordine e concessione, soprattutto per i veicoli esistenti e per le nuove acquisizioni nel periodo transitorio.
  • Connessione con il TUIR: Il valore del benefit concorre al raggiungimento delle nuove soglie di esenzione (1.000 euro e 2.000 euro per i lavoratori con figli a carico), con il rischio di tassazione dell’intero importo al superamento del limite.
  1. Introduzione: L’Auto Aziendale come Strumento di Welfare e Leva Fiscale

L’auto aziendale concessa in uso promiscuo rappresenta da tempo uno degli strumenti di welfare più diffusi e apprezzati dalle imprese italiane, fungendo da efficace leva per la fidelizzazione dei lavoratori. La possibilità per il dipendente di utilizzare lo stesso veicolo sia per finalità lavorative che per esigenze personali è percepita come un benefit dal profondo valore economico e simbolico, con un impatto tangibile sulla vita quotidiana. Ciononostante, è fondamentale riconoscere che tale vantaggio si configura come un reddito imponibile, con rilevanti riflessi fiscali e previdenziali che necessitano di una chiara disciplina normativa.  

Nel corso degli anni, il quadro legislativo è stato oggetto di diverse modifiche, culminando nella recente riforma del 2025. Con la Legge di Bilancio 2025 (L. n. 207/2024), il legislatore ha operato una svolta strategica, superando in maniera definitiva il criterio delle emissioni di anidride carbonica, che aveva orientato la determinazione del fringe benefit negli anni precedenti. La nuova impostazione si basa invece sulla tipologia di alimentazione del veicolo. Questo non è un semplice aggiustamento tecnico, ma riflette un intento più ampio e strutturale: utilizzare la leva fiscale come strumento attivo di politica ambientale. L’obiettivo primario è quello di orientare imprese e lavoratori verso scelte di mobilità meno inquinanti, premiando fiscalmente i veicoli a basse o zero emissioni. Il passaggio da un sistema legato a fasce di emissioni a uno basato sulla motorizzazione semplifica il processo di valutazione e rende il beneficio fiscale più immediato e percepibile. In questo contesto, l’auto aziendale assume una doppia valenza: non è più solo un benefit per il lavoratore o un costo aziendale, ma diventa un vero e proprio strumento di incentivazione per la transizione ecologica.  

  1. Il Nuovo Quadro Fiscale: Criteri e Calcolo del Fringe Benefit

Il nuovo sistema per la determinazione del fringe benefit legato all’uso promiscuo dell’auto aziendale conserva il meccanismo convenzionale che lo ha sempre caratterizzato: il valore imponibile non si basa sull’effettivo utilizzo, ma su una stima forfettaria di una percorrenza annua di 15.000 chilometri. Tale valore è calcolato applicando le tariffe chilometriche stabilite annualmente dall’Automobile Club d’Italia (ACI). La sostanziale innovazione della riforma del 2025 risiede nelle percentuali applicate a questo valore convenzionale.  

A partire da una certa data, il legislatore ha sancito il definitivo abbandono del sistema a fasce basato sulle emissioni di CO², un criterio che nel tempo aveva mostrato evidenti limiti di gestione e una complessità non sempre giustificata dall’efficacia dell’incentivo. La nuova disciplina introduce un sistema più lineare, con percentuali fisse e semplificate che dipendono esclusivamente dalla motorizzazione del veicolo, premiando in maniera netta le opzioni più sostenibili.  

Le nuove aliquote sono le seguenti:

  • 10% per i veicoli a propulsione esclusivamente elettrica.
  • 20% per i veicoli ibridi plug-in, ossia quelli dotati di un motore termico e di un motore elettrico con la possibilità di ricarica esterna.
  • 50% per i veicoli a motore termico tradizionale (benzina, diesel, GPL, metano) e per gli ibridi non plug-in.

La standardizzazione delle percentuali non solo semplifica il calcolo, ma istituisce un chiaro incentivo economico per le aziende e i dipendenti. La progressione del vantaggio fiscale, con un rapporto di 5:2:1 tra le diverse tipologie di veicoli, è significativa. Per le imprese, la scelta di un veicolo ecologico si traduce in un minor costo del lavoro, poiché il fringe benefit imponibile è notevolmente ridotto. Questo rende la transizione verso una flotta elettrica o ibrida una decisione non solo in linea con gli obiettivi ambientali, ma anche finanziariamente vantaggiosa. Per i lavoratori, a parità di valore del veicolo, il beneficio netto è superiore se l’auto è a basse o zero emissioni, rendendo questi veicoli più appetibili.

  1. Il Regime Transitorio: Navigare le Nuove Scadenze

Sebbene la nuova disciplina sia più semplice nelle sue linee guida, il processo di transizione presenta una complessità notevole, che richiede una gestione meticolosa da parte delle imprese. Il Decreto Legge n. 19/2025, noto anche come “decreto Bollette”, ha introdotto un regime transitorio per garantire un passaggio graduale e per evitare l’applicazione retroattiva delle nuove norme. Questo regime temporaneo permette alle aziende di adeguare i propri contratti e le politiche retributive senza subire oneri imprevisti.  

La chiave per determinare il regime applicabile risiede nell’analisi incrociata delle date di immatricolazione e di concessione del veicolo. Le chiarificazioni fornite dall’Agenzia delle Entrate, in particolare la circolare n. 10/E del 3 luglio 2025 e la risposta a interpello n. 192/2025, hanno stabilito in modo inequivocabile che è necessario considerare entrambe le date per stabilire se un veicolo rientra nel vecchio o nel nuovo regime. Questa specificazione è di importanza fondamentale, in quanto la data di concessione al dipendente, e non solo quella di immatricolazione, diventa il fattore determinante per l’applicazione delle vecchie o delle nuove regole.  

La coesistenza di due diversi criteri di calcolo (quello basato sulle emissioni di CO² e quello basato sull’alimentazione) crea una situazione operativa che, per un periodo definito, è più complessa rispetto al passato. Una gestione non accurata delle date di ordine, immatricolazione e concessione può portare a errori nel calcolo del fringe benefit, esponendo l’azienda a potenziali contenziosi fiscali. Il periodo transitorio, pertanto, non è solo una fase amministrativa ma un vero e proprio banco di prova per la precisione e l’organizzazione delle funzioni aziendali preposte alla gestione della flotta e del personale. Le indicazioni normative servono a fornire una chiave di lettura chiara per la corretta gestione di questa coesistenza, riducendo l’incertezza e il rischio di non conformità.

  1. Applicazione Pratica e Casistica Dettagliata per la Gestione delle Flotte

La comprensione delle nuove regole si realizza pienamente nell’analisi dei casi pratici, che consentono di tradurre la normativa in azioni operative concrete. La seguente guida illustra i diversi scenari possibili, offrendo una sintesi dettagliata delle casistiche più comuni che i fleet manager e i professionisti del settore si trovano ad affrontare.

Tabella 2: Casistica Dettagliata per la Determinazione del Fringe Benefit

Decorrenza

Condizione del Veicolo

Criterio di Calcolo

Percentuale/Note Operative

Sino al 30/06/2020

Veicoli assegnati e immatricolati

Valore normale

30% sul valore ACI calcolato su 15.000 km. Riferimento per le assegnazioni più datate.

Dal 01/07/2020 al 30/06/2025

Veicoli assegnati e immatricolati dal 01/07/2020 al 30/06/2025.

Emissioni di CO²

Variabile in base alle emissioni: ≤60 g/km → 25%; 61-160 g/km → 30%; 161-190 g/km → 50%; $>$190 g/km → 60%.

Dal 01/01/2025 al 30/06/2025

Ordine effettuato entro il 31/12/2024 ma assegnato entro il 30/06/2025.

Emissioni di CO²

Il criterio basato sulle emissioni rimane in vigore, confermando l’importanza della data di assegnazione per l’applicazione del regime transitorio.  

Dal 01/01/2025 in poi

Veicoli immatricolati dal 01/07/2025 e concessi dal 01/01/2025.

Tipo di alimentazione

Termico/Ibrido non plug-in → 50%; Elettrico → 10%; Ibrido plug-in → 20%. Questo è il nuovo regime standard.  

Dal 01/01/2025 in poi

Veicoli già in uso e concessi prima del 2025, il cui uso è prorogato.

Quello adottato all’atto della concessione originaria.

Il criterio di calcolo non cambia per i veicoli già in flotta, anche se la concessione viene prorogata.

Dal 01/01/2025 in poi

Veicoli già in flotta, riassegnati ad altri dipendenti dopo il 30/06/2025.

Valore normale

Fringe benefit determinato in base al valore normale (art. 9 TUIR) al netto della parte riferibile all’utilizzo aziendale. La tabella indica il fringe benefit determinato in base al valore normale (art. 9 Tuir) al netto della parte riferibile all’utilizzo aziendale (cfr anche Ris. AdE n. 46/2020)..

L’analisi della tabella rivela un punto di massima attenzione per la gestione delle flotte aziendali. Un veicolo ordinato nel 2024 ma assegnato al dipendente nel primo semestre del 2025 rientra ancora nel vecchio regime basato sulle emissioni di CO². Questa distinzione, basata sulla data di concessione effettiva, è cruciale e richiede una gestione contabile e contrattuale estremamente precisa. Le aziende devono mappare attentamente i veicoli in fase di ordinazione e consegna per evitare errori di calcolo che potrebbero portare a un’errata imputazione del reddito in busta paga.

Un’altra casistica di rilevante complessità riguarda i veicoli già facenti parte della flotta aziendale. Per i veicoli già in uso la cui concessione viene prorogata oltre il 2025, il criterio di calcolo rimane quello originariamente adottato al momento della prima assegnazione. Ciò impedisce effetti retroattivi e garantisce la continuità della disciplina fiscale. Il caso più sfumato si presenta con i veicoli già in flotta che vengono riassegnati a un altro dipendente dopo il 30 giugno 2025. La tabella indica che per questi veicoli si applica ancora il regime precedente basato sulle emissioni di CO². La logica sottesa è che la riassegnazione di un veicolo già esistente non costituisce una “nuova” concessione nel senso della riforma, ma una continuazione del suo ciclo di vita all’interno dell’azienda, mantenendo quindi il regime fiscale pregresso. Questa distinzione tra “concessione” e “riassegnazione” è un dettaglio operativo di grandissima importanza per i fleet manager, che devono gestire sia le nuove acquisizioni che il parco veicoli esistente, sapendo che non tutti i veicoli si muoveranno contemporaneamente al nuovo regime.

  1. Interazione con la Disciplina Generale dei Fringe Benefit

La riforma dell’auto aziendale non deve essere analizzata come un evento isolato. Il suo impatto si interseca in modo diretto con la disciplina generale dei fringe benefit, in particolare con quanto stabilito dall’articolo 51, comma 3 del TUIR, che è stato modificato dalla stessa Legge di Bilancio 2025.  

Le nuove disposizioni prevedono che, per il triennio 2025-2027, i beni e i servizi di valore complessivo non superiore a 1.000 euro non concorrano a formare il reddito del lavoratore. Per i lavoratori con figli a carico, tale soglia di esenzione è elevata a 2.000 euro.  

Il punto di massima criticità per le aziende e i dipendenti è il principio di cumulabilità. Il valore del fringe benefit legato all’uso promiscuo dell’auto aziendale rientra in questo plafond, insieme ad altri benefit di welfare aziendale come i rimborsi per le bollette domestiche, gli affitti o gli interessi sui mutui. Il valore annuale del fringe benefit dell’auto, calcolato sulle tariffe ACI, può facilmente superare le soglie stabilite. La “trappola” risiede nel fatto che, se il valore complessivo dei benefit erogati al dipendente supera le rispettive soglie di esenzione, anche solo di un solo euro, l’intera somma diventa reddito imponibile. Questo meccanismo vanifica completamente il vantaggio fiscale del benefit stesso e crea un significativo rischio di tassazione non prevista per il lavoratore.  

Per i datori di lavoro, questa dinamica richiede una gestione contabile e amministrativa estremamente meticolosa. Non è più sufficiente calcolare il fringe benefit dell’auto in modo isolato; è diventato indispensabile monitorare il cumulo di tutti i benefit aziendali per ogni singolo dipendente, con particolare attenzione a quelli con figli a carico. La mancata vigilanza su questo aspetto può portare non solo a errori fiscali, ma anche a incomprensioni con i dipendenti, che si troverebbero tassati su un beneficio che ritenevano esente.

  1. Implicazioni per Aziende e Lavoratori: Costi, Benefici e Comunicazione

Le modifiche normative del 2025 pongono l’auto aziendale al centro di un dialogo strategico che coinvolge le funzioni di finanza, risorse umane e operations. La scelta del veicolo non è più una decisione basata unicamente sulla logistica o sul costo di acquisto/noleggio, ma un’opportunità per ottimizzare il Total Cost of Ownership (TCO) aziendale e per allineare la politica di welfare agli obiettivi di sostenibilità.

Il calcolo ricalibrato del TCO deve ora considerare il nuovo impatto fiscale e contributivo per il lavoratore. Un veicolo a basse emissioni, pur potendo avere un costo di acquisto superiore, può generare un risparmio fiscale tale da renderlo la scelta più vantaggiosa nel medio-lungo termine, sia per l’azienda che per il dipendente. La riforma, pertanto, fornisce un forte incentivo finanziario per accelerare l’aggiornamento delle flotte verso veicoli elettrici e ibridi. Le aziende che sapranno cogliere questa opportunità non solo godranno di un vantaggio competitivo e di un miglioramento della loro immagine aziendale, ma si posizioneranno in modo lungimirante in un mercato in continua evoluzione verso la transizione ecologica.  

Parallelamente, la trasparenza e la comunicazione interna diventano fattori critici. I lavoratori devono essere pienamente informati del reale valore del benefit auto e, in particolare, degli effetti fiscali e contributivi che ne derivano. È fondamentale spiegare in modo chiaro il meccanismo di calcolo e, soprattutto, la gestione delle nuove soglie di esenzione dell’Art. 51, comma 3 del TUIR. Una comunicazione tempestiva e chiara può prevenire incomprensioni, generare fiducia e far percepire al dipendente il valore effettivo dell’auto aziendale come parte integrante del suo pacchetto retributivo e di welfare. La gestione di queste dinamiche richiede una collaborazione interfunzionale e una pianificazione a lungo termine per massimizzare i benefici per tutte le parti coinvolte, minimizzando i rischi legali e fiscali.  

  1. Conclusioni e Raccomandazioni Strategiche

La disciplina fiscale delle auto aziendali nel 2025 rappresenta un punto di svolta, unendo gli strumenti di welfare e fiscalità con gli obiettivi di politica ambientale. Se da un lato il nuovo criterio basato sulla tipologia di alimentazione semplifica il calcolo del fringe benefit per le nuove concessioni, dall’altro il complesso regime transitorio e l’interazione con le nuove soglie di esenzione dei fringe benefit richiedono una gestione operativa estremamente attenta.

Le aziende si trovano di fronte alla necessità di una strategia di gestione delle flotte che sia dinamica e ben informata. Per navigare con successo in questo nuovo quadro normativo, si formulano le seguenti raccomandazioni operative:

  1. Mappatura Dettagliata della Flotta: Le aziende devono effettuare una mappatura completa del loro parco veicoli esistente, classificando ogni auto in base alle date di immatricolazione, di ordine e di concessione originaria. Questo consentirà di determinare con certezza il regime fiscale applicabile a ciascun veicolo, sia per le concessioni in corso che per le future riassegnazioni.
  2. Sviluppo di Politiche di Riassegnazione: È necessario definire politiche chiare per la riassegnazione dei veicoli già in flotta, tenendo conto del fatto che il criterio di calcolo del fringe benefit può rimanere legato alle emissioni di CO² per i veicoli riassegnati dopo il 30 giugno 2025.
  3. Monitoraggio Cumulativo dei Benefit: La funzione Risorse Umane, in collaborazione con la direzione finanziaria, deve istituire un sistema di monitoraggio costante del valore complessivo dei fringe benefit erogati a ogni dipendente. Questo è l’unico modo per prevenire il superamento delle soglie dell’Art. 51, comma 3 del TUIR e il rischio di tassazione integrale del benefit auto.
  4. Comunicazione Proattiva e Trasparente: È fondamentale comunicare in modo chiaro e tempestivo i cambiamenti ai dipendenti, spiegando il nuovo meccanismo di calcolo e, soprattutto, l’impatto della cumulabilità dei benefit. La trasparenza non solo riduce le incomprensioni, ma rafforza anche il valore percepito del benefit auto.

La disciplina del 2025 si configura come un passo decisivo verso l’utilizzo dell’auto aziendale come strumento di politica fiscale per la transizione ecologica. Per le imprese più lungimiranti, essa rappresenta una chiara opportunità di allineare la strategia di flotta con gli obiettivi di sostenibilità e di welfare aziendale, trasformando una complessità normativa in un vantaggio competitivo.

Calcolatore

Risposta AdE 237/2025

26 settembre 2025

Licenziamento e discriminazione di genere: la Cassazione sull’onere probatorio e sulla nullità del recesso in costanza di procreazione medicalmente assistita

A cura dell’Avv. Francesco Cervellino

L’ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro Civile, n. 24245 del 31 agosto 2025, si colloca in un ambito di particolare rilevanza teorico-pratica, poiché affronta il delicato tema dell’intreccio fra licenziamento individuale e tutela antidiscriminatoria connessa alle scelte riproduttive della lavoratrice. La decisione non si limita a risolvere una vicenda concreta, ma contribuisce a delineare in termini più netti i confini applicativi dell’art. 40 del D.Lgs. 198/2006 e dell’art. 2112 c.c., proiettandosi nell’alveo della più ampia evoluzione giurisprudenziale in materia di uguaglianza sostanziale e di garanzie contro i recessi ritorsivi o discriminatori.

La controversia trae origine dal licenziamento di una lavoratrice part-time, impiegata come segretaria presso uno studio professionale, in concomitanza con l’avanzamento di un percorso di fecondazione in vitro (FIVET), inserito nell’ambito della procreazione medicalmente assistita (PMA). La lavoratrice aveva dedotto la nullità del recesso in quanto discriminatorio, prospettando altresì la sua illegittimità per insussistenza del giustificato motivo oggettivo.

Dopo una prima decisione sfavorevole in sede di merito, la Corte d’Appello ha ritenuto sussistente un intento discriminatorio, valorizzando la concomitanza temporale fra il trattamento sanitario e il provvedimento espulsivo, nonché la non necessità giuridica del licenziamento alla luce della disciplina sul trasferimento di azienda. Il datore ha proposto ricorso per cassazione, fondato su molteplici motivi, ma la Suprema Corte ha dichiarato l’impugnazione inammissibile, confermando la nullità del recesso.

L’aspetto centrale della pronuncia attiene al riparto dell’onere probatorio disciplinato dall’art. 40 del Codice delle pari opportunità, disposizione che costituisce diretta attuazione della normativa eurounitaria (art. 19 Direttiva 2006/54/CE) e che si pone in stretta correlazione con l’art. 2697 c.c. La Corte ribadisce che non vi è un’inversione tout court dell’onere probatorio, bensì una attenuazione a favore del lavoratore.

Il ricorrente, infatti, non è tenuto a fornire la prova piena della discriminazione, ma soltanto ad allegare elementi fattuali, anche non gravi ma precisi e concordanti, idonei a fondare una presunzione di discriminazione. A fronte di ciò, incombe sul datore di lavoro la dimostrazione dell’inesistenza della condotta discriminatoria, secondo un modello di distribuzione dell’onere probatorio già delineato dalla giurisprudenza di legittimità (fra le altre, Cass. n. 14206/2013; Cass. n. 23338/2018; Cass. n. 3361/2023) e dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea (sentenza 21 luglio 2011, causa C-104/10).

Nel caso di specie, il giudice di appello aveva valorizzato la rapida sequenza fra l’inizio della fase più delicata della procedura di fecondazione assistita e l’adozione del provvedimento espulsivo, unitamente alla sostanziale mancanza di necessità del licenziamento in presenza di un’operazione qualificabile come trasferimento d’azienda. La Suprema Corte ha ritenuto tale valutazione conforme ai principi consolidati in tema di onere probatorio, affermando l’insindacabilità dell’apprezzamento indiziario in sede di legittimità.

Particolarmente significativo appare il passaggio in cui la Corte valorizza la dimensione discriminatoria connessa alla scelta di sottoporsi a PMA. La tutela antidiscriminatoria, infatti, non si esaurisce nella parità formale, ma si estende alla garanzia sostanziale delle scelte personali e familiari del lavoratore. La protezione della libertà riproduttiva assume rilievo costituzionale, collocandosi all’incrocio fra l’art. 3 Cost. (uguaglianza sostanziale), l’art. 37 Cost. (tutela della maternità e del lavoro femminile) e l’art. 31 Cost. (protezione della famiglia).

La Corte ha colto la specificità del rischio di discriminazione legato non tanto allo “status” della lavoratrice, quanto alla concreta esposizione derivante dalla probabilità di successo della tecnica di fecondazione in vitro, più elevata rispetto a precedenti tentativi di inseminazione intrauterina (IUI). L’intento discriminatorio è stato dunque inferito non da un generico pregiudizio, ma da un dato oggettivo: la percezione datoriale di un rischio più elevato di maternità imminente.

La decisione si sofferma altresì sulla questione del trasferimento d’azienda ex art. 2112 c.c. La Corte d’Appello aveva ritenuto che l’operazione di esternalizzazione dei servizi ad una cooperativa integrasse una ipotesi di successione nel rapporto di lavoro, con conseguente automatica prosecuzione dello stesso e irrilevanza del licenziamento. La Cassazione ha confermato tale interpretazione, ritenendo che essa non costituisse un’eccezione nuova, bensì una mera difesa volta a contestare la validità della giustificazione addotta dal datore.

Ne discende che il licenziamento intimato in un simile contesto non solo risulta privo di giustificato motivo oggettivo, ma si configura altresì come atto nullo in quanto discriminatorio.

L’ordinanza in commento consolida un orientamento volto ad ampliare la sfera di tutela delle lavoratrici nei confronti dei recessi collegati a scelte riproduttive, riaffermando la centralità del principio di uguaglianza sostanziale e della dignità della persona nel rapporto di lavoro. L’accento posto sull’attenuazione dell’onere probatorio ex art. 40 D.Lgs. 198/2006 e sull’interpretazione funzionale dell’art. 2112 c.c. contribuisce a rafforzare l’effettività del divieto di discriminazione, rendendolo strumento operativo e non mera proclamazione di principio.

Appare evidente che la decisione della Suprema Corte ribadisce l’obbligo datoriale di esercitare una diligenza professionale qualificata, idonea a prevenire e neutralizzare condotte discriminatorie anche indirette, confermando l’evoluzione del diritto del lavoro verso una sempre più marcata attenzione alla dimensione esistenziale del lavoratore.

26 settembre 2025

Staff leasing e diritto dell’Unione europea: tra autonomia sistemica e compatibilità eurounitaria nel prisma della stabilità occupazionale

A cura dell’Avv. Francesco Cervellino

La sentenza n. 3213 del 17 settembre 2025 del Tribunale di Bari si inserisce con rilievo nel vivace contesto giurisprudenziale che ha interessato negli ultimi anni la legittimità del staff leasing alla luce della Direttiva 2008/104/CE, configurandosi come un punto di snodo interpretativo, idoneo a chiarire non solo i limiti applicativi del diritto derivato dell’Unione europea, ma anche la struttura sistemica del rapporto di somministrazione a tempo indeterminato con missione parimenti a tempo indeterminato, rispetto alla quale la nozione di temporaneità, cardine della normativa europea, appare del tutto inapplicabile.

La questione trattata verte sull’utilizzo prolungato, da parte di un’impresa utilizzatrice, di un lavoratore appartenente alle categorie protette, impiegato per oltre sei anni tramite contratti di somministrazione conclusi con un’unica agenzia. A fronte di ciò, il ricorrente aveva lamentato la natura strutturale del fabbisogno lavorativo, evidenziando come la reiterazione delle missioni si ponesse in contrasto con i principi enunciati dalla Direttiva 2008/104/CE, e domandando la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato diretto, in luogo della forma interposta. Tuttavia, il Tribunale ha rigettato il ricorso, fornendo una ricostruzione articolata e sistematicamente orientata, secondo cui lo staff leasing, nella sua configurazione normativa nazionale, è estraneo all’ambito applicativo della direttiva, e perciò non sottoponibile alle relative limitazioni.

In primo luogo, occorre evidenziare che l’art. 1 della Direttiva 2008/104/CE circoscrive l’ambito oggettivo di applicazione ai lavoratori interinali assegnati “temporaneamente” a imprese utilizzatrici. L’elemento della temporaneità, secondo una consolidata lettura della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), costituisce presupposto indefettibile affinché operino le garanzie della direttiva, tra cui il principio di parità di trattamento (art. 5) e il diritto all’informazione sui posti disponibili (art. 6). Ne consegue che, in presenza di una missione a tempo indeterminato, basata su un contratto di somministrazione parimenti a tempo indeterminato, viene meno il fondamento stesso dell’applicabilità del diritto eurounitario, il quale non disciplina rapporti che, per natura, sfuggono alla logica della flessibilità transitoria.

La giurisprudenza della CGUE ha chiarito come la direttiva non intenda estendere la propria sfera regolativa a situazioni connotate da stabilità occupazionale intrinseca. Si pensi alle sentenze nelle cause C-681/18 e C-427/21, che hanno distinto con nettezza tra missioni che, pur prolungate, restano formalmente a termine e situazioni – come quella dello staff leasing – in cui la stabilità del rapporto tra lavoratore e agenzia, congiunta a una missione sine die, esclude la precarietà, obiettivo polemico primario del legislatore europeo.

Il quadro normativo italiano, peraltro, recependo tale distinzione, prevede che la somministrazione a tempo indeterminato sia possibile solo in presenza di condizioni rigorosamente predeterminate, ai sensi dell’art. 31 del decreto legislativo n. 81/2015. A rafforzare la natura strutturalmente stabile del rapporto concorre l’art. 34 del medesimo decreto, che prevede l’obbligo per l’agenzia di corrispondere un’indennità di disponibilità nei periodi intercorrenti tra una missione e l’altra, consolidando l’equilibrio economico e giuridico della posizione del lavoratore.

Ciò che rileva, in prospettiva sistemica, è la capacità dello staff leasing di conciliare le esigenze di flessibilità organizzativa dell’impresa con la stabilità del rapporto di lavoro. L’elemento dirimente non è più, quindi, la modalità di utilizzazione della prestazione – che rimane in capo all’impresa terza – ma la permanenza e continuità del vincolo giuridico tra il lavoratore e l’agenzia, titolare del contratto di lavoro. In tal senso, l’argomento secondo cui la somministrazione a tempo indeterminato rappresenterebbe una modalità elusiva dell’assunzione diretta si rivela giuridicamente inconsistente: non vi è, infatti, alcuna sottrazione di tutele, né tantomeno un’ipotesi di lavoro atipico o precario. Al contrario, il modello di staff leasing configura una forma di rapporto stabile, assistito da un regime protettivo anche più esteso rispetto a quello ordinario, specie con riferimento all’obbligo di “ricollocazione” del lavoratore da parte dell’agenzia e al contenimento del rischio di licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

L’estraneità dello staff leasing alla disciplina della Direttiva 2008/104/CE non implica, come potrebbe superficialmente supporsi, una sua deregulation, ma ne attesta la piena autosufficienza giuridica. Se il diritto dell’Unione europea riconosce nel contratto a tempo indeterminato la forma tipica del rapporto di lavoro, è del tutto coerente che le fattispecie fondate su tale stabilità ne restino escluse, configurandosi come fenomeni distinti e non meritevoli delle tutele emergenziali riservate alle situazioni precarie.

Da tale ricostruzione discende una legittimazione piena della somministrazione a tempo indeterminato con missione parimenti stabile, quale espressione di un ordinamento interno che, senza tradire gli obiettivi dell’armonizzazione europea, intende promuovere modelli flessibili ma strutturalmente garantiti. Lungi dal rappresentare un’anomalia o un rischio per il sistema delle garanzie, lo staff leasing si rivela, dunque, un’utile declinazione della modernizzazione del diritto del lavoro, nella misura in cui assicura un punto di equilibrio tra flessibilità produttiva e continuità occupazionale, conformemente ai principi fondamentali del diritto sociale europeo.

25 settembre 2025