Scadenza del 20 Agosto e Ravvedimento Operoso

Scadenza fiscale 20 agosto 2025: cosa è utile sapere


Il 20 agosto 2025 è una data cruciale per imprese, professionisti e contribuenti: in questa giornata si concentrano numerosi versamenti fiscali e previdenziali.
Capire come funziona la sospensione estiva, chi riguarda e come gestire eventuali ritardi con il ravvedimento operoso è fondamentale per evitare sanzioni e maggiorazioni inutili.


📌 Perché il 20 agosto è così importante?

Dal 1° al 20 agosto i termini fiscali sono sospesi (cosiddetta tregua estiva). Non è una proroga vera e propria, ma solo uno slittamento: tutto confluisce entro il 20 agosto.
Questa data diventa quindi un vero “ingorgo fiscale” che richiede programmazione e attenzione.


👥 Contribuenti interessati e regole speciali per ISA e forfettari

Per i contribuenti soggetti agli Indici Sintetici di Affidabilità (ISA) e per chi è in regime forfettario, valgono regole particolari:

  • Scadenza ordinaria: 21 luglio 2025

  • Scadenza differita: 20 agosto 2025 (con maggiorazione dello 0,40%)

👉 Questa maggiorazione non è una sanzione, ma il corrispettivo previsto dalla legge per chi sceglie più tempo per pagare.


💡 Focus IVA: attenzione al saldo

  • Saldo IVA 2024: scadenza naturale il 17 marzo 2025

  • Possibile differimento con maggiorazione dello 0,40% per ogni mese o frazione di mese

  • Ulteriore rinvio al 20 agosto = seconda maggiorazione dello 0,40% sull’importo già maggiorato

⚠️ Risultato: un effetto di capitalizzazione che aumenta sensibilmente la somma dovuta.


✅ Ravvedimento operoso: lo strumento per rimediare

Se un pagamento viene dimenticato o effettuato in ritardo, è possibile ricorrere al ravvedimento operoso (art. 13, D.Lgs. 472/1997).

Come funziona

  • Permette di sanare spontaneamente l’irregolarità

  • Valido solo se non sono già iniziati controlli o accertamenti

  • Il calcolo di sanzioni e interessi parte dalla scadenza naturale, non da quella differita

Cosa serve per perfezionarlo

  1. Imposta dovuta

  2. Sanzione ridotta (in base alla tempestività: sprint, breve, lungo)

  3. Interessi legali calcolati giorno per giorno

❗ Se manca anche solo un elemento, la regolarizzazione non è valida.


🔧 Strumenti e supporto

Sono disponibili calcolatori online che simulano sanzioni e interessi, ma ogni situazione fiscale ha le sue complessità, a tal riguardo si può utilizzare la guida interattiva in fondo al presente articolo.
Per questo è sempre consigliabile affidarsi a un professionista in grado di:

  • verificare scadenze e differimenti,

  • calcolare correttamente importi e maggiorazioni,

  • ridurre al minimo rischi e costi aggiuntivi.


❓ FAQ – Domande frequenti sulla scadenza del 20 agosto

1. La sospensione estiva è una proroga?
No. È solo uno slittamento: tutto si paga il 20 agosto.

2. La maggiorazione dello 0,40% è una sanzione?
No, è un interesse previsto dalla legge per chi differisce i pagamenti.

3. Se dimentico di pagare entro il 20 agosto posso sanare?
Sì, con il ravvedimento operoso, pagando imposta, sanzioni ridotte e interessi legali.

4. Da quando decorrono gli interessi nel ravvedimento?
Sempre dalla scadenza naturale (es. 21 luglio per gli ISA), non da quella differita.

5. Conviene usare un calcolatore online?
Sì, come strumento di base. Ma la verifica di un consulente resta la soluzione più sicura.


🚀 Affrontare la scadenza senza rischi

Il 20 agosto 2025 non deve essere fonte di stress. Con una pianificazione attenta e l’aiuto di un professionista puoi:

  • rispettare le scadenze,

  • evitare sanzioni,

  • risparmiare tempo e denaro.

 

Consulta la Guida Interattiva

 

 

La rinuncia al diritto di proprietà immobiliare e alla quota di comproprietà: profili civilistici e risvolti applicativi dopo la sentenza n. 23093/2025 delle Sezioni Unite

A cura dell’Avv. Francesco Cervellino e Avv. Francesca Coppola

La recente sentenza n. 23093/2025 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione segna un punto di svolta nel sistema delle fonti in materia dominicale, riconoscendo la piena legittimità e l’efficacia giuridica dell’atto unilaterale di rinuncia al diritto di proprietà immobiliare. Tale orientamento supera definitivamente le incertezze ermeneutiche che avevano fino ad oggi ostacolato la concreta operatività di tale istituto, specialmente nei rapporti con la pubblica amministrazione e, in particolare, con l’Agenzia del Demanio.

L’assenza di una disciplina espressa nel Codice civile in ordine alla rinuncia alla proprietà, se non per la previsione contenuta all’art. 827 c.c. secondo cui i beni immobili vacanti spettano al patrimonio dello Stato, non ha impedito alla giurisprudenza di elaborare una lettura sistematica in grado di ricomprendere l’atto abdicativo nell’ambito dei diritti disponibili dell’individuo. Ciò ha consentito di colmare il vuoto normativo attraverso l’applicazione del principio generale di autonomia privata, fondamento dell’intero impianto codicistico in materia di diritti reali.

Nel contesto della comunione, invece, la disciplina codicistica è più articolata: l’art. 882 c.c. e l’art. 1104 c.c. prevedono espressamente la facoltà del partecipante di rinunciare alla propria quota per sottrarsi all’obbligo di contribuzione alle spese. Questi articoli costituiscono il fondamento normativo per ritenere ammissibile, e soprattutto efficace, la rinuncia parziale alla comproprietà, con effetti che si traducono nell’accrescimento automatico della quota in capo agli altri contitolari.

La portata innovativa della sentenza risiede, in primo luogo, nell’affermazione del principio secondo cui l’atto unilaterale di rinuncia, anche quando comporti conseguenze economicamente onerose per i soggetti terzi (in particolare per lo Stato), non può essere considerato illecito, salvo che ricorrano elementi di abuso del diritto, illiceità della causa o simulazione. L’accertamento dell’intento emulativo, difatti, richiede una valutazione rigorosa e caso per caso, che non può prescindere dal principio generale dell’esercizio legittimo di un diritto soggettivo, il quale, in quanto tale, non può generare ex se una responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’art. 2043 c.c.

In secondo luogo, la pronuncia esclude la configurabilità di un danno ingiusto in capo ai comproprietari accresciuti, nei cui confronti la rinuncia produce l’espansione automatica delle rispettive quote. La legittimità dell’atto rinunciativo impedisce, pertanto, la nascita di un’obbligazione risarcitoria a carico del rinunciante, anche quando tale atto comporti per i coeredi o contitolari un aggravio delle responsabilità gestionali o manutentive.

La riflessione si estende altresì all’ambito operativo, ove la portata della sentenza appare particolarmente rilevante per la prassi notarile e per la gestione patrimoniale degli immobili cosiddetti “problematici”. Numerosi soggetti, infatti, desiderano alienare beni immobiliari di scarso valore o addirittura fonte di costi (IMU, assicurazioni, interventi di messa in sicurezza), senza peraltro riuscire a trovare acquirenti o donatari disposti ad accollarsi tali oneri. In tali situazioni, la rinuncia si presenta come strumento di razionalizzazione patrimoniale, ora pienamente fruibile.

Da un punto di vista procedurale, l’atto di rinuncia si configura come atto unilaterale non traslativo, con effetti a titolo originario: ne discende che non è necessaria la conformità catastale o urbanistica del bene, né la presenza di titoli edilizi o certificati di destinazione urbanistica. Neppure l’attestato di prestazione energetica è richiesto, semplificando in modo significativo l’attività di redazione e stipula dell’atto da parte del notaio rogante.

Tuttavia, la sentenza ribadisce altresì alcuni limiti rilevanti: la rinuncia non ha effetto estintivo rispetto ai diritti reali o personali già costituiti sul bene (ipoteche, usufrutti, servitù), né libera il rinunciante dalle obbligazioni pregresse, comprese quelle risarcitorie o ambientali. Il rischio, in tali casi, è rappresentato dalla possibilità che il creditore promuova azione revocatoria ex art. 2901 c.c. per contrastare un atto pregiudizievole ai propri diritti.

La trascrizione dell’atto contro il soggetto rinunciante è condizione di opponibilità erga omnes; sebbene non obbligatoria, è altamente consigliabile anche la trascrizione a favore del Demanio dello Stato, al fine di consentire l’automatica voltura catastale e liberare il rinunciante da ogni collegamento giuridico con il bene. Dal punto di vista fiscale, infine, la natura gratuita e la destinazione a favore dello Stato escludono l’applicabilità dell’imposta di donazione nonché delle imposte ipotecaria e catastale, rendendo l’atto non solo snello ma anche esente da oneri tributari.

La pronuncia delle Sezioni Unite del 2025 costituisce un punto fermo nell’evoluzione del diritto dominicale e della disciplina della comunione, riaffermando il primato dell’autonomia negoziale e riconoscendo all’istituto della rinuncia una dignità giuridica piena e operativa. Essa consente di affrontare, con strumenti adeguati e ormai privi di incertezze, le frequenti situazioni di paralisi patrimoniale, agevolando la circolazione e la dismissione dei beni immobiliari privi di utilità economica e rafforzando la certezza del diritto nella prassi notarile e immobiliare.

19 agosto 2025

Il licenziamento ritorsivo nel sistema delle garanzie lavoristiche: profili giuridici e oneri probatori

A cura dell’Avv. Francesco Cervellino e Avv. Francesca Coppola

La tematica del licenziamento ritorsivo, oggetto di recenti interventi della giurisprudenza di legittimità, assume rilevanza nodale nel quadro delle dinamiche conflittuali tra potere direttivo datoriale e diritti fondamentali del lavoratore. Essa si inserisce in un contesto sistemico in cui l’asimmetria contrattuale del rapporto di lavoro impone una rigorosa delimitazione dei margini entro cui il recesso può essere esercitato legittimamente, specialmente laddove siano in gioco condotte tutelate dall’ordinamento, quali la libertà di espressione, l’attività sindacale o la denuncia di illeciti aziendali (c.d. whistleblowing).

Sotto il profilo processuale, si osserva che la Corte di Cassazione ha riaffermato un principio di ordine sistematico secondo cui l’illegittimità del licenziamento per motivo ritorsivo non è suscettibile di rilievo officioso da parte del giudice. Tale assetto risponde all’esigenza di tutela del contraddittorio e alla configurazione dell’intento ritorsivo quale vizio genetico della volontà negoziale, non assimilabile ad una diversa qualificazione giuridica della medesima domanda. In questo quadro, si impone al lavoratore l’onere di allegare e provare, con rigore argomentativo e coerenza fattuale, la sussistenza del nesso eziologico tra la condotta legittima esercitata e la decisione espulsiva, la quale deve risultare esclusivamente determinata da intenti ritorsivi.

Un’ulteriore precisazione interpretativa concerne la necessità di un previo scrutinio di infondatezza della causale originaria del licenziamento. La giurisprudenza ha infatti chiarito che solo una volta esclusa l’effettività della giusta causa o del giustificato motivo addotto dal datore di lavoro — anche alla luce della disciplina collettiva eventualmente applicabile — può aprirsi lo spazio per un accertamento in ordine all’eventuale carattere ritorsivo del recesso. Tale impostazione, fondata su un’analisi in chiave logico-temporale della sequenza degli addebiti e dei comportamenti precedenti, riflette una concezione formalmente garantista del processo del lavoro, dove la verifica della legittimità del recesso si articola su piani progressivi e interdipendenti.

Particolarmente significativa, sul piano dell’effettività della tutela, è l’applicazione dei principi derivanti dalla Direttiva (UE) 2019/1937, in materia di protezione dei whistleblower. Il legislatore unionale ha imposto agli Stati membri l’adozione di misure che garantiscano un ampio spettro di protezione nei confronti dei segnalanti, valorizzando la funzione sociale della denuncia di illeciti aziendali. In tale ottica, la giurisprudenza interna ha recepito l’esigenza di attribuire rilievo ad ogni forma di pregiudizio, diretto o indiretto, che colpisca il lavoratore in conseguenza della sua iniziativa di segnalazione. Il collegamento causale deve essere pieno, esclusivo, inequivoco: solo in presenza di un nesso diretto e univoco tra la denuncia e l’atto espulsivo è possibile configurare la ritorsione quale causa illecita di licenziamento.

Di particolare interesse è la fattispecie esaminata nell’ordinanza n. 15330 del 2025, ove si affronta la questione del licenziamento di un dirigente aziendale, intervenuto a seguito della sua attività di denuncia di inefficienze e resistenze al cambiamento organizzativo. Le accuse disciplinari mosse al dirigente si sono rivelate pretestuose e inconsistenti, tese esclusivamente a isolarlo e ad eliminarlo dalla struttura gerarchica dell’impresa. L’accertamento della strumentalità degli addebiti ha consentito ai giudici di ravvisare nella volontà ritorsiva l’unica causa reale del recesso, con conseguente declaratoria di nullità dello stesso.

A livello sistematico, tale pronuncia afferma un principio di rilevante portata applicativa: il motivo illecito assume rilievo invalidante solo se esclusivo e determinante nella formazione della volontà espulsiva. Non si richiede una comparazione fra motivazioni, ma una verifica dell’eventuale insussistenza di qualsiasi altra causa legittima. Tale interpretazione garantisce certezza applicativa, ma al contempo esige dal lavoratore un onere probatorio particolarmente elevato, fondato essenzialmente su presunzioni gravi, precise e concordanti, tra cui risalta la dimostrazione dell’inconsistenza dei motivi formalmente addotti.

In termini di conseguenze giuridiche, la nullità del licenziamento per motivo illecito comporta la reintegrazione nel posto di lavoro, anche nei confronti dei dirigenti, categoria normalmente sottratta alle tutele reintegratorie. La giurisprudenza ha ribadito che, in tali casi, il datore di lavoro è tenuto al risarcimento integrale del danno, al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali e al pagamento delle sanzioni civili per omissione contributiva. Tali effetti restitutori trovano fondamento nella natura radicalmente nulla dell’atto espulsivo, in quanto lesivo di principi inderogabili dell’ordinamento lavoristico.

La figura del licenziamento ritorsivo si configura quale patologia del potere unilaterale di recesso, espressiva di un uso distorto e strumentale dell’autonomia organizzativa datoriale. La sua disciplina, frutto di un’evoluzione giurisprudenziale rigorosa, risponde all’esigenza di presidiare le aree nevralgiche della libertà del lavoratore, impedendo che l’esercizio legittimo di diritti possa tradursi in un fattore di emarginazione o esclusione. Il diritto del lavoro, nella sua accezione più evoluta, si conferma così ordinamento speciale di garanzia, ove il controllo di proporzionalità e legittimità dell’atto di recesso rappresenta non solo una clausola di salvaguardia, ma un vero e proprio strumento di bilanciamento tra autorità e libertà contrattuale.

18 agosto 2025