Limiti oggettivi della responsabilità del notaio nella riscossione dell’imposta di registro: natura complementare del tributo e configurazione della solidarietà passiva

A cura dell’Avv. Francesco Cervellino

La recente sentenza della Corte di cassazione, Sezione tributaria civile, n. 24475 del 3 settembre 2025, offre un importante chiarimento sistematico in materia di responsabilità del notaio rogante ai fini del pagamento dell’imposta di registro, con particolare riferimento ai casi di disconoscimento dell’agevolazione prima casa. Il principio affermato, in continuità con precedenti pronunce (Cass., n. 12257/2017), delimita la portata dell’obbligazione solidale del pubblico ufficiale rogante, escludendone la corresponsabilità per le imposte complementari derivanti da accertamenti successivi alla registrazione dell’atto. Tale impostazione, oltre a ribadire la distinzione tra soggetto passivo d’imposta e responsabile d’imposta, rafforza la coerenza del sistema in un’ottica di garanzia e di proporzionalità nell’esercizio della funzione notarile.

Nel caso concreto, l’amministrazione finanziaria aveva notificato al notaio un avviso di liquidazione per l’imposta di registro e relative sanzioni, a seguito del disconoscimento dell’agevolazione prima casa applicata in sede di stipula. L’Ufficio aveva accertato che l’acquirente possedeva un altro immobile nello stesso Comune, condizione ostativa al beneficio di cui al comma 4-bis della nota II-bis, Tariffa, parte I, allegata al d.P.R. 131/1986. La Cassazione ha escluso che il notaio potesse essere chiamato a rispondere di tale maggiore imposta, qualificandola come “complementare”, poiché derivante da una successiva attività di verifica e non immediatamente connessa alla registrazione dell’atto.

L’art. 57 del d.P.R. 131/1986 circoscrive la responsabilità del notaio al pagamento della sola imposta principale, escludendo ogni obbligazione per quella complementare o suppletiva. La ratio di tale limitazione risiede nell’esigenza di evitare che il pubblico ufficiale sia esposto a richieste impositive non prevedibili, né quantificabili al momento della stipula, e dunque prive della necessaria provvista presso le parti. Il notaio, infatti, è soggetto obbligato alla registrazione dell’atto (art. 10, lett. b, d.P.R. 131/1986), ma resta estraneo al presupposto impositivo, che attiene esclusivamente alle parti contraenti. Egli opera quale responsabile d’imposta ai sensi dell’art. 64, comma 3, d.P.R. 600/1973, assumendo una responsabilità di garanzia funzionale al corretto assolvimento dell’obbligo tributario, non una responsabilità paritetica da co-realizzazione del presupposto fiscale.

La sentenza valorizza la distinzione tra solidarietà “dipendente” e “paritetica”: nel primo caso, il responsabile d’imposta è tenuto in via sussidiaria, potendo esercitare la rivalsa integrale nei confronti dei veri contribuenti; nel secondo, invece, la solidarietà sorge da una comune partecipazione all’evento impositivo, con diritto di regresso limitato pro quota. Applicando questa logica, la Corte ha ritenuto che l’imposta emersa a seguito del disconoscimento dell’agevolazione non potesse gravare sul notaio, poiché generata da un accertamento extratestuale, successivo e autonomo rispetto al momento della registrazione. La pretesa fiscale, pertanto, non era più cartolare né immediata, ma fondata su una verifica di fatto, con conseguente natura complementare del tributo.

Da un punto di vista sistematico, la decisione evidenzia come la figura del notaio, pur investita di un ruolo di ausilio alla funzione fiscale, non possa essere equiparata ai soggetti passivi sostanziali. Il suo obbligo di pagamento sorge ex lege in funzione di garanzia procedimentale, limitandosi alle imposte dovute in sede di registrazione. Ogni estensione di tale responsabilità alle imposte successive comporterebbe un’alterazione del principio di legalità tributaria e della tassatività delle obbligazioni solidali, nonché una sproporzione rispetto alla funzione pubblica esercitata dal notaio, che non dispone né dei poteri né delle informazioni per accertare la veridicità delle dichiarazioni delle parti.

La pronuncia si colloca, inoltre, in un contesto di riforma del sistema di imposizione indiretta delineato dal D.Lgs. 139/2024, che, pur non incidendo sul regime del d.P.R. 131/1986, conferma la tendenza alla razionalizzazione delle fattispecie di responsabilità solidale in chiave di efficienza amministrativa e di tutela del principio di buona fede. La Corte, in questo senso, ribadisce che l’amministrazione, quando la pretesa impositiva richieda verifiche extratestuali, non può procedere mediante avviso di liquidazione nei confronti del notaio entro il termine di sessanta giorni dalla registrazione, ma deve attivare un ordinario procedimento di accertamento nei confronti delle parti, in quanto un’imposta così accertata non è principale, bensì complementare.

Sotto il profilo operativo, la decisione rafforza la certezza giuridica nell’attività notarile, delimitando chiaramente il confine tra adempimento formale e responsabilità sostanziale. L’intervento della Cassazione consolida la funzione del notaio quale garante della regolarità del procedimento, ma non quale soggetto tenuto alla verifica sostanziale delle condizioni di legge per l’applicazione delle agevolazioni fiscali. Tale distinzione risponde anche al principio di proporzionalità, evitando che il notaio sia gravato da oneri informativi e probatori eccedenti le sue competenze istituzionali.

La sentenza n. 24475/2025 potrà incidere sulla prassi amministrativa, inducendo l’amministrazione finanziaria a un uso più selettivo dell’avviso di liquidazione nei confronti dei notai e a una più rigorosa qualificazione delle imposte complementari. Essa riafferma, in ultima analisi, il principio per cui la responsabilità del notaio si esaurisce nell’ambito della fase cartolare e immediata della registrazione, restando esclusa per ogni imposizione che derivi da successivi accertamenti, anche se connessi all’atto rogato. Il confine tracciato tra obbligo di registrazione e obbligazione tributaria diretta segna un equilibrio coerente con la struttura dell’imposta di registro, in cui la funzione pubblica del notaio si integra ma non si confonde con quella contributiva delle parti

29 ottobre 2025

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L’estensione dell’esenzione IMU agli immobili occupati abusivamente: dalla denuncia penale all’azione civile

A cura dell’Avv. Francesco Cervellino

L’evoluzione giurisprudenziale in materia di imposta municipale propria (IMU) ha recentemente conosciuto un punto di svolta significativo con la sentenza n. 1178/2025 della Corte di Giustizia Tributaria della Sardegna, la quale ha esteso, in via interpretativa, l’esenzione dal tributo anche ai casi in cui il proprietario dell’immobile, spossessato per effetto di un’occupazione abusiva, abbia intrapreso un’azione civile per il rilascio del bene. Tale decisione si colloca nel solco tracciato dalla pronuncia n. 60/2024 della Corte costituzionale, che aveva dichiarato l’illegittimità dell’art. 9, comma 1, del decreto legislativo n. 23 del 2011 nella parte in cui non prevedeva l’esonero dall’IMU per gli immobili occupati abusivamente e oggetto di tempestiva denuncia penale. L’interpretazione fornita dal giudice tributario sardo appare destinata ad ampliare la portata applicativa di tale principio, con rilevanti implicazioni sistematiche e costituzionali.

La questione trae origine da un caso nel quale il contribuente, pur risultando formalmente proprietario di un immobile, ne era stato di fatto spogliato sin dagli anni Ottanta a seguito dell’occupazione da parte di terzi che ne rivendicavano la proprietà per usucapione. Nel periodo d’imposta oggetto di accertamento, il bene non era dunque nella disponibilità materiale del titolare, il quale aveva tuttavia promosso un articolato contenzioso civile per ottenere la restituzione del possesso. Nonostante tale situazione, il Comune aveva emesso avviso di accertamento per l’IMU relativa all’anno 2014, fondando la pretesa sulla titolarità formale del diritto reale. Il giudice tributario di secondo grado ha accolto l’appello del contribuente, riconoscendo che il presupposto dell’imposta non può identificarsi nella mera titolarità giuridica, ma presuppone un effettivo possesso del bene, inteso come concreta possibilità di esercizio dei poteri di godimento e disposizione.

Nel richiamare la sentenza n. 60/2024 della Corte costituzionale, la Corte sarda ha evidenziato come il principio di capacità contributiva, sancito dall’art. 53 della Costituzione, imponga di correlare ogni prelievo fiscale a indici reali di ricchezza, escludendo l’assoggettamento all’imposta di chi non tragga alcun beneficio economico dal bene posseduto solo formalmente. La Consulta aveva riconosciuto l’irragionevolezza della disciplina che imponeva il pagamento dell’IMU al proprietario di un immobile abusivamente occupato, anche qualora questi avesse tempestivamente denunciato l’illecito in sede penale, in quanto tale situazione non costituisce un indice attendibile di capacità contributiva. L’effetto della pronuncia costituzionale, dotata di efficacia retroattiva, ha reso inapplicabile la disposizione espunta, salvo i rapporti ormai consolidati.

Il giudice sardo ha tuttavia compiuto un ulteriore passo, ritenendo che la ratio della decisione della Corte costituzionale, fondata sui principi di uguaglianza e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., non possa circoscriversi ai casi di denuncia penale, ma debba estendersi a tutte le ipotesi in cui il proprietario si sia attivato per recuperare il possesso del bene mediante strumenti giurisdizionali. Tale interpretazione costituzionalmente orientata della norma impositiva evita una nuova rimessione alla Consulta e consente di pervenire a una soluzione conforme ai valori costituzionali senza incidere sulla discrezionalità legislativa. L’azione civile intrapresa dal contribuente per ottenere il rilascio dell’immobile, al pari della denuncia penale, costituisce infatti manifestazione di diligenza e di rispetto della legalità, non potendo la scelta dello strumento processuale determinare un diverso trattamento tributario.

Sotto il profilo sistematico, la pronuncia si colloca in un quadro di progressiva evoluzione della nozione di possesso rilevante ai fini IMU, che tende a privilegiare la dimensione sostanziale rispetto a quella meramente formale. La titolarità giuridica, in assenza di effettiva disponibilità materiale del bene, non integra un valido presupposto impositivo, poiché difetta l’indice economico di ricchezza che giustifica il tributo. Tale approccio appare coerente anche con l’art. 42, secondo comma, della Costituzione e con l’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, i quali tutelano il diritto di proprietà e impongono un equilibrio ragionevole tra le esigenze del gettito pubblico e la protezione dei diritti individuali. L’amministrazione finanziaria non può trarre vantaggio da una situazione di illegalità protratta nel tempo, che priva il proprietario della disponibilità del bene e ne impedisce l’utilizzazione economica.

Sul piano pratico, la decisione della Corte di Giustizia Tributaria della Sardegna introduce un importante criterio interpretativo che potrebbe estendersi a numerose situazioni similari. La distinzione fra denuncia penale e azione civile viene sostanzialmente superata, riconoscendo che entrambe le vie giuridiche perseguono il medesimo fine di tutela del diritto di proprietà e di ripristino della legalità. L’elemento decisivo, ai fini dell’esenzione, è dunque la prova dell’attivazione tempestiva di un rimedio giurisdizionale idoneo a contrastare l’occupazione abusiva, nonché la dimostrazione dell’assenza di colpevolezza o inerzia del proprietario. Tale orientamento appare in linea con il principio di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione sancito dall’art. 97 Cost., che impone alla pubblica amministrazione di trattare in modo uguale situazioni analoghe e di non aggravare ingiustificatamente la posizione del contribuente diligente.

Le implicazioni della sentenza n. 1178/2025 trascendono il singolo caso, delineando un modello di interpretazione evolutiva della normativa tributaria conforme ai parametri costituzionali. Essa riafferma la necessità di un’imposizione fondata su presupposti reali di ricchezza e di una fiscalità rispettosa dei principi di ragionevolezza e proporzionalità. In prospettiva, tale orientamento potrebbe orientare l’attività amministrativa dei Comuni nella gestione degli accertamenti IMU, inducendo un riesame delle posizioni tributarie relative a immobili abusivamente occupati e promuovendo una maggiore uniformità interpretativa a livello nazionale. Si consolida così l’idea di un diritto tributario sensibile ai valori sostanziali della giustizia e dell’equità, in cui il rispetto della legalità formale si coniuga con la salvaguardia della reale capacità contributiva del cittadino.

25 ottobre 2025

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Il sequestro preventivo dell’unica abitazione nei reati tributari: limiti, principi e prospettive sistematiche

 

A cura dell’Avv. Francesco Cervellino

La pronuncia n. 34485 del 2025 della Corte di cassazione, terza sezione penale, offre un rilevante contributo ricostruttivo in materia di sequestro preventivo e confisca del profitto nei reati tributari, con particolare riguardo alla possibilità di sottoporre a vincolo l’unica abitazione dell’indagato. L’occasione processuale nasce dal ricorso proposto contro un decreto di sequestro avente ad oggetto beni immobili e mobili intestati anche a terzi, disposti nell’ambito di un procedimento per dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, di cui all’articolo 2 del decreto legislativo n. 74 del 2000.
Il caso consente di affrontare due profili centrali: la legittimazione dell’indagato non proprietario del bene a proporre istanza di riesame del sequestro preventivo e la questione, più ampia, dell’eventuale impignorabilità o non confiscabilità dell’unico immobile di proprietà, in applicazione del limite previsto dall’articolo 76, comma 1, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973.

Sotto il primo profilo, la Corte ribadisce che la legittimazione dell’indagato a impugnare un provvedimento di sequestro non presuppone automaticamente la titolarità del bene, ma richiede la dimostrazione di un interesse concreto e attuale collegato agli effetti del vincolo sulla sua posizione giuridica. Tale principio, espresso dalle Sezioni Unite con l’informazione provvisoria n. 15 del 2025, segna un punto di equilibrio fra il diritto di difesa dell’indagato e la necessità di evitare un uso strumentale delle impugnazioni in assenza di un interesse sostanziale. Il criterio dell’interesse concreto, infatti, valorizza la funzione oggettiva del riesame come rimedio a tutela di posizioni effettivamente incise dal vincolo cautelare, garantendo coerenza sistematica con l’articolo 322 del codice di procedura penale.
Nel caso esaminato, la Corte ha escluso tale interesse, ritenendo che l’indagato avesse dedotto unicamente la volontà di ottenere la restituzione di beni formalmente appartenenti a terzi, senza dimostrare una diretta incidenza del sequestro sulla propria sfera giuridica. Ne è derivata la conferma dell’orientamento restrittivo, secondo cui l’interesse all’impugnazione deve essere reale e non meramente riflesso.

Ben più ampio rilievo sistematico riveste, tuttavia, il secondo tema affrontato dalla decisione: la possibilità di estendere, ai fini penali, il limite all’espropriazione immobiliare previsto per la riscossione tributaria dall’articolo 76 del d.P.R. n. 602/1973. La disposizione, nella formulazione introdotta dal decreto-legge n. 69 del 2013, prevede che l’agente della riscossione non possa procedere all’espropriazione dell’unico immobile di proprietà del debitore, adibito ad uso abitativo e nel quale egli risieda anagraficamente. La ratio è chiaramente quella di salvaguardare il diritto all’abitazione del contribuente, riconosciuto dall’ordinamento come esigenza primaria di tutela sociale.

La giurisprudenza penale, tuttavia, ha costantemente circoscritto tale garanzia al solo ambito tributario. La Corte di cassazione, nel solco di precedenti consolidati (sentenze n. 8995/2019, n. 30342/2021, n. 5608/2021), ha affermato che la norma non pone un principio generale di impignorabilità dell’unica casa, ma una regola speciale riferita alle esecuzioni promosse dal fisco per debiti tributari. Tale limitazione non può essere estesa alla confisca penale, diretta o per equivalente, poiché oggetto di quest’ultima non è il debito verso l’Erario, ma il profitto del reato, che costituisce la causa giustificativa dell’ablazione patrimoniale.

L’argomento centrale risiede nella diversa funzione dei due istituti. L’espropriazione tributaria mira alla riscossione coattiva di un credito erariale e, dunque, rientra nella logica civilistica della responsabilità patrimoniale. La confisca penale, invece, persegue finalità eminentemente sanzionatorie e preventive, volte a sottrarre al reo il vantaggio economico del reato, secondo la previsione dell’articolo 240 del codice penale e dell’articolo 322-ter per i reati contro la pubblica amministrazione, nonché degli articoli 12-bis e 1, comma 143, della legge n. 244 del 2007 per i reati tributari.
Ne consegue che la garanzia dell’abitazione, posta dal legislatore fiscale, non incide sul potere penale di ablazione patrimoniale, il quale opera indipendentemente dalla natura del bene e dalla sua destinazione a uso abitativo. Tale impostazione trova ulteriore fondamento nel principio generale dell’articolo 2740 del codice civile, secondo cui il debitore risponde con tutti i propri beni presenti e futuri, salvo i casi di limitazione espressamente previsti dalla legge. Poiché nessuna disposizione stabilisce un’esclusione in materia penale, il sequestro preventivo dell’unica casa risulta legittimo anche quando l’immobile rappresenti l’abitazione principale dell’indagato.

La dottrina, tuttavia, non ha mancato di sollevare rilievi critici rispetto a questa interpretazione, evidenziando il rischio di una disparità di trattamento tra sfera fiscale e sfera penale e, più in generale, la tensione con il principio costituzionale di tutela del diritto all’abitazione, quale proiezione del diritto inviolabile alla dignità personale. Parte della riflessione ritiene infatti che la ratio umanitaria sottesa alla norma tributaria possa, in via interpretativa, essere richiamata anche in ambito penale, quantomeno per temperare l’applicazione di misure ablative sproporzionate rispetto all’entità del profitto illecito.
La Cassazione, tuttavia, mantiene una linea rigorosa, riaffermando la prevalenza della funzione repressiva e dissuasiva della confisca rispetto alla protezione patrimoniale individuale, salvo il rispetto del principio di proporzionalità nella determinazione del quantum del sequestro, che deve essere limitato alla parte corrispondente al profitto del reato.

La sentenza in commento ribadisce dunque la netta separazione tra garanzie patrimoniali di derivazione fiscale e strumenti ablativi di natura penale, chiarendo che la nozione di “unico immobile di proprietà” non assume alcuna valenza limitativa nei confronti della confisca. Ciò comporta che anche un’abitazione in comunione, o comunque utilizzata come dimora principale, può essere oggetto di sequestro preventivo, purché nei limiti della quota riconducibile all’indagato e in misura proporzionata al profitto contestato.

Sotto il profilo sistematico, tale orientamento contribuisce a definire un quadro di maggiore certezza applicativa, ma solleva interrogativi sul bilanciamento tra esigenze di repressione e tutela dei diritti fondamentali. La sfida interpretativa futura consisterà nel conciliare la finalità punitiva dell’ablazione patrimoniale con la salvaguardia dei diritti inviolabili garantiti dagli articoli 2 e 42 della Costituzione, evitando che il principio di proporzionalità venga svuotato nella prassi esecutiva. In assenza di un intervento legislativo di coordinamento, l’equilibrio tra effettività della confisca e tutela dell’abitazione rimarrà affidato alla prudente valutazione del giudice, chiamato a garantire che il sacrificio patrimoniale non si traduca in una compressione eccessiva della dimensione personale del diritto alla casa.

24 ottobre 2025

Lo stesso elaborato anche su taxlegaljob.net