La pregressa comunione materiale e spirituale tra coniugi quale presupposto imprescindibile per l’attribuzione dell’assegno di mantenimento in sede di separazione

a cura dell’Avv. Francesco Cervellino e Avv. Francesca Coppola

  1. Premessa normativa e sistematica

L’assegno di mantenimento previsto in sede di separazione giudiziale dei coniugi trova fondamento normativo nell’art. 156 c.c., il quale dispone che “il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non è addebitabile, il diritto di ricevere dall’altro quanto è necessario al suo mantenimento”. L’erogazione di tale assegno si configura come misura di assistenza materiale tra coniugi separati, funzionale a garantire continuità al tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale.

Ai fini dell’attribuzione dell’assegno de quo, la giurisprudenza ha individuato presupposti imprescindibili, tra i quali:

  • la non addebitabilità della separazione al coniuge richiedente (cfr. art. 151, co. 2, c.c.);
  • la mancanza di adeguati redditi propri da parte del coniuge istante;
  • la disponibilità, da parte dell’altro coniuge, di mezzi economici idonei.

Tuttavia, secondo una recente e consolidata elaborazione giurisprudenziale, a tali presupposti va aggiunto quello della sussistenza di una effettiva comunione materiale e spirituale tra i coniugi, instauratasi nel corso della convivenza matrimoniale. In assenza di tale condizione, il diritto al mantenimento resta escluso.

  1. La pronuncia della Corte di Cassazione n. 9207/2025

Con sentenza n. 9207/2025, la Suprema Corte ha ribadito, rinviando a pubblica udienza una questione ritenuta di rilevante interesse nomofilattico, che l’assegno di mantenimento non può essere riconosciuto in assenza di una comunione di vita effettivamente instaurata tra i coniugi successivamente alla celebrazione del matrimonio, anche laddove risultino integrati gli ulteriori presupposti legali.

Nel caso di specie, i giudici di merito avevano respinto la richiesta di assegno avanzata dal marito in sede di separazione, rilevando come la convivenza tra i coniugi fosse durata appena quattro mesi, durante i quali ciascuno aveva provveduto autonomamente alla gestione dei propri affari, senza che si fosse instaurata alcuna effettiva condivisione del ménage familiare né un rapporto affettivo qualificabile come affectio coniugalis.

La Cassazione ha confermato il rigetto del ricorso, evidenziando che la mancanza di una communio omnis vitae tra i coniugi, in termini di concreta attuazione del vincolo matrimoniale sul piano materiale e spirituale, preclude in radice il riconoscimento dell’assegno ex art. 156 c.c.

  1. Preclusione logico-sistematica all’obbligo di mantenimento

La portata preclusiva della mancata attuazione della comunione di vita trova la propria giustificazione nella ratio dell’assegno di mantenimento, che, a differenza dell’assegno divorzile (di natura assistenziale-compensativa), mira a garantire la continuità dell’assistenza materiale prestata durante la convivenza matrimoniale.

In assenza di tale convivenza, difetta il presupposto logico-funzionale della misura: il coniuge non ha mai adempiuto, né ricevuto, quell’obbligo di assistenza che l’art. 143 c.c. impone sul piano sia morale che materiale. Ne deriva, in via sistematica, l’impossibilità di assicurare continuità ad una situazione mai esistita in concreto.

  1. Giurisprudenza di legittimità e principio consolidato

La pronuncia in esame si inserisce in un filone interpretativo ormai consolidato, avallato da precedenti quali Cass. 24 luglio 2024 n. 20507, Cass. 26 giugno 2018 n. 16737, e Cass. 10 gennaio 2018 n. 402, nei quali si è ribadito che, in assenza della realizzazione del vincolo di vita comune, né la validità formale del matrimonio né la sua durata costituiscono elementi sufficienti a fondare il diritto all’assegno di mantenimento.

In tal senso, la durata breve del matrimonio può rilevare, al più, ai fini della quantificazione dell’assegno e non quale causa ostativa automatica (Cass. 18 gennaio 2017 n. 1162; Cass. 22 settembre 2011 n. 19349). È invece la mancata instaurazione del rapporto affettivo e della vita comune a determinare la non debenza della misura.

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L’insegnamento della Corte Suprema si presta a fungere da importante parametro applicativo per la giurisprudenza di merito, cristallizzando il principio per cui l’assegno di mantenimento in sede di separazione presuppone l’effettiva instaurazione di una comunione di vita tra i coniugi. La mera validità del matrimonio, in assenza di coabitazione, condivisione degli oneri familiari e affectio coniugalis, non legittima pretese economiche ex art. 156 c.c.

Tale orientamento garantisce coerenza con la funzione dell’assegno separativo, che non può trasformarsi in uno strumento assistenziale ex ante, ma deve rispecchiare una situazione preesistente di contribuzione reciproca nell’ambito dell’unione coniugale.

17 aprile 2025

La rilevanza della sede nella conciliazione sindacale ex art. 411 c.p.c.: il consolidarsi dell’orientamento restrittivo della Cassazione

a cura dell’Avv. Francesco Cervellino

Con l’ordinanza n. 9286 del 2025, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul tema della validità delle conciliazioni sindacali di cui all’art. 411, comma 3, del Codice di procedura civile, riaffermando – a distanza di circa un anno dalla sentenza n. 10065/2024 – un orientamento rigoroso che pone l’accento sulla centralità della sede in cui si svolge la procedura conciliativa.

In particolare, la Suprema Corte ha ribadito che la sede della conciliazione non riveste natura meramente formale, bensì funzionale, in quanto strettamente connessa alla garanzia dell’effettività dell’assistenza sindacale. La conciliazione perfezionata nei locali aziendali, pur in presenza di un rappresentante sindacale, non può ritenersi conforme ai requisiti richiesti dalla normativa per assicurare la genuinità del consenso prestato dal lavoratore.

Secondo la Cassazione, la tutela del lavoratore non è assicurata esclusivamente dalla presenza del soggetto sindacale, ma anche dal contesto spaziale nel quale avviene la conciliazione. La sede deve infatti rappresentare un ambiente idoneo ad escludere ogni possibile forma di condizionamento psicologico o pressioni, dirette o indirette, da parte del datore di lavoro. Pertanto, la stipula dell’accordo in locali aziendali è suscettibile di compromettere il principio della libera autodeterminazione del lavoratore, rendendo inefficace la garanzia di assistenza prevista ex lege.

Alla luce di questa interpretazione, si rafforza l’orientamento secondo cui la validità e l’inoppugnabilità delle conciliazioni sindacali dipendono non solo dalla corretta presenza delle parti e dall’intervento del sindacato, ma anche dalla scelta di un luogo esterno all’impresa, dotato di requisiti di neutralità e indipendenza.

La pronuncia in commento richiama l’attenzione degli operatori del diritto e delle imprese sull’opportunità – e ormai necessità – di svolgere le conciliazioni in sedi sindacali proprie, camere di conciliazione o luoghi diversi dai locali aziendali, onde evitare vizi di forma e di sostanza suscettibili di inficiare la validità dell’accordo e di riaprire il contenzioso.

15 aprile 2025

Le Novità in Materia di Riscatto dei Periodi di Lavoro senza Contributi: Analisi Giuridica e Operativa

a cura dell’Avv. Francesco Cervellino

La recente legge n. 203/2024 ha introdotto significative innovazioni nel sistema previdenziale italiano, in particolare per quanto riguarda il riscatto dei periodi lavorativi non coperti da contribuzione previdenziale. Tale intervento normativo mira a garantire una maggiore flessibilità ai lavoratori che si trovano a dover sanare lacune contributive, anche qualora sia già intervenuta la prescrizione dell’obbligo di versamento a carico del datore di lavoro.

L’oggetto della presente analisi è quello di esaminare i profili giuridici della nuova disciplina, evidenziandone gli effetti sul piano pratico per i lavoratori interessati.

Il Quadro Normativo di Riferimento

Ai sensi della normativa vigente, il recupero dei contributi non versati può avvenire attraverso tre diversi strumenti, a seconda del periodo intercorso dalla data in cui il versamento avrebbe dovuto essere effettuato:

  • Recupero diretto da parte dell’INPS: se il lavoratore segnala l’omissione contributiva entro il termine prescrizionale di cinque anni, l’INPS può intervenire per il recupero coattivo nei confronti del datore di lavoro.
  • Costituzione della rendita vitalizia a carico del datore di lavoro: se sono trascorsi più di cinque, ma meno di dieci anni dalla prescrizione, il datore di lavoro può essere chiamato a sostenere l’onere del versamento. Nel caso in cui sia il lavoratore a farsi carico dell’importo, questi potrà agire per ottenere il risarcimento del danno.
  • Riscatto oneroso a carico esclusivo del lavoratore: qualora siano decorsi oltre dieci anni dalla prescrizione dell’obbligo contributivo, il lavoratore può richiedere la costituzione di una rendita vitalizia, con onere economico interamente a proprio carico e senza possibilità di rivalsa sul datore di lavoro inadempiente.

I Soggetti Beneficiari e le Condizioni per l’Accesso

La rendita vitalizia può essere richiesta nei casi in cui il soggetto tenuto al versamento contributivo non coincida con il beneficiario della prestazione pensionistica. Ciò riguarda specificamente:

  • Lavoratori subordinati;
  • Familiari coadiuvanti e coadiutori di imprese artigiane e commerciali;
  • Collaboratori di coltivatori diretti;
  • Iscritti alla gestione separata INPS (esclusi i professionisti);
  • Insegnanti di asilo e scuole elementari parificate appartenenti a enti privati.

Per poter accedere a tale meccanismo, il lavoratore deve produrre documentazione idonea a dimostrare l’esistenza effettiva del rapporto di lavoro e della relativa prestazione lavorativa. In particolare, l’INPS valuterà:

  • Libretto di lavoro e buste paga contenenti indicazioni relative a presenze, assenze e periodi retribuiti;
  • Lettere di assunzione, contratti di lavoro e transazioni conciliative giudiziali e stragiudiziali;
  • Estratti dei libri matricola e libri presenze, in originale o in copia autenticata.

Il Calcolo dell’Onere di Riscatto

L’importo dovuto per la costituzione della rendita vitalizia viene determinato sulla base di due criteri distinti:

  • Regime della riserva matematica: per i periodi di contribuzione fino al 31 dicembre 1995, si applicano le regole della capitalizzazione attuariale.
  • Regime contributivo: per i periodi successivi al 1° gennaio 1996, si utilizza l’aliquota contributiva vigente alla data della domanda, calcolata sulla retribuzione percepita nei dodici mesi antecedenti.

A differenza del riscatto degli anni di laurea, per questa forma di riscatto non è prevista una modalità agevolata di calcolo, rendendo l’operazione particolarmente onerosa. Tuttavia, in base ai più recenti orientamenti dell’Agenzia delle Entrate (Risposta 482/2020), l’importo versato per la costituzione della rendita vitalizia è deducibile dal reddito del lavoratore.

Le Verifiche dell’INPS e le Prove Ammissibili

Al fine di garantire la correttezza della procedura, l’INPS effettua un attento esame documentale, volto a escludere il rischio di riconoscimento di periodi lavorativi fittizi. In particolare:

  • Le buste paga devono riportare indicazioni dettagliate sulle settimane e sui giorni lavorati, affinché sia possibile individuare in modo inequivocabile l’omissione contributiva (Circolare INPS n. 78/2019).
  • Anche le sentenze giudiziarie vengono sottoposte a verifica: mentre il giudice può accertare l’esistenza di un rapporto di lavoro con vari mezzi di prova, ai fini della rendita vitalizia è richiesto il supporto di documentazione certa e datata.
  • Le testimonianze sono generalmente ammesse, tranne nel caso del lavoro a domicilio, e vengono valutate con particolare prudenza, privilegiando le dichiarazioni del datore di lavoro e dei colleghi.

L’elemento essenziale richiesto dall’INPS è che l’esistenza del rapporto di lavoro sia certa e non semplicemente verosimile, motivo per cui dichiarazioni tardive e prive di supporto documentale non vengono prese in considerazione.

Riflessioni Operative

La nuova disciplina consente ai lavoratori di sanare eventuali lacune contributive, ma il riscatto dei periodi non coperti da contribuzione comporta un onere finanziario rilevante, soprattutto in caso di richiesta tardiva. L’opportunità di accedere a tale strumento dovrebbe quindi essere valutata con attenzione, considerando sia il costo effettivo che i benefici in termini di accesso anticipato alla pensione o incremento dell’assegno pensionistico.

Sul piano operativo, appare fondamentale per i lavoratori raccogliere e conservare documentazione probatoria adeguata, evitando di incorrere in difficoltà nell’istruttoria della pratica. Inoltre, data la complessità delle verifiche INPS, il supporto di un consulente del lavoro o di un avvocato esperto in diritto previdenziale può rivelarsi determinante per una corretta gestione della richiesta.

La recente riforma conferma, ancora una volta, l’importanza della previdenza complementare e della pianificazione pensionistica, strumenti sempre più indispensabili per garantire una copertura adeguata ai lavoratori italiani.

27 febbraio 2025