A cura dell’Avv. Francesco Cervellino e Avv. Francesca Coppola
Con la recente sentenza n. 9544/2025, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sul tema della tutela applicabile nei casi di licenziamento intimato senza indicazione contestuale dei motivi, consolidando un orientamento giurisprudenziale sempre più improntato alla valorizzazione delle garanzie sostanziali a favore del lavoratore.
Il caso concreto e il quadro normativo di riferimento
Il giudizio trae origine dal licenziamento di un lavoratore assunto anteriormente al 7 marzo 2015 – dunque soggetto alla disciplina dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, come riformato dalla legge Fornero – il quale veniva estromesso dal rapporto senza ricevere alcuna motivazione contestuale al provvedimento espulsivo.
La Corte d’Appello di Firenze, in sede di reclamo, aveva qualificato il recesso come affetto da inefficacia ai sensi del comma 6 dell’art. 18, riconoscendo pertanto una mera tutela indennitaria. Tale qualificazione si fondava sulle argomentazioni difensive successivamente addotte dal datore di lavoro, non contestate dal dipendente, che lasciavano intendere un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, seppur formalmente privo di esplicitazione iniziale.
La decisione della Cassazione: violazione sostanziale, non solo formale
La Suprema Corte ha radicalmente sconfessato l’impostazione del giudice di merito, affermando che l’assenza di motivazione contestuale integra un vizio sostanziale e non meramente formale. Tale mancanza, infatti, impedisce non solo la comprensione del fatto su cui si fonda il licenziamento, ma ostacola anche l’effettiva possibilità per il lavoratore di esercitare il diritto di difesa in modo tempestivo e consapevole, in violazione dell’art. 2, comma 2, della legge n. 604/1966.
Ne consegue che, in simili casi, non può trovare applicazione la tutela risarcitoria limitata prevista dal comma 6 dell’art. 18, bensì quella reintegratoria attenuata di cui al comma 4, riservata alle ipotesi di insussistenza del fatto materiale posto a fondamento del recesso.
Il principio di ragionevolezza costituzionale come criterio ermeneutico
Il Collegio, rafforzando la propria argomentazione, richiama espressamente i principi affermati dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 59/2021, 125/2022 e 128/2024, valorizzando un’interpretazione sistematica e coerente con l’art. 3 della Costituzione.
Secondo tale impostazione, sarebbe infatti irragionevole riconoscere una tutela reintegratoria nei casi in cui il fatto addotto risulti insussistente solo in giudizio, ma negarla nelle ipotesi – ben più gravi – in cui nessun fatto sia stato inizialmente allegato per giustificare il licenziamento. Si rischierebbe altrimenti di penalizzare proprio i casi connotati da maggiore arbitrarietà datoriale.
Un ulteriore passo verso la marginalizzazione della tutela indennitaria
La pronuncia si inserisce in un trend giurisprudenziale volto a limitare sempre più l’ambito applicativo della tutela meramente risarcitoria, soprattutto quando essa venga invocata per coprire condotte datoriali gravi, come l’omessa comunicazione dei motivi del licenziamento.
Tale approccio, oltre a restituire coerenza interna al sistema sanzionatorio dei licenziamenti illegittimi, rafforza il ruolo della motivazione quale presidio di legalità e correttezza formale e sostanziale nei rapporti di lavoro.
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La sentenza n. 9544/2025 della Cassazione rappresenta un significativo chiarimento in materia di licenziamenti privi di motivazione, sancendo in modo netto l’inapplicabilità della tutela indennitaria nei casi di totale assenza di giustificazione scritta. La reintegrazione – seppur attenuata – torna così ad assumere centralità quale rimedio ordinamentale in presenza di violazioni gravi, coerentemente con l’evoluzione della giurisprudenza costituzionale.
30 aprile 2025