La cedolare secca nei contratti di locazione a imprese per finalità abitative: la Cassazione consolida l’orientamento favorevole

A cura dell’Avv. Francesco Cervellino e Avv. Francesca Coppola

Con le recenti pronunce n. 12076 e 12079 del 2025, la Corte di Cassazione interviene nuovamente sulla questione, oggetto di lungo dibattito interpretativo, relativa all’applicabilità del regime della cedolare secca anche nel caso in cui il conduttore del contratto di locazione sia un’impresa o un ente dotato di personalità giuridica che agisce per soddisfare esigenze abitative di un proprio dipendente o amministratore. Tali decisioni consolidano l’orientamento già affermatosi con la sentenza n. 12395/2024, segnando un passaggio decisivo nel superamento delle rigidità finora mantenute dall’Agenzia delle Entrate.

Tradizionalmente, la posizione dell’Amministrazione finanziaria si era attestata su una lettura restrittiva dell’articolo 3 del D.lgs. 23/2011, escludendo l’applicazione del regime fiscale agevolato nei casi in cui il conduttore fosse un soggetto passivo Iva, ritenuto ontologicamente incompatibile con la ratio privatistica e personale sottesa alla disciplina della cedolare secca. Tale orientamento si è mantenuto costante anche successivamente alla prima apertura giurisprudenziale del 2024, come dimostrano la risposta a interpello della Direzione regionale Toscana e la posizione assunta dal Ministero dell’Economia e delle Finanze in sede di interrogazione parlamentare, in cui si sottolineava la necessità di attendere la formazione di un indirizzo giurisprudenziale consolidato, anche in funzione di tutela del gettito erariale.

Tuttavia, il nuovo intervento della Cassazione sgretola definitivamente questa impostazione difensiva. I giudici di legittimità, pur prendendo atto del tenore letterale del comma 6-bis dell’articolo 3 – che menziona in via espressa solo cooperative edilizie e enti senza scopo di lucro –, sottolineano come tale norma non abbia carattere esclusivo né preclusivo rispetto all’applicazione della cedolare secca ad altri soggetti giuridici. In particolare, la Suprema Corte ribadisce che l’opzione per il regime agevolato può legittimamente operare anche nei confronti di contratti stipulati da imprenditori e professionisti, a condizione che essi siano diretti a soddisfare esigenze abitative riconducibili alla sfera personale dei loro collaboratori.

L’elemento qualificante, secondo le motivazioni contenute nelle due sentenze, non è quindi la natura giuridica del conduttore, bensì la finalità del contratto, che deve rimanere ancorata all’uso abitativo. In tal senso, la Cassazione opera una rilettura sistematica del D.lgs. 23/2011, sganciando l’applicazione della cedolare secca da un’interpretazione meramente formalistica delle categorie soggettive e orientandola, invece, a un criterio sostanziale di destinazione dell’immobile.

Di particolare rilievo è la distinzione operata dalla Corte rispetto alla disciplina contenuta nel comma 6-bis: quest’ultima, infatti, non va interpretata come limitazione dell’ambito oggettivo di applicazione della cedolare secca, bensì come previsione specifica di una ulteriore ipotesi in cui l’opzione è ammessa anche in presenza di un contratto di sublocazione, purché ricorrano requisiti stringenti (sublocazione a studenti universitari, rinuncia all’aggiornamento Istat, messa a disposizione dei Comuni). Pertanto, la disposizione non può essere letta in senso restrittivo, né può fungere da base per escludere, in via generale, la cedolare secca nei rapporti in cui il conduttore sia un’impresa.

Le implicazioni di questa apertura giurisprudenziale sono significative. Sul piano applicativo, si legittima l’estensione del regime fiscale agevolato a una vasta platea di contratti, spesso utilizzati da aziende per garantire una soluzione abitativa a dirigenti o dipendenti trasferiti, senza che ciò implichi automatismi elusivi. Inoltre, la presa di posizione della Cassazione impone un ripensamento delle prassi interpretative dell’Agenzia delle Entrate, che potrebbe essere indotta, ora, a riconsiderare le proprie istruzioni operative.

Le sentenze in commento confermano un approccio evolutivo del diritto tributario, orientato a privilegiare la sostanza economica dei rapporti rispetto alle loro mere apparenze formali. La cedolare secca, pertanto, si configura sempre più come uno strumento flessibile e coerente con le trasformazioni dei modelli abitativi e lavorativi, purché rimanga ancorata al suo presupposto essenziale: la reale destinazione abitativa dell’immobile locato.

9 maggio 2025

L’autonomia privata nelle unioni di fatto: orientamenti recenti della giurisprudenza di legittimità

A cura dell’Avv. Francesco Cervellino e Avv. Francesca Coppola

Negli ultimi anni si è assistito a una significativa emersione e progressiva formalizzazione degli accordi di natura economico-patrimoniale tra partner di unioni di fatto, segno tangibile della crescente rilevanza attribuita alla contrattualizzazione dei rapporti affettivi non matrimoniali. In tale contesto, la Corte di cassazione ha offerto, con una serie di recenti pronunce, un corpus interpretativo rilevante che definisce con maggior dettaglio l’ambito operativo della volontà negoziale tra conviventi more uxorio.

  1. Validità e interpretazione degli accordi tra conviventi

Con l’ordinanza n. 1324 del 20 gennaio 2025, la Suprema Corte ha affermato la piena validità della scrittura privata sottoscritta da partner conviventi avente ad oggetto tanto la regolamentazione dell’affidamento del figlio minore quanto la definizione delle questioni patrimoniali insorte a seguito della cessazione della convivenza. L’organo nomofilattico ha ribadito l’applicazione del principio codicistico della comune intenzione dei contraenti (art. 1362 c.c.), chiarendo che la ricerca del senso letterale delle parole deve avvenire tenendo conto dell’intero contesto negoziale, in un’ottica sistematica e non atomistica della dichiarazione.

  1. Clausole di ricognizione di debito: onere redazionale e requisiti di validità

Nel prosieguo interpretativo, l’ordinanza n. 1879 del 27 gennaio 2025 ha precisato che, affinché una clausola di ricognizione di debito contenuta in un accordo tra conviventi possa esplicare efficacia obbligatoria, è necessaria una formulazione espressa dell’obbligo restitutorio. Non è sufficiente, pertanto, una semplice dichiarazione di avvenuto trasferimento di denaro: la funzione solutoria o riconoscitiva della scrittura privata deve emergere in modo chiaro ed inequivoco.

  1. Revoca della donazione tra conviventi per ingiuria grave

Con l’ordinanza n. 32682 del 16 dicembre 2024, la Corte ha riconosciuto la possibilità di revoca di una donazione immobiliare effettuata nell’ambito di una relazione di fatto, sulla base dell’ingiuria grave di cui all’art. 801 c.c. La fattispecie esaminata attesta la possibilità di trasporre le cause di revoca previste per i rapporti coniugali anche all’interno di relazioni affettive non istituzionalizzate, ove si registri un vulnus alla dignità del donante tale da integrare un comportamento lesivo dell’onore e della considerazione personale.

  1. Obbligazioni naturali e principio solidaristico post-convivenza

Di particolare rilievo è l’ordinanza n. 28 del 2 gennaio 2025, ove la Cassazione ha valorizzato l’art. 2 Cost. quale fondamento dei doveri morali e sociali intercorrenti tra ex conviventi. Tali obblighi – in assenza di un vincolo matrimoniale – possono comunque trovare riconoscimento giuridico attraverso l’istituto dell’obbligazione naturale (art. 2034 c.c.), a condizione che le prestazioni siano sorrette da spontaneità, proporzionalità e adeguatezza rispetto al vincolo affettivo e al contesto relazionale pregresso.

  1. Esclusione dell’arricchimento senza causa tra conviventi

Infine, con l’ordinanza n. 11337 del 30 aprile 2025, la Corte ha ulteriormente consolidato il principio per cui i contributi economici versati da un convivente all’altro nel corso della relazione non danno luogo a indebito arricchimento, qualora risultino conformi a ciò che la coscienza sociale reputa doveroso in un rapporto affettivo consolidato. Solo ove si riscontri una sproporzione manifesta e ingiustificata delle prestazioni si potrà profilare una pretesa restitutoria fondata sull’art. 2041 c.c.

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Le pronunce analizzate attestano un’evoluzione coerente con il principio personalista e solidaristico dell’ordinamento costituzionale, riconoscendo dignità e tutela giuridica alle unioni di fatto anche in assenza di formalizzazione matrimoniale. L’autonomia privata trova così nuovi spazi di espressione nel diritto delle relazioni familiari, pur entro i confini di correttezza, buona fede e responsabilità affettiva. Resta però centrale, per la validità ed efficacia di tali accordi, l’accuratezza redazionale e la chiarezza delle previsioni contrattuali.

5 maggio 2025

Licenziamento privo di motivazione: la Cassazione riafferma la reintegrazione attenuata

A cura dell’Avv. Francesco Cervellino e Avv. Francesca Coppola

Con la recente sentenza n. 9544/2025, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sul tema della tutela applicabile nei casi di licenziamento intimato senza indicazione contestuale dei motivi, consolidando un orientamento giurisprudenziale sempre più improntato alla valorizzazione delle garanzie sostanziali a favore del lavoratore.

Il caso concreto e il quadro normativo di riferimento

Il giudizio trae origine dal licenziamento di un lavoratore assunto anteriormente al 7 marzo 2015 – dunque soggetto alla disciplina dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, come riformato dalla legge Fornero – il quale veniva estromesso dal rapporto senza ricevere alcuna motivazione contestuale al provvedimento espulsivo.

La Corte d’Appello di Firenze, in sede di reclamo, aveva qualificato il recesso come affetto da inefficacia ai sensi del comma 6 dell’art. 18, riconoscendo pertanto una mera tutela indennitaria. Tale qualificazione si fondava sulle argomentazioni difensive successivamente addotte dal datore di lavoro, non contestate dal dipendente, che lasciavano intendere un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, seppur formalmente privo di esplicitazione iniziale.

La decisione della Cassazione: violazione sostanziale, non solo formale

La Suprema Corte ha radicalmente sconfessato l’impostazione del giudice di merito, affermando che l’assenza di motivazione contestuale integra un vizio sostanziale e non meramente formale. Tale mancanza, infatti, impedisce non solo la comprensione del fatto su cui si fonda il licenziamento, ma ostacola anche l’effettiva possibilità per il lavoratore di esercitare il diritto di difesa in modo tempestivo e consapevole, in violazione dell’art. 2, comma 2, della legge n. 604/1966.

Ne consegue che, in simili casi, non può trovare applicazione la tutela risarcitoria limitata prevista dal comma 6 dell’art. 18, bensì quella reintegratoria attenuata di cui al comma 4, riservata alle ipotesi di insussistenza del fatto materiale posto a fondamento del recesso.

Il principio di ragionevolezza costituzionale come criterio ermeneutico

Il Collegio, rafforzando la propria argomentazione, richiama espressamente i principi affermati dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 59/2021, 125/2022 e 128/2024, valorizzando un’interpretazione sistematica e coerente con l’art. 3 della Costituzione.

Secondo tale impostazione, sarebbe infatti irragionevole riconoscere una tutela reintegratoria nei casi in cui il fatto addotto risulti insussistente solo in giudizio, ma negarla nelle ipotesi – ben più gravi – in cui nessun fatto sia stato inizialmente allegato per giustificare il licenziamento. Si rischierebbe altrimenti di penalizzare proprio i casi connotati da maggiore arbitrarietà datoriale.

Un ulteriore passo verso la marginalizzazione della tutela indennitaria

La pronuncia si inserisce in un trend giurisprudenziale volto a limitare sempre più l’ambito applicativo della tutela meramente risarcitoria, soprattutto quando essa venga invocata per coprire condotte datoriali gravi, come l’omessa comunicazione dei motivi del licenziamento.

Tale approccio, oltre a restituire coerenza interna al sistema sanzionatorio dei licenziamenti illegittimi, rafforza il ruolo della motivazione quale presidio di legalità e correttezza formale e sostanziale nei rapporti di lavoro.

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La sentenza n. 9544/2025 della Cassazione rappresenta un significativo chiarimento in materia di licenziamenti privi di motivazione, sancendo in modo netto l’inapplicabilità della tutela indennitaria nei casi di totale assenza di giustificazione scritta. La reintegrazione – seppur attenuata – torna così ad assumere centralità quale rimedio ordinamentale in presenza di violazioni gravi, coerentemente con l’evoluzione della giurisprudenza costituzionale.

30 aprile 2025